Yegor Gaidar (1956 – 2009). Il coraggio di essere impopolare
Oggi la città di Mosca ha reso l’ultimo saluto a Yegor Gaidar, l’architetto delle riforme che hanno consentito la transizione della Russia dalla bancarotta del comunismo a un sistema, più o meno, di mercato. Il presidente russo, Dmitri Medvedev, lo ha ricordato per i suoi
passi decisi per riformare i fondamentali del libero mercato e spostare il nostro paese verso un sentiero di sviluppo fondamentalmente nuovo… In un momento di cambiamento radicale, egli si è assunto la responsabilità di misure impopolari, sebbene cruciali.
Non so se le parole di Medvedev siano sincere, né so se Medvedev davvero interpreti – come alcuni sostengono – lo slancio riformista ancora presente nel paese. Di certo, però, ha colto perfettamente la funzione svolta da Gaidar.
Economista, Gaidar ricevette dall’allora Presidente, Boris Yeltsin, il compito di disegnare le fondamenta della nuova Russia, il paese tutto da inventare che sarebbe sorto dalle ceneri dell’Unione Sovietica. Formatosi alla scuola sovietica e a lungo membro del Partito Comunista, Gaidar fu un interprete lucido e freddo della sua epoca, e capì che le condizioni del paese erano tali da richiedere quella che gli occidentali definirono una “terapia shock” – ma lui disse sempre che era il minimo che si potesse fare, e l’unica alternativa realmente disponibile. Nei pochi mesi in cui fu al potere, prima come primo vicepremier e ministro dell’Economia (dal 1991 all’inizio del 1992), poi come ministro delle Finanze (aprile-giugno 1992), infine come primo ministro (giugno-dicembre 1992), quando fu sostituito da Viktor Chernomyrdin, abolì il regime di prezzi controllati, e soprattutto volle una rapida stagione di privatizzazioni, in modo tale da restituire al mercato gran parte degli asset fino ad allora detenuti dal “popolo”.
Gli anni che seguirono furono turbolenti e difficili, e molti ritennero Gaidar responsabile – o ne fecero un utile capro espiatorio. Non è così. Visto il contesto, la Russia avrebbe comunque attraversato una tempesta economica, e comunque avrebbe conosciuto il declino e la fame. Quello che le riforme di Gaidar fecero, fu di porre le premesse per la crescita successiva. E anche se fu anche grazie al modo in cui avvennero le privatizzazioni che nacque la prima ondata di “oligarchi”, il fatto è che la proprietà pubblica dei mezzi di produzione avrebbe avuto conseguenze ancora più perverse. Gaidar – da uomo di teoria e uomo della pratica, assieme – sapeva e capiva quel che accadeva, e capiva e sapeva che era inevitabile. Le cose hanno poi preso una piega diversa, come è noto, e l’avvento al potere di Vladimir Putin (che pure in una prima fase tenne come capoeconomista al Cremlino uno dei più stretti collaboratori di Gaidar, Andrei Illarionov), specie durante l’accelerazione nazionalista post-Yukos, contribuì a cancellare alcune delle speranze aperte dall’operato di Gaidar. Incidentalmente, nel suo libro Collapse of an Empire, Gaidar metteva in guardia proprio dalla tentazione del nazionalismo, economico e politico. Però, gli onori che gli sono stati tributati al momento della morte – testimoniati dall’ampia e sostanzialmente favorevole copertura garantita dal Moscow Times – provano come, ora che la polvere delle polemiche si è posata e che Gaidar aveva accettato la marginalità in cui era stato costretto, il giudizio sul suo operato sia, naturalmente, positivo.
Un aspetto non irrilevante è quello dell’onestà, intellettuale e personale, di Gaidar, giustamente sottolineato dall’Economist: un uomo che, in un paio d’anni, sovrintese al passaggoi di mano dell’intera potenza industriale sovietica, avrebbe potuto facilmente arricchirsi. Non lo fece. Nè fu, per questo, compensato dalla popolarità: essendo un tecnico, fu spesso indicato come il responsabile di tutti i mali che accadevano al paese, bersagliato dall’opposizione e sostenuto solo in modo volubile da Yeltsin. Grazie all’onestà e al rigore fu, tuttavia, in grado di comprarsi la libertà di parola e di critica, che non sempre e non a tutti sono garantite in Russia. Che lui a questa libertà ci tenesse, e volesse usarla fino in fondo, lo dimostra, per esempio, questo recente paper distillato per l’American Enterprise Institute. L’operato di Gaidar non è, ovviamente, esente da critiche: all’indomani delle sue riforme, Nikolai Petrakov scriveva sul Cato Journal che la liberalizzazione dei prezzi, in assenza di una compiuta competizione, non avrebbe portato nulla di buono. C’è del vero, in questo, ma resto convinto che, con la prospettiva che il tempo ci consegna, le decisioni di Gaidar non possano che essere giudicate positivamente. Chi si sporca le mani con le decisioni concrete, inevitabilmente commette degli errori. Il punto è se fosse possibile, in quel momento e in quelle condizioni, evitarli. La mia sensazione è che no, non fosse possibile.
E ogni paese avrebbe bisogno di un suo Gaidar: un uomo fedele alle idee di mercato, a cui è arrivato attraverso un percorso intellettuale coraggioso, e soprattutto pronto a metterle in pratica, pur sapendo che sarà considerato responsabile dei contraccolpi immediati, senza veder riconosciuto – almeno dall’opinione pubblica – il merito dei benefici di lungo termine.
Bel ritratto, “compagno” Stagnaro. È sempre opportuno sottolineare «onestà, intellettuale e personale». Viviamo in un mondo in cui sono due gli ordini di leggi che contano: quelle politiche e quelle economiche, queste ultime – spontanee, armoniose, non discriminative – la bestia nera dei detentori del potere politico, che tenta in ogni modo di cambiarne ex lege i meccanismi. Ottenendo i risultati che ben sappiamo…
L’onestà intellettuale – come nel caso di Gaidar – è fondamentale perché gli uomini che detengono il potere politico provino quel moto d’animo necessario a tirare fuori la perseveranza perché le leggi politiche rispettino e si conformino a quelle economiche.
Cosa ci ha insegnato, in fin dei conti la Russia sovietica, se non l’assurdità delle pretese di coloro che pretendono di governare il mondo con le loro leggi utopistiche e il loro “diritto” scritto di imperio ignorando qualsiasi ragionevole proporzionalità con la natura umana?
“Ogni paese avrebbe bisogno del suo Gaidar”: a cominciare dal nostro. Sante parole, perché l’omnia munda mundis vale assai più per il liberale che apre al mercato avendo a cuore il vantaggio dei più nel lungo termine, che per il socialista che chiude al mercato contrabbandando per eguaglianza dei più nel breve il privilegio per sempre di pochissimi pianificatori.
Gia’ leader al Komsomol, e probabilmente uno dei giovani del partito piu’ preparati in tema di classici marxisti. Come Chubais. E difatti erano insieme ossessionati dalla necessita’ che al Paese fosse garantita a brevissimo termine “accumulazione originaria” in quanto condizione dello sviluppo e della possibilita’ di transire al mercato. Se andate a prendervi i discorsi d’epoca di entrambi vi troverete considerazioni quasi apologetiche sulla bellezza del rubare. Rubando e se necessario rapinando si accumula prima. Gli oligarchi non nacquero come incidente, ma come scelta. Se Gaidar si e’ ispirato al pensiero liberale lo ha fatto saltando a pie’ pari Hayek e tirando dritto su Von Mises.La proprieta’ nasce dalla violenza. Appunto.
non metto in dubbio le buone intenzioni di gorbachov e gaydar
pero i risultati per la gente che lavora sono stati nefasti