Wolf ha torto, Merkel pure. No alle pecore del governo-pastore
Mercati ghiacciati oggi, dagli sconfortanti dati Eurostat su crisi in Ue che procede a ritmi esattamente doppi rispetto agli Usa, nonché dalle parole di Bernanke che giustamente ha sottolineato la necessità che l’Amministrazione si dia subito una credibile strategia antideficit, in modo che lo spread tra titoli pubblici decennali e i Tips indicizzati non esploda sopra i 190-200 punti base attuali. Al momento, quel differenziale prova che l’attesa di inflazione americana incorporata dai mercati è ancora alla portata della capacità di fine tuning della Fed. In caso contrario, nella disputa odierna tra Martin Wolf e Niall Ferguson su FT, significherebbe che il secondo – keynesiano dichiaratamente – ha torto, e il primo ha invece monetaristicamente ragione.
Significherebbe anche che ha ragione la Merkel, con la sua durissima tirata d’orecchi contro il quantitative easing di Fed e BoE, una tirata d’orecchi così priva di precedenti nella storia tedesca, abitualmente ortodossa quanto a separazione tra funzioni politiche e delle banche centrali? Niente affatto. Il quantitative easing può essere rapidamente dismesso dalle autorità monetarie, con la stessa velocità con cui lo si è attivato: serve a recuperare il pieno governo dell’intera curva dei rendimenti dei tassi sul mercato, e contestualmente a sostenere asset il cui prezzo si teme possa deflazionare. Al contrario, sono i deficit e cioè i debiti accesi dai governi per esplosivi mazzi di punti di Pil, a non poter essere altrettanto rapidamente dismessi. Proprio nel giorno in cui la politica tedesca ha dovuto fare già una mezza retromarcia su Opel-Magna, di fronte al rischio che gli austro-canadesi foglia di fico di Putin mollino tutto una volta gettato l’occhio sullo stato patrimoniale della casa automobilistica tedesca, la politica farebbe bene a ricordarlo: gli errori dei banchieri centrali sono a volte gravissimi, ma per quanto lunga sia la catena temporale di trasmissione dei segnali della politica monetaria all’economia reale, le conseguenze di scelta politiche drasticamente sbagliate rischiano di esercitare effetti negativi ancora più durevoli e seri degli errori dei banchieri centrali. In questi giorni un po’ tristi per noi liberisti, fa bene ogni tanto trovare libri che rinfrancano lo spirito e rimotivano. Come per esempio <!– /* Style Definitions */ p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-parent:””; margin:0cm; margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:12.0pt; font-family:”Times New Roman”; mso-fareast-font-family:”Times New Roman”;} @page Section1 {size:612.0pt 792.0pt; margin:70.85pt 2.0cm 2.0cm 2.0cm; mso-header-margin:36.0pt; mso-footer-margin:36.0pt; mso-paper-source:0;} div.Section1 {page:Section1;} –> Soft Despotism, Democracy’s Drift: Montesquieu, Rousseau, Tocqueville, and the Modern Prospect, di Paul A. Rahe, edito dalla Yale University Press. Sono 400 pagine di sana cavalcata nella difesa dello spirito dei Founding Fathers, e di accorata denuncia del neostatalismo regolatore che sta conducendo gli Usa di Obama a scavalcare l’Europa di Rosseau. L’America ripartirà prima di noi europei, lasciando a noi ancor più pesante l’eredità di cittadini che, quando le cose vanno male, chiedono sia lo Stato a rassicurarli invece di tirarsi su le maniche. Per chi non vuole morire pecora del pastore-governo, sono tempi in cui affinare tempra e taglio della spada. Intellettuale, s’intende.