Viva Frati, abbasso l’ope legis e le carnevalate
So benissimo che il più dei professori universitari mi darà addosso. E’ già capitato a Radio 24, quando ho trattato il tema. Perché solo chi è in cattedra, crede di poter e dover giudicare di ciò che lo riguarda. E chi non è d’accordo, è un mero cane e servo del potere. Me ne verranno altri improperi. Amen. Ma io dico: viva viva le parole di verità pronunciate dal Rettore Frati della Sapienza di Roma! Da mesi la riforma dell’Università promossa dal ministro Gelmini avanza nel suo iter parlamentare. E da mesi sale il livello e il tono della protesta. Più avanti, qualche considerazione sulla riforma. Ma, prima , veniamo subito alla Sapienza di Roma. In alcune sue Facoltà i docenti, per protesta contro la riforma, in accordo con gli studenti e il personale ausiliario, dopo il blocco degli esami hanno deciso di riprenderne lo svolgimento ma di notte, a lume di candela. “Secondo un ordine fedele sia all’inversione di senso cui sembrano orientate le manovre del governo, sia al nuovo profilo di professori ombra, oscurati e delegittimati nella sostanza qualitativa e quantitativa del proprio impegno quotidiano”, è stato dichiarato da alcuni docenti. La reazione del Rettore, professor Luigi Frati, che pure non risparmia anch’egli critiche alla riforma, non si è fatta attendere.
Ha invitato tutti a non danneggiare oltremodo gli studenti desiderosi di dare gli esami. Ha bocciato come “inutilmente folkloriche” le sessioni notturne. In più, ha pronunciato giudizi che dovrebbero fare riflettere tutti, e che invece hanno suscitato sdegno e fischi.
Che cosa ha detto, il professor Frati? Un’amara verità. Che, come tutte le verità, dà scandalo. “Non credo che noi non siamo corresponsabili”, ha detto il Rettore. “Il 30% dei ricercatori a Giurisprudenza non ha prodotto nulla nell’ambito della ricerca scientifica, e in generale alla Sapienza il 10% dei ricercatori non ha prodotto nulla in 10 anni.” Di qui la sua conclusione. Secca e precisa, come un colpo di bisturi: “Queste persone vanno cacciate dall’Università”.
Apriti cielo. Più ancora della condanna del situazionismo futurista degli esami notturni, e della tenace negazione che tutte le voci di bilancio pubblico debbano compartecipare a un dimagrimento della spesa per punti interi di Pil, invece di eccepire in ciascun settore l’eccezione a proprio vantaggio, come regolarmente capita in Italia a cominciare dall’orchestra della Scala, in sciopero pur senza che le sia stato tagliato alcunché, sono stati proprio i giudizi di Frati sui ricercatori a valergli una vera e propria ondata di riprovazione. Perché è sul punto dei ricercatori, che la riforma provoca per le sue scelte di fondo ancor più polemica che sul resto.
Più polemica di quella riservata ai tagli alle dotazioni ma premiando le sedi capaci di risultati migliori e i docenti coi giudizi migliori; ai limiti per i mandati dei Rettori; alle nuove norme per evitare l’assunzione di parenti; ai nuovi poteri dei cda rispetto al Senato accademico; alla possibilità di commissariamento in caso di dissesto finanziario, e di accorpamento per mettere un freno alle decine e decine di sedi moltiplicatesi inutilmente sul territorio.
I ricercatori sono infatti l’ultima leva della proliferazione ope legis di figure docenti nell’Università italiana, nate dalla fervida fantasia trentennale del legislatore d’ogni colore, alla ricerca di nuovi consensi con nuove sanatorie e immissioni in ruolo. Nati col decreto 382 del 1980 in teoria per fini prioritari di ricerca e solo per intregrare la didattica, hanno finito per rappresentare con oltre 24 mila unità il 35% dell’intero personale docente, rispetto ai 19 mila ordinari e altrettanti associati.
La riforma Gelmini compie una scelta che ha del rivoluzionario, rispetto alla prassi quarantennale. Rifuta la regolarizzazione a tutti i ricercatori, respinge il più sacro sin qui tra i diritti nel pubblico impiego italiano, e cioè il diritto acquisito. Per tutti gli attuali ricercatori e per quelli che saranno assunti nei nuovi concorsi fino a fine dell’anno prossimo abbassandone l’età minima da 36 – 36! – a 30 anni, dopo altri 2 contratti a termine di 3 anni o si passa come associati se giudicati idonei, oppure le porte dell’Università per loro si chiuderanno.
E’ questa rottura di continuità, a scatenare la protesta. Perché nell’Università italiana, sin qui, nulla era più sacro del posto garantito a vita a chi vi aveva intanto messo piede. Solo assumendo a tempo indeterminato tutti i ricercatori, dice la sinistra, si può abbassare – per altro di pochissimi anni, i ricercatori ormai sono per lo più ben ultracinquantenni – l’età media del corpo docente. E per questo gli associati e gli ordinari dovevano essere mandati in pensione prima, non consentendo loro di restare in cattedra fino a 70 anni e oltre come capita oggi, ma tutti a casa al 65esimo anno di età. Diritto acquisito e pensionamento anticipato invece che prolungato: ecco i fondamenti nei quali crede chi protesta.
Per carità, la riforma Gelmini ha anche le sue pecche. Che purtroppo si sono di molto accentuate nell’esame parlamentare, visto che tra Camera e Senato gli accademici abbondano e ci hanno messo del loro, per abbattere per esempio il tetto minimo di 1500 ore di didattica e ricerca per i professori a tempo pieno, per cancellare la prevista certificazione della ricerca, per levare quel tetto minimo del 40% di membri esterni dai cda che i professori sentivano come presenza estranea e minacciosa, per rendere assai più vischiose che nella versione del ministro le procedure per sostituire i Rettori inadeguati.
Ma sul punto di fondo toccato dal Rettore Frati, non si può che concordare con lui. L’Università dovrebbe essere un tempio di serietà. Per tutti, a cominciare dagli insegnanti. Torce e mascherate notturne andrebbero riservate al Carnevale. Ed eccellenza e merito sostituirsi all’egualitarismo in nome della pura anzianità di servizio. E’ chi protesta contro di questo, a meritarsi l’ombra.
Ripeto: do per scontato che mi si dirà che non capisco nulla, che la Gelmini non ha i titoli per neppuren osare pensare di metter mano a riforme simili, chen il governo Berlusconi è fatto da tenebrosi nemici della cultura e della libertà d’opinione e di pensiero. Ribadisco tutti i difetti del governo e di chi lo guida e compone mi son chiari ed evidenti. Ma non per questo spezzare l’ope legis nelle Università non è cosa sacrosanta, buona e giusta. E’ solo tardiva. Dipendesse da me, sarebbe ancor più severa, con Università autonome e libere di procacciarsi risorse sul mercato, e di pagare insegnanti quanto vogliono e riescono per ingaggiare i migliori. E chi non ci riesce e non quadra i conti, chiude. Altroché l’egualitarismo ingannatore di chi si riempie la bocca di “università pubblica”, che dello State ripropone tutti i fallimenti.
Guardi, proprio l’altra sera ho incontrato un ragazzo che non vedevo da tempo, uno studente dell’uniMI che tra un come va e che fine hai fatto se ne esce: “Eh, si vede che stanno tagliando pesantemente: gli assistenti sbuffano quando, a lezione, una persona chiede chiarimenti. Vedono l’università cadere a pezzi e perdono la voglia di fare…”.
Non so come sono riuscito a trattenere la risata più grassa del mese.
Al posto di chiedere professionalità, non solo non denunciamo gli incapaci, ma li difendiamo pure.
Lei ha perfettamente ragione, ma purtroppo molti non hanno la mentalità ed alcuni ne approfittano.
Lieto di non capire nulla neppure io, anzi peggio ancora. L’attuale università genera solo fantastiche illusioni collettive fra i giovani e fra le famiglie sponsors, convinte che chi non studia diventerà povero. Nel frattempo, un pò troppo tempo, garantisce fama e denaro ad una stamaggioranza di privilegiati docenti tenutari assoluti della verità e del sapere ma che produce risultati – i laureati – che il mercato, unico imparziale giudicante, restituisce alle famiglie di provenienza. Sorridono solo i fabbri e i maestri d’ascia, che non sapranno forse chi era il prof. Sanguineti, ma che impongono il loro meritato monopolio; per loro il congiuntivo resterà forse un mistero, tanto quanto lo sarà per i neo illusi con biglietto da visita stilizzato
concordo in pieno! se dobbiamo elencare uno dei buchi del sistema statale l’occhio cade inesorabilmente,sull’istruzione media e universitaria.Mi dispiace ma è il punto dolente e massimo dell’inefficenza della macchina statale che nella scuola si è vista al servizio di logiche occupazionali e nell’università al servizio di logiche di clientele.Mi dispiace ma è così,non dovunque,ma generalmente è così.Scusate ma un ricercatore che per 10 anni non ha mai ricercato un tubo ma che,per un gioco di clientele(qui dobbiamo dire che ne è anche un pò vittima)ha fatto il portaborse del professore,fatto lezioni al posto del professore mi spiegate a che serve?Capisco il fatto che il sistema è marcio ma qui bisogna stroncare il baronaggio ,scusate il termine di antico uso,ma la situazione è questa mica c’è da scherzare.
L’Italiano è un grande uomo,un grande capitale intellettuale da potenziare che non ha nulla da invidiare a competitors internazionali,ma le strutture,i ruoli,le attrezzature a disposizioni rimangono scarse.Ma come da questo articolo si mette in risalto è limpiego di questo nostro capitale ad essere mal gestito e mal governato -è impiegato nel modo peggiore possibile.Scusatemi per l’ignoranza,non sono mai stato all’estero a studiare quindi non so come sono le università anglosassoni o europee ma non credo che a Princeton o a Cambridge o alla Sorbonnè ci siano professori che si permettano di assentarsi per mesi o che alla veneranda età di 70 continuare a insegnare materie dinamiche e vive come quelle finanziarie o giuridiche.Io sono sicuro del fatto che non si sia MAI ragionato in termini di efficenza del servizio reso,in termini di qualità d’insegnamento,qualità di apprendimento,in termini di capacità di generare capitale intellettuale valido e competitivo.
In quanto a serietà il rettore Frati ne ha da vendere. Nell’università che governa insegnano moglie e due figli. L’insegnamento non so ma la famiglia l’ha certamente a cuore, da sempre.
Questo articolo e’ solo il peggio del populismo che si possa esprimere
sulla riforma Gelmini.
Non spiega, ad esempio, che i ricercatori non sono assunti per fare didattica,
ma per fare ricerca. Con grande soddisfazione ho lasciato l’universita’ italiana
finito il dottorato, ma ricordo i ricercatori coprire 4/5 corsi trimestrali
ciascuno l’anno. Come potevano fare ricerca? Di notte? Quella del rettore della
Sapienza e’solo una minaccia per i ricercatori non ancora confermati: smettetela
di protestare o sono guai per voi.
Il primo commento parla poi dei cosiddetti “assistenti” (ma nell’universita’
italiana il concetto di Assistente non
esiste piu’ da quasi 30 anni), in realta’ tipicamente dottoranti o assegnisti di ricerca
che fanno didattica molto spesso gratis o che, per esperienza personale, sono pagati
un anno dopo la fine dei corsi e, per l’A.A. in corso il 30% in meno di quanto pattuito
(ovviamente la cifra e’ stata ritrattata una volta finito il corso. Gia’: i contratti
per la didattica complementare molto spesso si firmano *dopo*).
Giannino: io la seguo sempre con molta attenzione, l’universita’ italiana e’ vero che
e’ piena di raccomandati e di gente che non fa nulla (infatti l’ho lasciata:) ), ma attaccare la bassa manovalanza e’ proprio la scelta migliore?
Tutto sommato, vedendo come in Germania, Francia o UK sono valutati i laureati
italiani (almeno di alcune universita’), direi che l’universita’ italiana fa un ottimo
lavoro nel preparare gli studenti. O sta cedendo anche lei al mito di Confindustria
che in realta’ l’universita’ italiana e’ lontana dalle esigenze dell’industria?
Delle due, una: i) o l’industria italiana e’ troppo avanzata rispetto a quella del resto del mondo, oppure ii) confindustria dice palle.
Buona Italia, buon terzo mondo.
Alla veneranda età di settant’anni? c’è chi governa, chi fa il Presidente della Repubblica, chi passa dalla presidenza della Consob a quella delle ferrovie … andiamoci piano con l’equiparare l’età all’incapacità di tenere dietro ai mutamenti della realtà.
Già Catone scriveva di sé che invecchiava imparando ogni giorno qualcosa di nuovo. Ci sono in giro giuristi che hanno superato da un pezzo l’età del pensionamento ma sono ancora in grado di fornire contributi importanti alla comprensione del diritto odierno, magari meglio dei più giovani.
Gentile signor Pontiroli, ha perfettamente ragione; dissento, se posso, solo su un punto.
Non c’è dubbio che molte persone di 70 anni abbiano ancora molto da dare e in tal caso un’università libera ed autonoma valorizzerebbe le loro capacità ed esperienze; temo però che la questione dell’oggi sia differente: molti over 65 non hanno più nulla da donare posto che abbiano nel loro passato dato qualcosa; oggi la loro principale qualità o attività è quella di saper ricevere e la complicità dell’attuale ordinamento universitario consente ed esalta tale parassitaria dote
Sono in linea di principio d’accordo. C’è però da dire che la dichiarazione del prof. Prati sarebbe più credibile se se la prendesse genericamente con il corpo docente invece che con i soli ricercatori, visto che ci sono anche professori ordinari ed associati che producono poco o nulla (e ad un costo maggiore per la collettività).
No, non ci sono giustificazioni, saranno anche molto più bravi di noi giovani (nessuno contraddice Catone), ma per conservare il loro “monopolio del sapere” non ci insegnano nulla, ci lasciano ignoranti, e si tengono strette le poltrone. La situazione è talmente ancorata nella nostra società (età, carriera e stipendio vanno a braccetto) che poi se la prendono con la gioventù bruciata (degli ultra trentenni!). Vorrei un controfattuale, chi ci dice che le cose andrebbero peggio con un presidente della repubblica 40enne?
Ma verrà il giorno che noi giovani non riusciremo a pagare le pensioni, e allora si che le aziende costringeranno questi vecchi a restare fino ad 80 anni ad insegnarci qualcosa, se ne han voglia…
@alex
Chi vuole imparare può farlo anche se ha professori che vorrebbero lasciarlo nell’ignoranza. Oggi, in particolare, ci sono infinite possibilità di acquisire conoscenze: l’idea che si possa impedire ai giovani di acquisirle e che essi restino indifesi di fronte a tanta protervia, mi perdoni, o è frutto di disinformazione o è un tentativo di scaricare su altri i propri insuccessi.
In ogni caso, io contesto il riferimento al dato anagrafico; non difendo l’accademia, alla quale non appartengo.
@Luciano Pontiroli
La sua teoria è simpatica e originale: chi ha un rubinetto guasto può aggiustarlo da sè senza chiamare l’idraulico, così come, in caso d’incendio potrebbe risultare superfluo chiedere l’intervento dei pompieri. Senza polemica alcuna ma solo per non prendermi sul serio, mi permetta un’osservazione: i docenti sono imposti, non scelti e la loro retribuzione – a prescidendere per giunta dalla qualità del servizio offerto – è un di cui dell’imposizione tributaria. Non mi pare un dettaglio, di questi tempi in particolare, con il rischio default che ci bussa alle porte…
Senza alcun tipo di polemica e per poter fare un’analisi asettica propongo il seguente esempio.
Si immagini che Pippo abbia ereditato dei soldi da una vecchia zia e decide di investirli. Pippo si rivolge quindi a una banca o altro ente finanziario. Parla con il direttore locale che lo convince a depositare i soldi da loro per poterli investire. Si assuma che Pippo paga x>0 alla Banca per il deposito e le attività di investimento. Pippo ottiene quindi un incontro con il consulente della banca per meglio definire il profilo degli investimenti. Pippo ne è persuaso e sceglie il profilo degli investimenti suggerito dal consulente. Ora ammettiamo che dopo qualche mese o, meglio, anni Pippo riceva una lettera dal direttore che gli comunica che gli investimenti sono andati peggio di quanto previsto, perchè, per esempio, si era investito in titoli greci o simili. E il direttore sottolinea che la colpa è dei greci e del loro governo bla bla bla.
Secondo voi qual è la reazione più ragionevole di Pippo? Acclamare il direttore e santificare le sue parole?
Ora immaginate che Pippo sia un qualunque contribuente italiano che contribuisce al mantenimento di una istituzione che investe in ricerca. Se gli investimenti vanno male come ci aspettiamo che reagisca Pippo?
Come nel caso fittizio e come nel caso reale (quello dell’università) io e Pippo la pensiamo nella stessa maniera: le parole di Frati (come quelle del direttore) possono essere vere e pure suggestive, ma completamente inutili. Io e Pippo ci saremmo aspettati che il direttore avesse speso molte parole criticando il comportamento e l’incapacità del consulente della banca che gli ha suggerito l’investimento, più che criticare i greci. Magari, avrebbe dovuto mostrarci che era stato licenziato perchè incapace.
L’analogia con l’intervento di Frati mi pare palese. Chi è che ha selezionato e doveva monitorare quell’investimento chiamato “ricercatore”? E’ forse il meccanismo di selezione inefficace? E perchè gli italiani devono pargarlo? i selezionatori sono semplicemente incapaci di risolvere i problemi di selezione avversa e azzardo morale, o sono complici di questi problemi? E infine, cos’ha detto in merito Frati?
@giulio dapelo
Io ci provo spesso, lo chiamo solo se non ci riesco.
Per professione, sono avvocato e, per diletto, ho pubblicato libri ed articoli di diritto, senza appartenere all’accademia.
@ Luciano Pontiroli
Buon consiglio, grazie. Lei è un avvocato e il suo potenziale cliente è libero – non obbligato – di chiederle assistenza o di leggere i suoi testi. Io sono titolare di un’impresa di pulizie ma, mi creda, non riesco ad imporre i miei servizi a nessuno nonostante che in “rete” al momento la pulizia delle scale non sia on line.
@Luciano Pontiroli
Lei sfugge al punto centrale della mia argomentazione che è la difesa della rendita di posizione. Uno può rimboccarsi le maniche e imparare molto, tutto, ma quello che ne otterrà in Italia (rispetto ad altri Paesi), non solo in termini di soldi e carriera, sarà sempre poco e troppo tardi (perpetrando il circolo vizioso).
Se, come credo, Lei ha grande esperienza, saprà anche che molto di più si impara tacitamente, facendo, assorbendo esperienze. Cosa che non proviene da internet e infinite possibilità.
Il vizio italiano è sempre lo stesso, ognuno per sé, possibilmente senza competizione.
@alex
Assolutamente vero. L’università italiana è un sistema feudale.
Se è vero, come suggerisce il Sig. Pontiroli, che uno può imparare anche da sé, allora è inutile frequentarla. Ovvero, se la si frequenta questa deve dare ciò per cui è stata creata.
In definitiva è un po’ il destino della scuola di ogni rdine e grado del nostro Paese: la si vede come un belporto a cui approdare e gettare l’ancora. La scuola dovrebbe essere fatta per chi studia, non tagliata sulle esigenze di chi insegna complice il sindacato.
Che poi ci siano anche scuole e facoltà che vanno discretamente bene, è tutta colpa di quei fessi che ci tengono ad insegnare come si deve.
@stefano
Non intendevo distogliere alcuno dall’iscriversi all’università di suo gradimento, tanto meno se il titolo gli serve per intraprendere una carriera professionale: il senso del mio intervento era l’invito a non lamentarsi dell’ignavia dei docenti.
Qualcuno ha scritto che questi impediscono agli studenti di imparare, li lasciano ignoranti: a parte l’immotivata generalizzazione, io credo che chi si iscrive ad un’università e la frequenta abbia modo di accorgersi abbastanza presto di cosa manca all’insegnamento impartito e possa cercare di supplire facendo da sé. Vale a dire, leggendo anche testi non consigliati dal docente, in modo da ampliare le sue conoscenze. Sarà faticoso, richiederà impegno, ma there is not such a thing as a free lunch!
@vincenzo
Delle due, una: i) o l’industria italiana e’ troppo avanzata rispetto a quella del resto del mondo, oppure ii) confindustria dice palle.
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Esiste una terza, almeno nel settore di cui mi occupo (ITC): l’industria italiana è mostruosamente arretrata rispetto alle altre!
Es. personale: Mi stanno particolarmete a cuore le “metodologie agili” – si trova in giro per il mondo un sacco di “materiale” : corsi, esperienze, certificazioni. Qui in Italia ci sono fior di manager che non sanno di cosa si stia parlando.
Sono stati fatti tanti commenti interessanti. Resta però il dato centrale: la mentalità cretina del posto fisso, l’abitudine a considerare un impiego statale un diritto acquisito di durata eterna, la mancanza totale del semplice concetto di selezione, per cui un incapace non può essere semplicemente mandato a casa.
Trovo poi semplicemente scandaloso il fatto degli esami notturni: questi quattro deficienti politicizzati cosa mai dovrebbero insegnare, e a chi?
E d’altronde, se gli studenti neanche protestano per buffonate cialtronesche come queste, vuol dire che hanno l’insegnamento e la preparazione che si meritano.
Bisognerebbe cominciare a premiare anche gli atenei su base meritocratica:
http://giovannistraffelini.wordpress.com/2010/07/06/meritocrazia-negli-atenei/
Mi piacerebbe sapere cosa pensa Frati visto lo stato della Sapienza..
Anche se componente della “casta” universitaria, non la insulterò affatto. Anzi concordo con gli ultimi paragrafi del suo articolo, che riprendono le proposte di Roberto Perotti (già dimenticato) e come ho spiegato nel mio blog. Il suo articolo, però, nel complesso mi sembra tendere un po’ troppo al populismo provocatorio (inclinazione che purtroppo mi sembra di riscontrare in altri suoi scritti).
In particolare, sui ricercatori mi sembra che lei faccia degli importanti errori. Lei dice:
“I ricercatori sono infatti l’ultima leva della proliferazione ope legis di figure docenti nell’Università italiana, nate dalla fervida fantasia trentennale del legislatore d’ogni colore, alla ricerca di nuovi consensi con nuove sanatorie e immissioni in ruolo. Nati col decreto 382 del 1980 in teoria per fini prioritari di ricerca e solo per intregrare la didattica, hanno finito per rappresentare con oltre 24 mila unità il 35% dell’intero personale docente, rispetto ai 19 mila ordinari e altrettanti associati.
La riforma Gelmini compie una scelta che ha del rivoluzionario, rispetto alla prassi quarantennale. Rifuta la regolarizzazione a tutti i ricercatori, respinge il più sacro sin qui tra i diritti nel pubblico impiego italiano, e cioè il diritto acquisito. Per tutti gli attuali ricercatori e per quelli che saranno assunti nei nuovi concorsi fino a fine dell’anno prossimo abbassandone l’età minima da 36 – 36! – a 30 anni, dopo altri 2 contratti a termine di 3 anni o si passa come associati se giudicati idonei, oppure le porte dell’Università per loro si chiuderanno.”
Siamo sicuri che con questo meccanismo si abbasserà l’età media? Intanto, per effetto dei tagli di Tremonti, nei prossimi 3 anni non c’è trippa per gatti, quindi assisteremo per 5 anni buoni a un innalzamento dell’età media del corpo docente e ricercatore, riforma o non riforma.
Secondo. La riforma Gelmini è figlia di una certa ideologia altrettanto statalista di quelle precedenti, ideologie che pretendono di “dirigere” le università dall’alto in ogni aspetto della loro vita. Essa infatti prevede la “piramide” per tutti: un tot di associati ogni ordinario, un tot di ricercatori ogni associato. Meglio sarebbe che le università siano liberi di organizzarsi come vogliono, piramidi o cubi che siano, ma lasciamo perdere: dai numeri che lei riporta, direi che ci siamo, no? Più ricercatori che associati e ordinari. Rimarrebbe quindi soltanto da trasformare questi ricercatori in contratti a tempo determinato da max 6 anni, come proposto dalla ricerca, seguendo il modello del “tenure track” americano.
Ma il modello del “tenure track” anglosassone è piuttosto diverso da quello proposto nella riforma. Nelle innumerevoli versioni del testo che ho avuto modo di leggere, il concorso nazionale risulta semplicemente un esame di abilitazione, e non dà alcuna garanzia di essere assunti. Anzi, l’abilitazione è assurdamente “a termine” e scade dopo alcuni anni, durante i quali potrebbero esserci altri blocchi delle assunzioni per esigenze di bilancio. Inoltre, abbiamo già avuto il concorso nazionale nel passato, e non mi sembra che abbia evitato le distorsioni che abbiamo oggi, e che, come lei correttamente dice, sono figlie della politica degli anni ’80 e ’90, quando c’era ancora il concorso nazionale (guarda un po’). Io sono stato uno dei primi “tenure track all’italiana”, figlio della legge Moratti, ho raccontato qui la mia storia. Brevemente: il problema del contratto di ricercatore a tempo determinato è l’assoluta nebulosità dell’approdo: in US, quando si intraprende la “track”, alla fine c’è immancabilmente la “tenure”, ovvero l’assunzione con un contratto a tempo indeterminato, naturalmente se tutto va bene. L’università prende l’impegno di spesa all’inizio della track e immancabilmente mantiene la promessa al termine.
Nella riforma Gelmini, al termine della “track” c’è il nulla, in quanto non è detto che una un’università in Italia avrà il budget o la voglia di assumere chi passi l’abilitazione nazionale. Abilitazione che potrebbe essere banale o impossibile, o indipendente dal merito, in quanto immancabilmente a fare le selezioni saranno gli stessi “baroni” di oggi. Con queste premesse, sarà molto difficile convincere i migliori nel campo dell’ingegneria, della fisica, delle telecomunicazioni, a intraprendere il percorso di “tenure track”, resistendo alle sirene delle più serie istituzioni estere.
Ripeto: solo liberalizzando le università dopo averle sottoposte a una seria procedura di valutazione, si potranno avere effetti positivi sulla didattica e sulla ricerca. Come del resto sta avvenendo in Portogallo, un paese ben più lungimirante del nostro.
Una riforma dovrebbe guardare allo sviluppo futuro dell’università, e non contenere elementi punitivi verso intere categorie di presunti scansafatiche. L’unica cosa di cui non abbiamo bisogno in questo momento è di riforme sbagliate.
Caro Direttore,
l’articolo a firma Oscar Giannino apparso la scorsa settimana sulla VS testata ed avente ad oggetto l’Università la riforma e le dichiarazioni del Rettore della Sapienza Frati, pur restando nel vago ed esprimendo considerazioni generiche sulla riforma assume invece una ben chiara posizione di plauso alle dichiarazioni di Frati appunto.
Tutto parte da una conferenza stampa tenutasi alla Sapienza in cui il Rettore dichiara che nel suo Ateneo ci sono ricercatori e professori fannulloni, questi non fanno ricerca e vanno cacciati dall’Università per mettere la cose a posto, lo stesso Rettore aggiunge che si tratta del dieci percento del personale docente, ma la situazione e’ simile in altre sedi.
Deludente diagnosi e ancor piu deludente terapia per i nostri Atenei da uno massimi esponenti della classe dirigente universitaria; basti la considerazione di quanto possa essere sorprendente che un dieci percento dei docenti che non fa ricerca ma comunque insegna possa essere responsabile dei problemi della nostra Accademia.
Ma ancora piu deludente e’ la proposta soluzione di cacciare questi dall’Università quando lo stesso Rettore sa bene che l’ultimo ricercatore fannullone e’ solo un sintomo la dove la causa e’ la stessa classe dirigente che ne permette (e ne permetterà …se non si agisce su di essa) l’ingresso. Il Rettore della Sapienza al grido di cacciamo i fannulloni fa tanto rumore di una terapia sintomatica — miope e di corto respiro – ma tace sulla eradicazione delle cause del sintomo.
E non fa di meglio sulla VS testata Oscar Ginnino che, sebbene si autopresenti come analista autorevole, di fatto squilla la tromba per la caccia a fannulloni e viene meno, lui per primo, a quel richiamo alla serietà con cui conclude il suo articolo, presentando una boutade demagogica some la soluzione ai problemi (questi veramente seri) della nostra Università.
Chi fa richiami alla serietà per essere credibile dovrebbe per primo praticare l’onestà intellettuale.
Alessandro Pezzella
Rete29Aprile
Ricercatore Chimica Organica
Università Federico II di Napoli
@Giuseppe Lipari e Alessandro Pezzella
Oscar Giannino, a mio avviso, ha semplicemente fotografato l’attuale situazione dell’università. Circa le cause e le soluzioni ovviamente ognuno ha la libertà di esprimere qualsiasi opinione. La mia modesta osservazione parte da una considerazione mestamente concreta: qualcuno è in grado di segnalarmi per quali motivi il livello di preparazione dei laureati, ormai da parecchi anni, è generalmente “modesto”? Per quale interesse il mercato non dovrebbe riuscire ad inserire i laureati? La quantità di laureati è forse eccessiva rispetto al fabbisogno del mercato? La selezione rigorosa e meritocratica esiste nel percorso formativo del giovane? La qualità della formazione è conforme alle necessità reali del mercato? La qualità della formazione è in mano al corpo docente? Il docenti generano formazione? Le priorità formative, in rapporto alle indicazioni del mercato, sono note ai docenti e agli studenti? Per caso il miraggio del titolo fine a se stesso non distoglie troppi giovani – e le loro famiglie – dalla realtà? E’ presuntuoso o banale ipotizzare che il nostro paese ha bisogno di molte più capaci braccia e di meno mediocri menti? Grazie
@Roberto: il mio “Confindustria dice palle” voleva esattamente dire quello 🙂
Il problema e’ che in Italia NON servono laureati. Il resto sono solo vaneggiamenti di Confindustria. Noto che pero’ Giannino ha iniziato a sposare con ardore queste assurdita’. D’altra parte non lo biasimo: pure lui deve mangiare.
@giulio dapelo Oscar Giannino fa una fotografia dell’attuale situazione e inoltre un commento sulla riforma in parlamento, e sulla seconda mi sono permesso una critica, che spero di aver fondato su basi solide.
Quanto alle risposte alle sue domande, esse richiederebbero ben più che un commento in un post. Prima di tutto bisogna cominciare dai dati: se è interessato, le consiglio di guardare il database di questionari di Alma Laurea (http://www.almalaurea.it/). Seconda nota: una discussione generale, indipendentemente dalla facoltà di riferimento, è secondo me abbastanza inutile. Laureare centinaia di migliaia di esperti in beni culturali non è utile, il mercato non può assorbirli. Laureare molti ingegneri invece è utile, perché il mercato li assorbirebbe.
Nel settore di ingegneria informatica, dalla mia esperienza (che in effetti potrebbe essere statisticamente poco rilevante, ma che è confortata da alma laurea) i nostri laureati trovano lavoro abbastanza presto, nonostante il loro livello di preparazione si sia abbassato. Purtroppo, sono pagati molto poco rispetto ai loro colleghi europei, il che a volte gli fa sembrare appetibile perfino un dottorato di ricerca. Perché siano pagati poco non saprei dirlo, non sono un economista. Penso che la struttura del nosto settore industriale giochi un ruolo fondamentale nella dinamica degli stipendi.
Infine: “E’ presuntuoso o banale ipotizzare che il nostro paese ha bisogno di molte più capaci braccia e di meno mediocri menti?”
Non è presuntuoso affatto, ma credo sia sbagliato ragionare in questo modo. Pensi questo: tutti i paesi, avanzati e in via di sviluppo, investono molto in formazione. Se pensassero che fosse più utile avere mano d’opera a basso costo, non sprecherebbero denari in costose università, non crede? Già questo dovrebbe far accendere una lampadina. Inoltre, la produttività di un bravo laureato in ingegneria è enormemente superiore a quella di un bravissimo idraulico. Vogliamo competere in europa sulla ricerca o sulla manodopera? Anche i cinesi, gli indiani e i brasiliani presto ci supereranno in ricerca. Che vogliamo fare dell’Italia? Un paese avanzato tecnologicamente, o un mercato di conquista per gli stranieri (come è in parte già successo?).
Certo, meglio buone menti che menti mediocri. La scala di valori dovrebbe essere, dal migliore al peggiore: “buone menti”, “menti mediocri”, “buone braccia”, “braccia mediocri”. Vediamo di puntare su questa scala. Per questo una riforma dell’università è URGENTE; ha ragione Giannino. Ma serve una buona riforma, liberale, non statalista e non punitiva.
@vincenzo
“In Italia NON servono laureati”.
C’è un qualche ragionamento dietro questa affermazione, o devo prenderla come “è così e più non dimandare”? Se c’è un ragionamento, la prego di condividerlo con noi, evitando di fare basse insinuazioni nei confronti di Giannino.
@Luciano Pontiroli
Mai pensato che lei volesse distogliere alcuno dall’iscriversi nell’università che più gli aggrada. Non è questo il punto.
Intendevo sottolineare che se uno si iscrive in una data università, è giusto che gli diano il suo, ovvero lo mettano in grado di imparare qualcosa, sia che decida di iscriversi a ingegneria piuttosto che a filosofia. Poi ognuno ci deve mettere del suo, chiaro. Non ho mai avuto idee de tipo: “ho il diploma di ragioniere ergo ho diritto al posto in banca”.
Però, riprendendo il suo discorso, quando uno si iscrive da qualche parte, a meno che non abiti in una città tipo Roma o Milano, non è che abbia una gran comodità a spostarsi una volta visto l’andazzo. Ovvero, se uno di Mantova si iscrive a Padova e vede che lì non si trova, cambiare ed andare a Torino non è così immediato, semplice ed economico. Anche se uno si accorge che alle lezioni è costretto ad accomodarsi sulle scale anziché in aula, salvo mettersi a praticare il krav maga per prendere un posto a forza. Oppure che i professori sono evidentemente poco interessati all’insegnamento.
Insomma, l’università è già un impegno in molti sensi, l’andazzo che ho potuto riscontrare rende solo più difficile il percorso, con la stessa energia si potrebbe ottenere molto di più. E la preparazione finale non è quella che potrebbe essere.
Per quanto riguarda i testi, c’è ampia disponibilità di titoli, ma minore disponibilità di pecunio.
E’ vero poi che ci sono ottimi docenti (quindi giusto non generalizzare), però ci sono dei professori evidentemente indecenti, e purtroppo la moneta cattiva tende a scacciare quella buona.
L’unico rimedio che vedo, allo stato attuale delle cose, è l’abolizione del valore legale del titolo di studio e conseguente messa in competizione delle università. E se un’istituzione vuole sopravvivere deve “produrre” cultura, mandando via chi non sa o non vuole fare; tutto il resto sono balle.
Se lo Stato avrà la decenza di non spremermi a morte confido di poter iscrivere i miei figli, quel giorno, in una università straniera.
Mi fermo qui perché sul sistema scolastico italiano ho dei pensieri decisamente querelabili.
@Giuseppe Lipari
Grazie, il suo cortese intervento mi è utile. Mi permetto di aggiungere un chiarimento ad una domanda che mi sono posto in precedenza. Non c’è dubbio che la “sfida” sia sulla qualità e non certo sul costo delle risorse – i cinesi sono tanti per giunta e la storia della nostra civiltà merita rispetto – ma l’andazzo generale non dirige, come lei osserva, i giovani neppure nella scelta della facoltà; aggiungo che l’inevitabile, meritocratico rigore nella selezione dei giovani che meritano investimenti sullo loro menti mi pare quasi del tutto assente, a beneficio di altri paesi che realmente scommettono sulla ricerca e sulla formazione senza generare dolorose illusioni ai laureati e alle loro famiglie sponsors. Il risultato, ad oggi, è che la scala dei valori da lei correttamente individuata sia di fatto una scaletta, percorsa in prevalenza da mediocri menti e da pochissime mediocri braccia. La sintesi estrema, spero di non cadere nel qualunquismo, è alla luce del sole: non troviamo, nel mercato, braccia e menti in numero, anche qualitativamente, adeguato al fabbisogno. Un tempo fuggivano solo i cervelli, oggi forse anche i “normali”.
@Giuseppe Lipari
L’indagine di Almalaurea ad esempio
http://www2.almalaurea.it/cgi-php/universita/statistiche/framescheda.php?anno=2009&corstipo=tutti&ateneo=tutti&facolta=tutti&gruppo=tutti&classe=tutti&postcorso=tutti&annolau=1&disaggregazione=gruppo&LANG=it&CONFIG=occupazione
Prendiamo ad esempio i laureati in ingegneria.
Eta’media di laurea: 25 anni
Stipendio medio primo impiego (netto mensile): 1132 euro
Dato mediato sul 44.1 % di laureati in ingegneria che dichiara di lavorare a un anno dalla laurea.
Se si prende il rapporto “Education at a Glance 2009” sembra che il vantaggio competitivo di una laurea rispetto al diploma, sia che con la laurea e’piu’ facile trovare
lavoro che senza. Ma questo non implica necessariamente che, per il lavoro trovato, la laurea costituisca un plus. Uno sguardo all’indagine Almalaurea (le voci “UTILIZZO E RICHIESTA DELLA LAUREA NELL’ATTUALE LAVORO” e “EFFICACIA DELLA LAUREA” sono interessanti a questo proposito).
Tenendo conto dell’indagine Almalaurea, io ne deduco che le aziende assumono
laureati per fare il lavoro di diplomati (d’altra parte basta uno sguardo a monster.it).
Lei cosa ne pensa?
@vincenzo: penso che la sua analisi sia in parte corretta. Molte aziende qualificano un laureato in ingegneria come se fosse un diplomato, e lo pagano come una colf. Purtroppo. Negli altri paesi non succede, e questo sembrerebbe darle ragione: in Italia non servono tutti questi laureati, se ne produciamo troppi dovremmo esportarli (come in parte succede). Probabilmente lei conclude che per evitare questo spreco bisognerebbe ridurre gli investimenti in formazione e produrre meno laureati, magari di miglior qualità.
Eppure, c’è qualcosa che non torna, perché se incontro qualcuno dal mondo delle aziende, spesso mi chiede se ho qualche giovane neolaureato da raccomandargli. In effetti, non sono sicuro che le stesse aziende che sottopagano il laureato si accontenterebbero di assumere un diplomato al suo posto. Anzi, a pensarci bene direi proprio di no.
Perché allora lo pagano così poco? suppongo che in parte sia una questione di domanda e offerta, ma solo in parte, perché comunque trovano tutti lavoro prima o poi. Probabilmente cercano tutti neolaureati “di qualità”, quello con il 110 e lode, mentre si trovano in giro moltissimi laureati “mediocri”, di bassa qualità che stentano a trovare buoni lavori. Probabilmente la richiesta di un maggior numero di laureati dalle Università si è tradotta in un abbassamento della qualità generale: ora moltissimi si laureano presto, ma con una preparazione nettamente inferiore a quella di una volta.
C’è un altro fattore da considerare: nel mio ramo, gran parte del lavoro è di tipo “consulenza”: ad esempio, aziende tipo Cap Gemini, veri e propri mercanti di ingegneri, che affittano ad ore a carissimo prezzo a grandi aziende affamate di lavoratori temporanei. I ragazzi vengono sottopagati, e infatti dopo massimo 3 o 4 anni fuggono verso lidi migliori. Recentemente uno studente (brillante!) mi ha raccontato l’offerta di Cap Gemini, ottenuta dopo ben 3 prove di selezione: 3 mesi di formazione a 400 euro al mese, seguiti da un contratto temporaneo minimale! Naturalmente gli ho consigliato di fargli una bella pernacchia e di cercare meglio in giro. Mi chiedo: avrebbero preso un diplomato in sostituzione? Non credo proprio. Le assicuro comunque che si trova di molto meglio di queste “offerte” (magari *non* su monster.it).
Tutto sommato, se guardo ai miei studenti dell’Università, anche quelli meno brillanti, secondo me vale ancora la pena di laurearsi in ingegneria in una buona università, possibilmente con ottimi voti, piuttosto che cercare lavoro come diplomato.
Comunque, a parte queste mie sensazioni personali quello che mi preme dire è che secondo me, producendo meno laureati la situazione generale non potrà che peggiorare. Se vogliamo che questo paese vada avanti: le aziende devono mettersi in testa di investire sull’innovazione; le università devono puntare sulla qualità e in subordine sulla quantità. Io non vedo alta alternativa.
@Giuseppe Lipari
Tirerei le somme, perche’ qui il discorso si fa dispersivo. Per mia esperienza, i laureati
sono una delle prime risorse che esportiamo all’estero, dove il saldo e’ assolutamente a nostro favore (sono piu’ gli ing. italiani in Francia che gli ing. francesi in Italia).
Un consulente Capgemini francese (e Accenture pure, non ho conoscenze dirette di altri societa’ di questo tipo; per altri tipi di consulenza, ad esempio Bain o McKinsey, mi sembra ricordare fosse analogo) prende tra il doppio e il triplo di uno italiano (se assunto, non considero ovviamente gli stage). Di conseguenza mi chiedo che senso abbia, per un neolaureato, cercare lavoro qui. Non mi sembra che un italiano uscito da una buona universita’ tecnica abbia difficolta’ a trovare lavoro in Francia, Germania, Olanda e pure UK (anche se li’ adesso e’ piu’ dura).
Le mie “insinuazioni” su Giannino nascono dal fatto che sentirlo in trasmissione con la Gelmini, qualche tempo fa, gongolare perche’ l’universita’ e il mondo della scuola si avvicineranno all’industria fa ridere. L’universita’ italiana, considerando l’export dei suoi laureati, non conosce crisi!
L’ultimo tentativo di avvicinare l’universita’ alle richieste di Confindustria ha portato al 3+2. La prossima volta che si fara’? Si abolirá lo studio delle lingue, per tenerci qui, e si modificheranno le mense per adattare il metabolismo dei ragazzi a sopravvivere con soli crackers (che e’ il massimo che si possono permettere)?
P.S. Ritengo al contrario che monster sia un ottimo sito, perche’ permette di farsi in fretta un’idea del tipo di offerta entry level che si puo’ avere in una zona sconosciuta, per una determinata area tematica, se non si hanno conoscenze in zona (sia nel senso di “segnalazione”, sia nel senso piu’ deteriore del termine).
@vincenzo: ha ragione, concludiamo.
Che proporrebbe lei quindi? Di produrre meno laureati? Chiudiamo baracca e andiamo tutti all’estero? la tentazione per me è sempre fortissima, specialmente adesso che le mie speranze di diventare ordinario sono ridotte al lumicino. Che ne vogliamo fare di questo paese?
Quanto al populismo politico, ne sono disgustato quanto lei, ma non credo Giannino lo faccia “per mangiare”.
Monster.it secondo me è un ottimo sito per cercare lavoro poco qualificato. Le aziende che conosco io non cercano laureati su monster, evidentemente io e lei abbiamo in mente un diverso tipo di mercato.
@Giuseppe Lipari
Io sono molto preoccupato dal fatto che si creda davvero che il mondo dell’industria
debba ispirare *gratis* le scelte degli atenei. Se gli industriali vogliono farlo e’ semplice: basta che inizino a cofinanziare/finanziare i progetti di ricerca, e gli atenei,
autonomamente, si arrangino.
Sono inoltre un po’ infastidito dal piagnisteo di molti neolaureati: se decidono di restare in Italia sono fatti loro. Probabilmente a furia di sentirsi dire che valgono 1000/1200 euro al mese, tendono a sottovalutare la loro preparazione, che e’ invece spesso competitiva all’estero.
Inoltre: ero un po’ provocatorio, mica dispregiativo. Certo che Giannino lo fa per mangiare. Infatti se io e lei siamo qui a discutere e’ grazie alle sue uscite. Sa come alimentare il dibattito, sul fatto che creda ciecamente a cio’ che dice ho i miei dubbi. Insomma: fa il suo lavoro.
p.s. monster.it e’ secondo me ottimo a fini “statistici”, un po’ come l’indagine di Almalaurea. Per trovare davvero lavoro… non ne ho la minima idea 🙂
Luigi Frati ha sposato la figlia di un barone e ha fatto carriera all’ombra del suocero e della CISL.
Non ha mai fatto ricerca in vita sua, ma solo politica, gestendo in modo clientelare concorsi e poltrone.
Proprio un moralizzatore ….
@vincenzo
Vedo che alla fine i punti di convergenza fra noi due sono maggiori dei punti di divergenza! 🙂 Discutere fa sempre bene. Quanto al lavorare gratis per le aziende: nella mia università abbiamo smesso da tempo, spero sia lo stesso per gli altri!
Mi permetto di esprimere il mio (modesto) parere,sono stato studente di ingegneria civile a padova e devo dire che a parte lodevoli eccezioni i prof non sono all’ altezza della situazione,è come in un cesto di mele ne basta una sola che rovina tutto il resto,quindi a mio avviso il sistema dovrebbe essere in qualche modo resettato e ripartire dalle basi è un modo (l’ importante è che si arrivi all’ apice poi).Sono pochissimo collegati al mondo del lavoro (vero e non politica),a lezione non si fanno capire ed il massimo (per loro) è uno che ha una memoria mostruosa ma non una testa pensante,ora non serve a nessuno avere studenti che sanno tutto ma hanno capito poco e la colpa in primis è dei professori(?),quanto alle aziende(!) il discorso è diverso in quanto ogni settore deve fare la sua parte e le aziende devono investire in preparazione sui giovani,con esperienza sul campo (in poche parole facendo gli imprenditori) e poi raccogliere gli eventuali frutti del loro investimento.Questo è puntualmente disatteso, ma non solo per miopia delle aziende ma anche per la loro dimensione che non permette di innovare in quanto carenti di disponibilità economiche.Uno dei possibili punti su cui intervenire è il limite dei 15 dipendenti, per quel che riguarda le tutele dello articolo 18 dello statuto dei lavoratori ed inoltre dare un agevolazione fiscale del tipo per 2 anni non paghi contributi e irap sulle nuove assunzioni ( di laureati) dopodichè se negli anni non trasformi almeno un 30% di tali assunzioni a tempo indeterminato restituisci tali agevolazioni(insomma carota e bastone).Bisogna mettersi in testa che se ogni parte non fa ciò di propria competenza andiamo a fondo tutti.Una semplice regola per le università professori e ricercatori debbono “produrre risultato” altrimenti via essere licenziati se vale per un operaio…
@Giuseppe Lipari
Il nocciolo della questione: che preparazione serve allo studente italiano?
Serve una scuola che consenta l’avviamento alla professione a 18 anni. Vi è stato un degrado della media superiore spaventoso. Diplomati tecnici che non sanno fare sottrazioni di numeri negativi. Ma tant’è; come dice mia moglie, insegnante elementare, i bambini a scuola si devono divertire… Le nozioni sono secondarie.
Caro Giannino,
la ascolto anche su radio 24 ma francamente stento a capire di cosa diavolo stiamo parlando. Vedo che tra i commenti abbondano le considerazioni fuor di luogo e i falsi palesi (cosa sono gli “assistenti”? Questa figura non esiste più da un secolo!) e vorrei suggerire questi spunti di riflessione, a mio avviso più seri delle polemicucce superficiali:
1. Il rettore Frati dice che il 10% dei ricercatori sono fannulloni e francamente devo dirle che mi pare una gran notizia, giacché fra gli ordinari, così come in ogni comparto della vita economica, del settore pubblico come di quello privato, la diceria è che siano molti di più: per contrasto, lo sa il rettore Frati che ci sono decine di ricercatori che hanno vinto il concorso da anni e da anni attendono la “chiamata”, e intanto continuano a lavorare, nella ricerca e nella didattica, del tutto gratuitamente? Recentemente mi è capitato di assistere a dei consigli di facoltà dall’andamento schizofrenico: nella prima parte si annunciano tra il rullo di tamburi e Mastro Titta che brandisce l’ascia, nuovi criteri ferrei per valutare la ricerca; nella seconda parte si intima ai ricercatori di non rompere le scatole con le fisime della ricerca, e pensare piuttosto ad insegnare, giacché con pensionamenti , prepensionamenti e blocco del turn over, stanno venendo rapidamente a mancare i cosiddetti “requisiti minimi di docenza” previsti dalla legge per tenere aperti i corsi di laurea (e già ne sono stati chiusi o stanno per essere chiusi a centinaia).
2. Anche la scelta bipartisan di mandare i docenti in pensione a 65 anni, anziché a 70, in assenza di concorsi ha un solo e unico risvolto: chiudere centinaia di corsi di laurea per mancanza di “requisiti minimi di docenza”, appunto, e mettere in ginocchio l’intero sistema. L’intero dibattito sull’università segue quest’andamento schizofrenico: da un lato si chiede ai ricercatori di dedicarsi con maggiore impegno alla ricerca, e dall’altro glielo si impedisce; da un lato si dice di puntare alla meritocrazia, ma dall’altro si dà una botta in testa a tutti indistintamente; da un lato si dice di “lottare contro le baronie”, dicendo di voler mandare gli ordinari in pensione a 65 anni, dall’altro non si dice affatto che li si rimpiazzerà con dei giovani, con la conseguenza semplicemente di chiudere cattedre e corsi di laurea un po’ a casaccio, quando questi se ne andranno. La realtà è che i ricercatori, un terzo del corpo docente, un corso universitario su tre -a questo ammonta la cosiddetta “ricerca”- sono stati “messi ad esaurimento”, espressione lugubre che richiama il binario 21, senza alcuna selezione meritocratica, ma solo anagrafica (sono i più giovani, cioè i quarantenni). Non si vuole la terza fascia, ma non si sa cosa farne di quei 25.000 che nella terza fascia stazionano; il ddl approvato in commissione persevera nell’ambiguità secondo cui costoro “possono” (espressione che da un paio di lustri è regolarmente interpretata come “devono”) insegnare quanto ordinari ed associati (e del resto se non lo facessero, l’università tutta andrebbe in malora), senza alcun riconoscimento della loro funzione docente.
3. Dulcis in fundo, mentre i siti dei quotidiani rilanciano la notizia secondo cui sarebbe in arrivo un emendamento bipartisan che punterebbe a sbloccare gli scatti economici degli ambasciatori, per gli universitari invece, nessuna pietà, specie per quelli con meno potere e minore anzianità:
“un ordinario anziano perderà 6402 euro per il blocco degli scatti e 7530 euro per il mancato adeguamento Istat. Un giovane ricercatore perderà 6642 euro per il blocco degli scatti e 5650 euro per il mancato adeguamento Istat. È stato inoltre calcolato che il peso percentuale dei tagli sulla retribuzione annuale di un giovane ricercatore sarà del 32,7 per cento, mentre per un professore ordinario l’aliquota dovrebbe essere del 6,91 per cento. Data la disparità di reddito, all’incirca 80 mila euro annui, l’iniquità è sotto gli occhi di tutti. ” (comunicato sindacale della CGIL, che pure, nello sfascio generale dell’università ha le sue colpe).
Inutile ricordarLe che un ricercatore non confermato guadagna tra i 1200 e i 1500 euro, e prima del blocco ascendeva alla mirabile somma di 1600 euro alla conferma (operazione questa, sovente inutilmente laboriosa, che per ragioni insondabili dura sovente più di un anno, manifestazione di un paternalismo e di un nepotismo dispensatori di favori col contagocce .. ma … “conferma” de che? È mediamente gente che insegna da dieci anni, la quale, più che di rodaggio, ha bisogno di sostituzione di qualche ingranaggio…), sebbene quelli di una volta (molto tempo fa) avessero pure il privilegio addirittura di qualche scatto ogni tanto: ma insomma, di cosa stiamo parlando? Dove sarebbe la selezione meritocratica?
4. Qui c’è soltanto una selezione darwiniana, giacché molte persone normali non possono sopravvivere a queste condizioni. Gli ultimi ricercatori stabilizzati dopo anni di precariato, specie quelli in attesa del giudizio di conferma, subiranno TUTTI una botta terribile in testa che certo non li motiverà nella loro attività creativa, ma li indurrà solo alla rassegnazione. A sentire certe gazzette, qui sembra che ci sia una generazione intera – quella che si è sorbita mediamente dieci anni di precariato e quintali di concorsi, più o meno onesti- che rifiuta valutazione e selezione, quando al contrario la reclama, non avendo i più, mai conosciuto le autostrade, le carriere facili e le “ope legis” della generazione che li ha preceduti e anzi, dai comunicati delle assemblee che circolano in rete, si evince che con poche eccezioni, in generale si RIFIUTA l’idea stessa di “ope legis”. Non chiamerei inoltre “ope legis”, come ha fatto Lei, la stabilizzazione che, nel quandro di una concezione paternalistica e nepotistica, come dicevo, attualmente sopraggiunge dopo un lustro o più, come riconoscimento a posteriori di una spremitura a sangue (lo so che vi sono le eccezioni, nel bene come nel male). Le chiedo solo dov’è la ratio in tutto questo e dove intravede un sia pur fievole barlume di meritocrazia: ma secondo Lei la gente studia vent’anni per farsi prendere per gli zebedei?
Diabolicamente, Suo Azazello
“Il 30% dei ricercatori a Giurisprudenza non ha prodotto nulla nell’ambito della ricerca scientifica, e in generale alla Sapienza il 10% dei ricercatori non ha prodotto nulla in 10 anni”-Il Rettore Frati stesso rettifica su RAI3, il giorno dopo, spiegando che per RICERCATORI intendeva tutti gli addetti alla ricerca ovvero RICERCATORI, PROF. ASSOCIATI E PROF. ORDINARI. Quando fa comodo siamo tutti docenti e quando fa comodo siamo tutti ricercatori. Che bella la versatilità.
“I ricercatori sono infatti l’ultima leva della proliferazione ope legis di figure docenti nell’Università italiana” – ope legis per i ricercatori? stiamo mica parlando delle mega infornate di Professori (PO, PA) di una 20ina di anni fa?
Dr. Giannino (Sig. Giannino? mettere Dr. la offende?) darle addosso no, nemmeno arrivo a dire che non capisce nulla, ma un po’ d’INFORMAZIONE, la prego!
Fabrizia
manovra che blocca gli scatti di anzianità: è una imposta progressiva al contrario che dura per l’eternità: oltre il 37 per cento di decurtazione per i giovani, intorno al 6 % per chi è a fine carriera. Di qui lo slogan della “Rete 29 aprile” che raccoglie la maggioranza dei ricercatori: «Tremonti tassaci», una tassa non è per sempre ma per l’emergenza. Lo stesso relatore di maggioranza Giuseppe Valditara chiede che gli scatti, «già restituiti ai magistrati, siano ripristinati per gli universitari».”
http://www.unita.it/news/scuola/101573/universit_la_chiamano_riforma_ma_sono_solo_tagli_atenei_in_rivolta
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…a parte l’amletico Valditara che dà tutta la colpa a Tremonti (un gioco delle parti, come il poliziotto buono e quello cattivo), io non so cosa dice la scuola di Chicago intorno a questo modo di intendere il pensiero liberale e la meritocrazia. Se non risultasse sconcio, potrei però riferirle come lo interpretano certi liberi pensatori all’ “università” del bar dello sport….
..leggo nel programma rivoluzionario della ministra Gelmini:
– Saranno gli studenti a valutare i professori e il loro giudizio sarà determinante per l’attribuzione dei fondi all’Università da parte del Ministero.
…”vaste programme”… e poi saranno i caporali a comandare i generali e gli automobilisti ad infliggere contravvenzioni ai vigili urbani; per adesso la valutazione ha sortito questi effetti: un professore è buono se non fa un cacchio e dà trenta a tutti. Cattivo altrimenti. Il professor giovane (come il supplente di scolastica memoria) è mal giudicato per dileggio, mentre il barone è ossequiosamente ben giudicato, anche se non fa un tubo. Non sono a conoscenza di casi in cui un bossiano “professurun” sia stato mal giudicato perché irreperibile (o se è accaduto, ciò non ha fatto notizia e il suddetto se ne è abbondantemente strafregato). Nei questionari che vengono distribuiti agli studenti (in una università dove in generale non è previsto l’obbligo di frequenza), illustri latitanti che assistono ad una lezione su cinque scrivono che “il professore non è stato chiaro (infatti non ho capito niente)”….
– Per i ricercatori si prevedono contratti a tempo determinato di 3 anni rinnovabili di altre 3. Al termine dei 6 anni, se il ricercatore sarà ritenuto valido dall’Ateneo, sarà confermato a tempo indeterminato.
… manca un altro “se”, ossia “se ci saranno i quattrini” (e non ci saranno): “se per un miracolo del cielo ci fossero i quattrini, forse verrebbe confermato a tempo indeterminato”, da intendersi come periodo ipotetico dell’irrealtà . Resta il fatto che con le tenure tracks vere proprie, questo novello precariato, che consiste ancora nel tenere sotto casa un pollaio di precari per poi offrire qualche prospettiva soltanto a uno o due (sempre in presenza del miracolo di cui sopra), c’entra poco o niente: pare che in America, quando bandiscono una tenure, provvedano ad accantonare i danari che serviranno per l’intera carriera del vincitore.
Soggiungo che l’unica riforma sensata sarebbe stata l’abolizione dell’autonomia universitaria, “fons et origo malorum”: se è vero che gli atenei sono troppi, se (come si vocivera) il futuro è “federalista”, cioè a dire nella federazione degli atenei di una medesima regione, allora la manovra sensata sarebbe stata chiudere alcune sedi e concentrare nelle rimanenti, competenze e specializzazioni a seconda delle vocazioni locali e delle tradizioni d’eccellenza presenti in loco. Ma a ciò serve quella cosina che con l’autonomia universitaria è stata cancellata: la mobilità. Quello che vedo è piuttosto il contrario, ossia la dispersione delle competenze e la polverizzazione della ricerca e dei gruppi di ricerca; i ricercatori – quelli a cui ostinatamente si rifiuta ancora di riconoscere il rango di “docenti”- vengono disseminati di qua e di là per i diversi corsi di laurea ad insegnare le cose più stravaganti (caro Giannino, mi creda, della “ricerca”, di cui molti si riempiono la bocca, non costituisce una priorità) allo scopo di coprire gli organigrammi e realizzare i numeri necessari per soddisfare i cosiddetti “requisiti minimi di docenza”, dopo che i pensionamenti hanno creato falle considerevoli nella didattica un po’ a macchia di leopardo.
Sono un ricercatore universitario, e non condivido la sua osservazioni sulla protesta contro il DDL Gelmini e la posizione del rettore Frati, intanto non considero il DDL in questione una riforma, in Italia dopo quella di Gentile non sono state fatte riforme vere
dell’università ma solo una serie di norme che spesso sono servite solo a prendere atto della realtà senza proporre nulla di nuovo.
La cosa singolare è che Frati punta il dito contro certi ricercatori, ma non parla, ad esempio, dei professori a tempo definito, per capirci quelli che entrano il lunedì mattina prendono il biglietto da visita e poi vanno a lavorare fuori facendo i medici, avvocati, ingegneri etc.., questa figura del professore a tempo definito è unica in Europa. Oggi gli impegni didattici dei professori sono fissati da una norma degli anni 50, un professore deve tenere obbligatoriamente un corso, indipendentemente dalle ore di lezione frontale, negli altri paesi un professore fa almeno 120 ore di didattica frontale, di questo Frati, volutamente, non ne parla, né il DDL Gelmini colma questa lacuna. Il meccanismo Darviniano di dare fondi alle università migliori serve solo ad aumentare le differenze Nord Sud, è chiaro che è più facile avere contratti con le aziende se si è a Milano piuttosto che a Palermo, o che i fondi che da la regione autonoma all’Università sono superiori a quelli che può dare una regione a statuto ordinario, non è un caso che la classifica stilata dal ministero mette nelle prime posizione i due politecnici del Nord e l’università di Trento.
In tutti i paesi le strutture di eccellenza non sono diventate tali, ma sono nate così, grazie ad una scelta politica ben precisa. Le faccio un esempio, Cambridge ha 7000 studenti tutti selezionati, 13.000 dottorati ed una classe di professori ristretta scelta a livello internazionale, in Italia nessuna Università ha queste caratteristiche, ne si avvicina a questi standard solo le strutture di eccellenze (Scuola Normale, SISSA di Trieste) hanno questi rapporti seppur con numeri più piccoli. Per quel che riguarda i ricercatori sono difatto costretti ad avere un carico didattico spesso superiore hai professori della loro materia, vi è una incapacità da parte dei rettori di ottimizzare i corsi proprio perché sono ostaggi dei loro colleghi professori, le faccio un esempio: a Ferrara abbiamo un corso di fisioterapia con 20 matricole, a Modena a pochi chilometri da Ferrara c’è un corso analogo, perché non fare un solo corso con 40 matricole? Perché dobbiamo far gestire hai soliti professori i corsi a contratto e distribuire ad amici, compagni di partito, compagni di merende a vario titolo i biglietti da visita di professore. In Italia abbiamo oltre 100.000 (centomila) professori a contratto molti di questi fanno a titolo gratuito 2 ore di lezione annue per euro 0 ( zero) in cambio hanno un bel biglietto da visita di professore spendibile fuori dall’università, come ricercatori abbiamo chiesto sin dalla riforma Moratti di mettere un minimo hai contratti , ameno 5000 euro, ed un massimo al numero di contratti che può dare ciascuna facoltà, ma la lobby dei suoi amici professori ha detto no.
Se come ricercatore non vedrò valorizzato tutto il lavoro didattico che ho fatto a titolo gratuito in questi anni non farò didattica da settembre in poi e mi concentrerò solo sulla ricerca cercando di vincere uno dei pochi concorsi che ci saranno, poi se ci saranno dei corsi scoperti il problema le devono risolvere quei professori amministrano l’università.
Sig Giannino, il sistema universitario italiano, così come è configurato è ad uno stadio terminale, il suo intervento è paragonabile all’ accanimento terapeutico che si fa a certi malati.
Oscar Ascenzi ( Università di Ferrara e membro del direttivo del C.N.R.U.)
LA rivoluzione dei KAMIKAZE
Nell’ampiezza delle critiche ad un DDL – che si avvia all’approvazione- penso si sia accantonato – o perso di vista – un problema centrale legato al DESTINO DEI RICERCATORI A TEMPO INDETERMINATO (già in servizio). I ricercatori andranno messi ad esaurimento – nel vero senso della parola – sino a quando sono serviti a mantenere i Corsi di Laurea potevano anche ESSERE DOCENTI anzi scusate “FARE I DOCENTI”, ma adesso RESET!!!!!
I RICERCATORIDOCENTI ritorneranno a fare gli assistenti, si “concentreranno” di nuovo solo nella ricerca e buoni buonini aspetteranno i nuovi concorsi. E’ una carriera DILUNGADURATA!!!! Molti doveri e pochi diritti!
Tra ESSERE DOCENTE/PROFESSORE E FARE IL DOCENTE/PROFESSORE paradossalmente – PASSAUNA BELLA DIFFERENZA.
MAH, POVERI PATETICI RICERCATORI. POVERI perchè hanno svolto attività didattica a basso costo, PATETICI perchè hanno lavorato il doppio, il triplo, dovendo dimostrare di essere in grado di svolgere il loro compito primario – la ricerca- da sempre motivo di stima o di deprezzamento da parte dei “superiori”. La stessa attività di ricerca/PRODUZIONE SCIENTIFICA(pubblicazioni/organizzazioni di progetti formativi/workshop/organizzazione e/o partecipazione di convegni nazionali e internazionali ecc), che ci ha consentito -con i nostri curriculum- di accedere per affidamento e/o supplenza all’attività didattica. MA RIFLETTIAMO: non siamo stati professori, abbiamo fatto i professori. Non ha più alcun valore il giudizio del corso di Laurea che ci ha ritenuto idonei a svolgere l’attività didattica?
Ricordiamo che anche – e dico anche- con questi DOCENTIRICERCATORI si sono laureati molti studenti. Questi Ricercatori hanno guidato, istruito, giudicato gli Allievi. Anche loro- adesso- increduli: AH scusi perchè Lei non era professore? Vai a spiegare…..
POVERI PATETICI RICERCATORI.
Dunque adesso RI-ASPETTEREMO I CONCORSI, magari molti di noi li hanno già fatti, hanno svolto la fatidica LEZIONE, (QUANTE LEZIONI CON I NOSTRI ALLIEVI!!!!) e sono stati giudicati meritevoli. Negli ultimi concorsi del 2008 -poi effettivamente svolti nel 2010- qualcuno “è passato di ruolo”, gli ALTRI ancora FUORI: ci dispiace, il posto è uno, l’idoneità pure, sarà per la prossima volta…..
PARADOSSALE, DISGUSTOSO, PENOSO, DISEDUCATIVO per i nostri giovani ricercatori, che adesso con la nuova legge invece dopo sei anni potranno diventare associati. Noi POVERINI pagheremo il fatto di essere quelli di transizione. LUNGA TRANSIZIONE!!! DEIVERIKAMIKAZE!!!!
Questa sera la Gelmini su TG1 ha nuovamente affermato che per noi saranno messi a disposizione dei fondi che ci consentiranno di accedere ai concorsi per passare di ruolo. ANCOOOOORA!!!!!
MA COSA ANCORA DOBBIAMO DIMOSTRARE!!!! Se per ben 6 anni abbiamo fatto attività didattica CONTINUATIVA PER AFFIDAMENTO E/O SUPPLENZA e siamo stati considerati idonei dal corso di laurea e dai nostri stessi allievi. COSA DOBBIAMO ANCORA DIMOSTRARE!!! I ricercatori non attivi che non svolgono didattica e ricerca sono un numero assolutamente esiguo rispetto al numero dei ricercatori ATTIVI. SIAMO MOLTI; MOLTISSIMI, PERCIò andiamo messi ad esaurimento. Altro che MERITOCRAZIA per QUELLI CHE VOGLIONO PASSARE DI RUOLO IN AUTOMATICO. IN AUTOMATICO? SIAMO PAZZI? MA SAPETE DA QUANTO TEMPO ASPETTIAMO DI AVERE RICONOSCIUTO I NOSTRI DIRITTI? SAPETE DA QUANTO TEMPO LAVORIAMO PER UNA MANCIATA DI SOLDI? AH SCUSATE!!!! SIAMO CERTAMENTE PIù Fortunati rispetto ad altri che ne sono rimasti fuori -e sono tanti!!! MA BASTA!!!!
BASTA FARSI STRUMENTALIZZARE!!! E’ ora che si ascoltino le nostre ragioni, è ora di ribadire i nostri diritti per continuare ad onorare i nostri impegni, è ora che si dia voce ad UNA DIGNITà DI RUOLO CHE CI SPETTA PER MERITO DIMOSTRATO. AMPIAMENTE DIMOSTRATO. (Ricordiamo che nella stessa scuola professori si diventa per concorso diretto o costruendo la carriera con attività di supplenza in campo). CI diranno ancora una volta che non vi sono i soldi.
E’ questo il problema. NON CI SONO LE RISORSE ECONOMICHE.
Continueremo ad aspettare i nuovi CONCORSI perchè nell’immediato non vi sono i soldi per farci idonei nel ruolo di ASSOCIATI, nel frattempo molti di noi andranno via e ci toglieremo/toglieranno “elegantemente” di mezzo, noi Ricercatori a tempo indeterminato già inseriti ANDREMO AD ESAURIMENTO. Nel vero senso della parola. ALTRO CHE MERITOCRAZIA!!!!
Ma BASTA…..L’unica soluzione seria è che si trovino le soluzioni per RICONOSCERE una dignità di ruolo che ci siamo guadagnati con merito, che si trovi il modo di elargire il dato economico nei tempi più opportuni fin quando si sbloccherà la crisi, ma nel frattempo si riconosca il passaggio di fascia ad ASSOCIATO a quanti -e sono tanti- che hanno lavorato con coscienza. Già gli Atenei sono perfettamente in grado di testare la nostra produzione scientifica e didattica. MA SI VUOLE ESSeRE CIECHI E SORDI. POVERI PATETICI RICERCATORI che si avviano alla RIVOLUZIONEDEIKAMIKAZE………
Non è vero che non ci sono risorse per far diventare i ricercatori prof. associati, nei prossimi anni ci saranno 10.000 pensionamenti.
Il problema è che i professori attuali non vogliono le 120 minime di didattica frontale, cio’ blocca qualsiasi tentativo di ottimizzazione delle risorse.