Ventisette anni di Organizzazione Mondiale del Commercio
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Dario Ciccarelli.
Ventisette anni fa, il 15 aprile 1994, veniva firmato a Marrakech il Trattato che istituiva l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Con la firma del Ministro del Commercio con l’estero del tempo, Paolo Baratta, l’Italia diveniva Membro fondatore della nuova Organizzazione. Fu una rivoluzione. Nel sistema giuridico del mercato globale, disegnato dal Trattato dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel suo combinarsi con le altre fonti del diritto internazionale, le imprese degli Stati aderenti hanno il diritto di esportare. Ciascuno Stato importatore, vero, può contribuire a modellare – con regole nazionali non discriminatorie, che tutelino interessi nazionali extracommerciali riconosciuti come meritevoli di protezione (morale pubblica; salute umana, animale e vegetale; tutela del patrimonio storico-artistico; tutela del consumatore; etc.) – tale diritto a esportare. Tuttavia, grazie all’Organizzazione Mondiale del Commercio, dal 1 gennaio 1995 è ormai il diritto, e non più l’arbitrio opaco del potere, a disciplinare la competizione internazionale tra i talenti. Ogni volta che un Membro contesta una presunta violazione delle norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio commessa da un altro Membro, ai tavoli di Ginevra si attiva un interessante confronto tecnico-giuridico, attraverso il quale, con il contributo di tutte le delegazioni interessate, ed eventualmente con l’intervento di autorevoli giudici, l’umanità intera, di fatto, consegue ogni giorno equilibri più avanzati nel rapporto tra dimensione commerciale e dimensione extracommerciale e nel processo di sviluppo sostenibile del pianeta.
Per descrivere l’Organizzazione Mondiale del Commercio ventisette anni dopo la sua istituzione, occorre prendersi la responsabilità di raccontare perché essa è così poco presente nel vissuto delle persone comuni. Ebbene, una delle principali distorsioni nell’osservazione e nell’analisi del sistema OMC risiede nel considerarla un foro politico-diplomatico. Attraverso tale lente, si tende, per esempio, a considerare la formalizzazione di nuovi accordi (round) come il principale indicatore del successo dell’Organizzazione. Questa lettura è palesemente inadeguata a descriverne la missione e i contenuti. L’essenza del sistema è infatti giuridica. E’ il diritto il pilastro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (“From Diplomacy to Law: the Juridicization of International Trade Relations”). Mentre l’Accordo GATT, siglato nel 1947, accordava a ciascun Membro il potere di impedire l’attivazione di una controversia, l’Organizzazione Mondiale del Commercio è nata libera da tale limite.
Nei casi in cui un Membro ravvisi la violazione, da parte di un altro Membro, di una o più regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il Membro che si ritiene ingiustamente danneggiato ha il diritto di attivare una controversia, attraverso la quale un collegio giudicante (1° grado: Panel; 2° grado: Organo permanente di appello) verifica l’effettiva sussistenza della violazione e, se del caso, condanna la parte convenuta a riallinearsi al diritto OMC. Nel caso in cui lo Stato condannato manchi di ottemperare all’obbligo di riallineare la normativa nazionale alle regole degli Accordi, il sistema di soluzione delle controversie provvede ad autorizzare la parte danneggiata ad adottare specifiche misure di ritorsione, per un livello che dev’essere equivalente alle conseguenze dell’originaria infrazione. Il problema è che questo raffinatissimo meccanismo, che costituisce il punto più alto dell’ordine giuridico internazionale, continua a essere rozzamente narrato come “guerra commerciale”, dunque come rottura dell’ordine, invece che come suo massimo presidio.
Oggi i Membri che aderiscono all’Organizzazione Mondiale del Commercio sono 164, considerando in questo elenco anche l’Unione Europea, sebbene essa, non essendo né uno Stato né un territorio doganale separato con piena autonomia, non presenti i requisiti e lo status tipici previsti dal Trattato per la partecipazione al sistema (art. XII Trattato OMC).
Ogni decisione all’Organizzazione Mondiale del Commercio viene assunta all’unanimità. Una coralità che viene a scolpire il quadro formale del Commercium et Pax globale.
Il primo Direttore Generale eletto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio fu il napoletano Renato Ruggiero. «Imprenditori, politici, giornali: perché non guardate come il mondo sta cambiando?» si chiedeva, nel 1996, dalle pagine del Corriere della Sera.
L’Italia sta chiaramente attraversando un’involuzione culturale drammatica che non le permette di vedere e capire qual è il suo posto nel mondo. Per cui si assumono atteggiamenti superficiali e snobistici. E’ come se fossimo una vecchia marchesa che guarda la vita dalla finestra e non la capisce. Stiamo attraversando una grande rivoluzione: negli ultimi anni sono arrivati sui mercati due miliardi di individui che prima ne erano tenuti fuori e nei prossimi anni ne entreranno in campo altri due miliardi. E’ qualcosa che cambia tutto e ovunque provoca reazioni, positive e negative. Ma in Italia non se ne discute nemmeno… per una grande azienda o per un grande Paese come l’Italia, il mercato non è certo più quello nazionale e neppure solo quello europeo: il mercato è il mondo, sono 6 miliardi di possibili consumatori. Questa è un’enorme opportunità. Ma nello stesso tempo anche la concorrenza non viene più solo dall’ambito nazionale o continentale, ma da qualsiasi altro possibile concorrente nel mondo… L’alternativa alla globalizzazione è oggi la divisione del mondo in grandi aree regionali intercontinentali. La scelta di fronte a noi è quindi un mondo diviso in blocchi oppure un grande mercato regolato da un sistema universale di regole e discipline. Questa seconda opzione è quella del WTO.
“Paese Miope. Serve un colpo d’ala”, 29.12.1996, Corriere della Sera, Intervista a Renato Ruggier
A Marrakech, le nazioni dichiararono che, da allora in poi, avrebbero coltivato un gioco globale caratterizzato dal merito e dal diritto. Grazie a questo principio, miliardi di persone, negli anni successivi, hanno potuto trasformare la propria vita e accedere a nuove, straordinarie opportunità di sviluppo. Alcuni ci hanno perso qualcosa. Tantissimi ci hanno guadagnato moltissimo. Il nuovo gioco non ha raccolto ovunque entusiasmo. «Le autorità negoziali dell’Unione Europea… si sono espresse peraltro nel senso di non volere attribuire carattere self-executing o comunque efficacia interna diretta agli Accordi dell’Uruguay Round… Si tratta di una scelta criticabile, in quanto in contrasto con lo scopo e il risultato del negoziato… L’esclusione della diretta applicabilità… ci sembra di dubbia validità in presenza di norme obiettivamente self-executing» (Giorgio Sacerdoti, in “Diritto e Organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del Commercio”, Società Italiana di Diritto Internazionale, II Convegno, Milano, 1997).
Le nazioni europee hanno pressoché ignorato l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Anziché accettare di navigare nel mare della concorrenza globale, esse hanno essenzialmente neutralizzato la rivoluzione di Marrakech continuando a cercare riparo sotto il mantello dell’Unione Europea. «Gli accordi OMC non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie» (C-377/02, Corte di Giustizia delle Comunità Europee). «Almeno parte della nostra dottrina si è da qualche tempo posta in termini più concreti e quindi più produttivi, abbandonando finalmente la pretesa… di poter tutto semplicisticamente risolvere deducendo dalle solite generiche considerazioni sulla cd. sopranazionalità e quindi sulle finalità e le caratteristiche del processo d’integrazione comunitaria… [I fautori della ‘primauté’ del diritto comunitario]… peccando ancora una volta di… troppo amore comunitario, essi sono sembrati unicamente ispirati dall’ansia di ‘privilegiare’ a tutti i costi i trattati europei, per farne una sorta di supertrattati, di valore inusitato e di forza irresistibile, in nome non tanto di rigorose valutazioni scientifiche o di indiscutibili dati normativi, quanto di apodittiche proclamazioni di ‘novità’, ‘diversità’, ecc. direttamente connesse alla dichiarata superiorità e assolutezza dei fini politici ultimi perseguiti» (Antonio Tizzano, “Pretesa diversità di effetti del G.A.T.T. e dei Trattati comunitari nell’ordinamento italiano”, in “Il Foro Italiano”, 1973, n. 9, I, p. 2443-2452).
Riuscirà l’Organizzazione Mondiale del Commercio, ci si può oggi domandare, ad assicurare il primato del diritto e del merito? Avranno le nazioni più ricche e potenti il coraggio di competere apertamente e lealmente con le nazioni emergenti? Le classi dirigenti, i professori, gli intellettuali, gli opinion leaders dei paesi più agiati sapranno esporre sé stessi e le proprie posizioni alle sfide della concorrenza mondiale? L’Organizzazione Mondiale del Commercio vive dei comportamenti delle comunità nazionali che vi sono associate, non dispone di una significativa tecnostruttura centrale e non è impegnata nel marketing di sé stessa. Dalle acque del lago di Ginevra, i suoi princìpi si propagano silenziosamente e diffusamente, sull’onda del web e dell’intraprendere globale, erodendo i nuovi muri e i nuovi monoteismi ideologici e burocratici. La pandemia ha ricordato, nel modo più drammatico, che l’umanità è legata da un destino comune. E allora chissà che non sia proprio l’Organizzazione Mondiale del Commercio a rivelarsi come l’affascinante orizzonte unificante dell’era post-Covid.
Dario Ciccarelli
Già esperto commerciale (2003-2007) della Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio.