Venezuela o Svizzera: il futuro dell’Italia tra statalismo e libertà
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Carlo Marsonet.
Anche se secondo qualcuno – la maggior parte delle persone, in effetti, compresi gli studiosi – il mondo sarebbe infestato da “liberisti selvaggi”, la realtà delle cose parrebbe un po’ diversa. Secondo costoro, il problema è che il mercato e la diabolica ideologia ad esso sotteso, il “liberismo”, si sarebbero impadroniti del globo. In Italia, in particolare, vi è chi tuona con fare boriosamente moralistico contro la deriva liberista che sarebbe in atto ormai da anni (da decenni, magari, chissà: nel fantastico mondo dell’ideologia tutto è possibile). Secondo alcuni, perfino l’attuale leader leghista sarebbe un furfante liberista (sic!). Ma pazienza: il bambino che è in ognuno di noi amerà sempre le favole.
Per fortuna, però, qualche sacca di resistenza alla vulgata dominante esiste e si fa sentire. Carlo Lottieri in un recente volumetto edito dalla maceratese “Liberilibri” (Per una nuova Costituente. Liberare i territori. Rivitalizzare le comunità, 12 euro, pp. 92, con salace e godibile introduzione di Lugi Marco Bassani) cerca di opporvisi, invitando a guardare in faccia la realtà: niente di più, niente di meno. Ma, si sa, sovente questa è difficile da digerire, in particolare se lo sguardo dell’osservatore è coperto da uno spesso paraocchi e la realtà non si piega alla volontà ingegneristica e iper-razionalistica degli intellettuali, consiglieri del “principe”.
Dopo la pandemia, scrive il filosofo del diritto che insegna nell’ateneo scaligero, i problemi incancreniti di cui soffre questo Paese non potranno che esacerbarsi. Non c’è bonus, sussidio o regolamentazione che tenga: o si inverte radicalmente la rotta, o diventeremo un vero e proprio distaccamento dell’America Latina (peraltro già molto vicina, ascoltando discorsi di molti politici, e non solo). Il fatto è che da noi, il mito dello stato come fornitore benevolente di beni e servizi, portatore di pace e giustizia, difensore dei deboli e degli umili, ha in qualche modo attecchito (sebbene, curiosamente, dall’altro lato ci si lamenti quotidianamente della stessa identica entità: il tema del “doppio” si addice allo stato, o piuttosto ai cittadini, Jekyll in un momento, Hyde in un altro?).
L’Autore non fa mistero delle sue convinzioni: da libertario quale è, lo stato è ritenuto un male in sé, giacché falcidia l’assioma di non aggressione, per cominciare, così come crea incertezza più di quanta non ne elimini (la legislazione distrugge la certezza del diritto), manomette il processo di “scoperta dell’ignoto e correzione degli errori” (attuato dal libero mercato) e, infine, tende ad assorbire tutta l’esistenza degli individui, politicizzando ogni sfera e inaridendo i legami autenticamente comunitari. Il fatto è che lo stato, in Italia soprattutto, è un distruttore dell’ordine: quest’ultimo, infatti, non va pensato alla stregua di un progetto di una qualche “super-mente” che s’invera, bensì come il prodotto inintenzionale dell’interazione umana spontanea. Un ordine, insomma, non si costruisce: si scopre, si vive quotidianamente. Tale è, infatti, il diritto, ovverosia quell’istituzione, nobile segnale di civiltà, che emerge dalla fitta e complessa trama di rapporti in seno alla società.
Ebbene, lo statalismo vanifica tutto ciò e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, purché non siano abbacinati dall’ideologia. «A ben guardare, in ogni modo – osserva il cofondatore dell’Istituto Bruno Leoni – il fallimento economico della Repubblica italiana è conseguente al venir meno dello spirito autentico del diritto, quale insieme di regole poste a tutela dei singoli e della società, e questo perché il potere ha occupato ogni spazio. In tal modo – continua Lottieri – l’ordinamento ha smesso di essere un quadro di libertà, dove le norme sono lì per tutelare l’autonomia delle persone, mentre è diventato un docile strumento delle mani di pochi. È quindi evidente – conclude il suo ragionamento – che lo stesso crollo economico ha la propria radice più profonda in questa corruzione della vita civile».
Può continuare a esistere un’entità che ogni giorno conculca la libertà individuale, rapina le persone, lede la certezza del diritto, complica la vita degli individui con norme che lievitano e mutano ogni giorno (incredibilmente attuale quanto Bruno Leoni scrisse in Freedom and the Law, in Italia pubblicato dalla stessa “Liberilibri”: peccato che sia ignorato dai più), con una burocrazia che, anziché essere al servizio dei cittadini, li asservisce? Nel momento in cui lo stato da variabile dipendente diviene variabile indipendente, rendendo gli individui schiavi del suo potere e della sua autorità, distruggendo le comunità autentiche e la libertà di disporre della propria vita, libertà e proprietà, tali domande vanno poste con estrema urgenza. Quali che siano le risposte, si badi che lo schema idealtipico vede, da un lato, il modello Venezuela (o Argentina, se si preferisce), mentre il polo opposto è occupato dal modello Svizzera. È sufficiente scolpirsi indelebilmente in testa che il futuro non è scritto e, chi vuole essere libero, deve rivendicare il diritto di resistenza: la proposta di una nuova Costituente fatta del filosofo del diritto bresciano va precisamente in questa direzione.