Un’ovvietà sull’Eni e Berlusconi
Da quando Wikileaks ha rilanciato i dubbi dei diplomatici americani sul rapporto tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin – dubbi tanto poco riservati che l’ambasciatore Usa, David Thorne, li ha sollevati nella sua prima intervista dopo l’insediamento – tutti i quotidiani italiani fanno la gara a chi, sull’Eni, la spara più grossa. Il comune denominatore della “macchina del fango” è, grosso modo: le strategie dell’Eni in Russia sono dettate dagli interessi personali del Cav., e sono mosse dalla sua amicizia speciale con lo Zar. Credo che questa reazione corale e rabbiosa abbia un che di liberatorio: poiché dell’Eni non si poteva (fino a ieri) dir che bene, e non per nobili ragioni o per le virtù del Cane a sei zampe, adesso non si può dirne che male. Non avendo alcun complesso del genere e non avendo mai avuto atteggiamenti particolarmente teneri, credo di poter dire tranquillamente: avete letto un sacco di sciocchezze. Tutti hanno ricamato sull’inutile, e nessuno ha evidenziato l’ovvio.
Perché quello di cui si è parlato sia inutile, lo chiarisce molto bene Massimo Nicolazzi in un lungo articolo sul prossimo numero di Limes, anticipato oggi dal Foglio. Cito:
I governi, in questo non hanno fatto nè da leva nè da filtro. Al più, hanno fornito una qualche forma di assistenza. Le grandi amicizie, per dirla sommessamente, non c’entrano granchè.
E ancora:
La Politica con questo sviluppo sembra c’entrai assai poco. Per carità, è comunque meglio se il Nostro [Berlusconi] è amico dell’Altro [Putin]. Però siamo alla marginalità del marginale. E’ l’essere nemici che può far danni, e magari farti discriminare; e non è l’essere amici che da solo crea opportunità.
Infine:
[I russi, a proposito di Yukos, si sono detti:] Facciamola comprare da un amico fidato, col diritto di (ri)comprarcela a cose più chiare. L’amico prescelto fu Eni, che per essersi prestata ad un’operazione parente stretta di un portage si beccà dal Financial Times la patente di ‘utile idiota’. Idiozia peraltro benedetta (il Financial Times in realta’ era la voce dell’invidia), e dal cui contorno Eni ed Enel si sono assicurate un importante contributo di riserve di idrocarburi. La scelta di puntare sull’Eni non fu un mirabolante successo della nostra politica estera. Fu un successo dell’Eni. Ci giocarono anni di rapporti… Qualunque governo sensato non avrebbe potuto che incoraggiare. Un Presidente del Consiglio al posto di un altro non avrebbe fatto differenza alcuna.
Su quest’ultimo passaggio, preciso che io la penso diversamente sull’opportunità di partecipare all’asta per i brandelli di Yukos, ma sono perfettamente d’accordo con Massimo che qualunque governo si sarebbe comportato allo stesso modo di quello presieduto da Berlusconi. E lo avrebbe fatto perché, nella logica un po’ industriale, un po’ politica e solo un po’ economica che muove l’Eni (e dietro di essa i governi italiani) era perfettamente razionale comportarsi così. Il problema è proprio questo: non gli interessi personali di Berlusconi, che – per quanto rilevanti dal punto di vista politico – sono irrilevanti rispetto alla big picture che stiamo osservando. Non è che che Eni e Gazprom vadano d’amore e d’accordo grazie a Berlusconi: al massimo, Berlusconi, grazie alla sua amicizia con Putin, può trarre vantaggio da una relazione che esisterebbe comunque. In altre parole, tutti cercano di ingigantire le dimensioni di una storia che è piccola piccola, rispetto agli investimenti di cui stiamo parlando (a partire dal gasdotto South Stream, la cui vicenda è raccontata con obiettività da Stefano Agnoli). In altre e più nette parole: gli affari di Berlusconi, che siano verità o menzogna, sono importanti per Berlusconi e per il modo in cui lo valutiamo; sono del tutto irrilevanti per le strategie dell’Eni. Per cui, tutto il complottismo di cui avete letto sui giornali è roba da tanto al mucchio.
Ciò che invece conta è quello che non avete letto e che non leggerete. Ossia che c’è, nell’Eni, uno scandalo: uno scandalo che prescinde da Berlusconi e che investe chiunque stia a Palazzo Chigi. Lo scandalo è che l’Eni, essendo contemporaneamente una società controllata dal Tesoro e il più grande gruppo industriale italiano per capitalizzazione di borsa, è un cappio al collo della libertà di mercato in questo paese. Non è che l’Eni subisca la politica: l’Eni fa la politica. E la fa per l’ottima ragione che c’è un perfetto allineamento di interessi tra l’Eni e il governo, da qualunque partito politico sia detenuto. Finché l’Eni fa soldi, il Tesoro incassa dividendi, che sono percepiti ormai come un’entrata parafiscale. E se per far soldi e staccare dividendi, l’Eni deve mantenere il suo ruolo di monopolista, allora i governi italiani – di centrodestra e di centrosinistra, senza alcuna differenza apprezzabile – manterranno e rafforzeranno il suo ruolo di monopolista.
La vera notizia, oggi, non è Wikileaks, ma il fatto che si è messo in moto il processo per cedere i gasdotti internazionali dell’Eni alla Cassa depositi e prestiti: la notizia è che, pur se cambiano formalmente gli assetti proprietari dei gasdotti in risposta alle accuse dell’Antitrust comunitario di abuso di posizione dominante, in realtà nulla cambia. Il conflitto di interesse si sposta semplicemente più a monte, visto che nel frattempo la Cdp è divenuta il maggiore azionista dell’Eni. Il conflitto di interessi c’era, c’è e ci sarà. Solo che tutto questo sui giornali non lo leggerete perché la macchina del fango è, in realtà, una macchina della fuffa: produce, macina e diffonde solo leggerezze che non contano nulla, se non rispetto alle patetiche sceneggiate del nostro teatrino politico, ma non affronta – se non in modo molto obliquo – le questioni che, invece, sono ovvie e centrali.
Perché c’è un solo modo per sanare il conflitto di interessi, peraltro producendo un duplice beneficio: privatizzare l’Eni. Scindere ogni rapporto tra l’azienda e il governo. Trasformare l’Eni in un’azienda come un’altra, le cui scelte – se investire in Russia o su Marte, nel South Stream o altrove – riguardano lei e i suoi azionisti, ma non sono l’oggetto dei buffi cablogrammi dell’Ambasciata americana né di ridicoli dibattiti politici o di inchieste alla marmellata. Privatizzare l’Eni avrebbe un beneficio diretto: cancellare l’ambiguità che sempre circonda le scelte dell’azienda, e che non è mai chiaro a quale titolo vengano prese. Eliminare le distorsioni del mercato e i meccanismi preferenziali che le norme assegnano a Piazzale Mattei per l’unica, ovvia e perfettamente razionale ragione che l’Eni è lo Stato e lo Stato è l’Eni. La privatizzazione non dovrebbe avvenire con la semplice cessione delle azioni Eni in pancia al Tesoro o alla Cdp (a proposito: un giorno dovremo anche chiederci perché la Cdp esista e se abbia senso mantenerla così com’è).
Dell’Eni bisognerebbe fare spezzatino, dividendola in tre: la rete nazionale e le altre infrastrutture; la “oil company” tradizionale; e la utility che commercializza gas ed energia elettrica. In questo modo, non solo si scioglierebbe uno dei più rognosi nodi gordiani della politica e dell’economia italiane, ma si creerebbero anche quelle condizioni di maggiore concorrenza – attuale e potenziale – che solo una rete indipendente può garantire. Inoltre, la vendita dell’Eni frutterebbe al Tesoro (direttamente o attraverso Cdp) un gettito che spannometricamente si potrebbe stimare in circa 23 miliardi di euro (un terzo dell’attuale capitalizzazione), più fino ad altri 16-17 miliardi (un terzo dei 50 miliardi di valore “nascosto” che, secondo il fondo Kinght-Vinke, potrebbero emerge dopo l’annuncio credibile dello “spezzatino”).
Quindi, sotto il tappeto della discussione sterile e rumorosa, si nascondono 40 miliardi di euro che Giulio Tremonti potrebbe raccogliere. E’ un’ovvietà che discende da informazioni pubbliche, valutazioni mai smentite coi numeri (ma solo a parole), e dalle esplicite richieste dell’Autorità per l’energia. Perché tutti perdono tempo con le stupidaggini, e nessuno si occupa delle ovvietà?
Questo è l’ennesimo articolo interessante ed illuminante che trovo da parte vostra; complimenti;
gentile dr. stagnaro,
sono gli ultraliberisti come lei che mi fanno provare nostalgia dell’unione sovietica (e della siberia, giusto luogo di espiazione per i suddetti).
Lei è veramente un pò monello… :))
Chi lo sa… magari un giorno riusciranno anche a svegliarsi da questo Funny Scary Movie… 😉
http://ilfinanziario.blogspot.com/2010/11/global-debt-crisis-is-just-like-funny.html
gentile sig. Carancini,
sono gli statalisti come lei che mi fanno sentire tutto il peso di vivere in Italia oggi, nel 2010, e dopo tutti i disastri che avete combinato e che continuate a voler combinare.
Le stime di Kvam non mi convinserò l’anno passato e non mi convincono ora.
Comunque-come mi ha insegnato qualcuno di voi dell’IBL- raccogliere ulteriori 40 miliardi sarà solo dannoso. Infatti, come afferma il dottor Rohac, visto che gli Stati non agiscono come welfare maximizing agents gran parte di quei 40 miliardi andranno a finire in spesa pubblica (no!) o in cose che hanno poco a che vedere con i beni pubblici. Tanto vale lasciarli lì dove sono. Almeno, così mi ha detto il dr. Lottieri…
Non concordo. Penso sia sconveniente, oltre che non utile, barattare il potere decisionale dello Stato (da non confondere con il Capo del Governo di turno) in materia di energia con gli interessi degli azionisti e dei dividendi; purtroppo, cedere un businness perchè “non remunerativo” significa troppo spesso buttare alle ortiche conoscenze e know how, e “vendere al boia la corda con cui impiccarti”.
Sono un liberale, ma sostengo che uno Stato debba tenersi strette certe prerogative tra cui sicuramente la Difesa, Sicurezza e l’Energia. Abbiamo distrutto il nucleare per non averlo saputo difendere nel 1985, abbiamo quasi distrutto la chimica negli anni ’90, se dovessimo privatizzare l’ENI e farne uno spezzatino prepariamoci a perdere la più grande risorsa del Paese.
@Giuseppe
salvo vincolarli magari per ridurre il debito (e gli enormi interessi) – potrebbe essere un punto di un programma di un partito di centro destra serio, quello di utilizzare i proventi delle privatizzazioni per ridurre il servizio del debito… oltretutto questo sbloccherebbe una serie di partite importanti (eni, ma anche la separazione rete-gestore RFI-Trenitalia…)
…Oppure a quei 40mld, come altri soldi in altri contesti (molto più statali), ci stanno pensando altri dopo il 15.12…Magari lasciando piccole gioie ininfluenti di menti come quelle del sig. Andrea.
Lo spezzatino e’ invocato anche da certi investitori… Che dopo tremonti sarebbero i veri beneficiari dell’operazione
Quello che non è mai stato capito in Italia però è che
prima si spezzetta
poi si liberalizza
ed infine si privatizza…
Ad Almerighi vorrei far notare che se parte dal presupposto che certi campi debbano essere di stretto controllo statale dovrebbe autodefinirsi “protezionista”. (soprattutto se a rafforzamento della tesi si portano “trionfi” dello statalismo italiano)
Mica bisogna essere per forza liberisti vs protezionisti!
E’ il buon senso che conta, non le appartenenze.
Dire che l’Energia debba rimanere tra le prerogative dello stato non è certo un’idiozzia, anzi, bisogna discuterne perché, per quanto il mercato perfettamente concorrenziale sia la soluzione ideale in un libro di economia, la vita dei cittadini è in una dimensione superiore. Immaginatevi un paese schiavo di 100% contratti a 30 anni con la Russia, che da un giorno all’altro taglia i rubinetti per qualsiasi motivo. Che fareste?
Ragioniamo su come migliorare l’efficienza senza compromettere delle strategie utili al futuro della nazione.
Gentile sig. Stagnaro
Un articolo molto interessante ma con una prescrizione finale che mi lascia qualche dubbio. Vedo con molto favore un aumento della concorrenza e liberalizzazioni in Italia ma il settore dell´approvigionamento energetico non mi sembra quello giusto.
In questo campo servono strategie di lungo periodo e un occhio attento alla politica energetica del paese. Anche negli altri stati europei esistono campioni nazionali in questo settore (vedi Total).
Direi che esistono molti settori in Italia che hanno una priorita´di liberalizzazione decisamente piu alta!
@Andrea Carancini
Posso rispondere solo così: O.O ?
Quanto all’interessante, informato e puntuale articolo di cui sopra, non posso fare altro che unirmi al coro di chi ringrazia per l’opera di bene: raddrizzare – la – realtà – distorta. Grazie, per aver espresso (ed argomentato, e documentato) ciò che magari uno, discretamente colto e mediamente dotato di /grano salis/ pensa nell’anticamera del cervello, leggendo o leggiucchiando magari i soliti articoli, stoltamente faziosi, o sciattamente sensazionalistici o vagamente e cialtronescamente allusivi che compaiono sovente nelle pagine dei maggiori quotidiani nazionali.
G r a z i e
Possibile che gli italiani che hanno votato Berlusconi, non si chiedano come mai Silvio vitupera, denigra e disprezza i comunisti italiani e poi faccia affari, stringa amicizia e lo ospiti a casa sua, Vladimir Putin, ex sovietico, ex KGB e quant’altro?
Mistero per me!
Concordo con Almerighi. Un Paese come l’ Italia, prettamente manifatturiero ma privo di materie prme e risorse minerarie, il cui motore e’ costituito in gran parte da piccole e medie aziende senza voce in capitolo nel grande mercato globalizzato, deve detenere e controllare i punti chiave per la propria sopravvivenza e, possibilmente, espansione. Ritengo che, sopra tutto in un momento storico come quello che stiamo vivendo di bassissima crescita economica che durera’ a lungo, sia importante difendere quelle poche grandi Aziende che possono competere a livello mondiale, dare lavoro alle PMI e portare ricchezza al Paese.
“Se Gesu’ fosse Tremonti…” sul blog:www.segesufossetremonti.blogspotcom
Anton
Sono d’accordo sulle considerazioni espresse , anche sul fatto che Eni, monopolista, potrebbe essere totalmente privatizzata con un notevole beneficio finanziario. Ma la mia forte perplessità è : che fine potrebbero fare i miliardi ricavati dal Tesoro ? Ridurre il debito pubblico o essere sprecati nella copertura di spese incoscienti e inconcludenti? Mi fa meno paura l’eventuale “condizionamento”che ENI può esercitare sulla politica economico-finanziaria energetica italiana che il possibile spreco di risorse derivante dalla disponibilità di tanto danaro. In fondo un flusso costante di dividendi può provocare meno “danno”.
Leggo spesso Carlo Stagnaro su Chicago blog, ma per una volta devo dire di essere in completo disaccordo con lui e ne spiego il perchè.
Tutto il ragionamento dell’autore gioca sul fatto che non esiste legame tra la politica estera di un paese e le possibilità di una oil company di aggiudicarsi lo sfruttamento di un giacimento di gas o petrolio.
Questa tesi, a mio giudizio, si applica soltanto per i paesi democratici, trasparenti e con una economia di libero mercato. Peccato che, USA e Norvegia a parte, tutti i paesi produttori di gas e petrolio non hanno tali caratteristiche. Se ne possono fare a decine di esempi, io ne porto solo alcuni:
– circa un anno fa Frattini fece alcune visite di stato in Africa, l’ultima e la più lunga delle quali in Uganda. Dopo una settimana l’ENI vinse proprio in Uganda una gara per lo sfruttamento petrolifero, a danno di una compagnia inglese o americana (non ricordo) che veniva data per stra-favorita.
– tornando indietro nella storia, è interessante notare come l’Arabia Saudita non abbia mai offerto contratti di rilievo all’URSS.
– Oppure come la capacità di penetrazione delle aziende petrolifere occidentali in Irak e Iran abbia direttamente seguito l’andamento delle relazioni internazionali tra i paesi occidentali e questi due paesi. In presenza di meccanismi di libero mercato puri, non dovrebbe esserci correlazione tra la politica estera e le scelte economiche.
– Infine è altamente ingenuo negare le implicazioni politiche nelle scelte dei gasdotti (Nabucco, North e South Stream) e credere che la costruzione di questi 3 gasdotti, nonchè il loro percorso, sia dettato da una mera logica di convenienza economica.
Una considerazione, prima di arrivare al nocciolo del discorso. Esistono, nel settore dell’estrazione di gas e petrolio, dei limiti dimensionali per cui soltanto i grandissimi gruppi possono sostenere le spese necessarie per la ricerca e sviluppo di nuovi giacimenti e riescono a partecipare alle principali gare internazionali. Per tutti gli altri esistono opportunità di business, ma si tratta di briciole.
Ora in presenza di un mercato come quello americano, la torta è abbastanza grande perchè possano coesistere più di una grande multinazionale. Ma nei grandi paesi europei al più è possibile avere una singola azienda di queste dimensioni (non a caso ENI è la più grande azienda del paese), che inevitabilmente quindi opererà in un regime di monopolio e si troverà strettamente legata ed interdipendente alla politica estera del paese che la ospita. In queste condizioni, preferisco che sia il Tesoro a controllare l’ENI e ad incassarne i dividendi a piuttosto che dare a un privato questo che è, a mio giudizio in Italia, un monopolio naturale.
Monopolio naturale in Italia (mi riferisco al settore della produzione naturalmente, non a quello della vendita al consumo) perchè la competizione è tra grandi gruppi internazionali da un lato, e soggetti statali che agiscono con logiche politiche (intese come relazioni internazionali) dall’altra. E l’intervento dello stato, all’interno dei canali diplomatici, serve e spesso è determinante perchè l’ENI ottenga dei contratti. E se queste sono le premesse, come dicevo prima, preferisco di gran lunga che sia il Tesoro ad incassare i dividendi.
L’alternativa sarebbe fare spezzatino di ENI, cioè azzerarne le capacità di competere tra i grandi gruppi internazionali, lasciare lentamente morire il cane a sei zampe e comprare petrolio da aziende straniere con tutti i rischi e gli incerti del caso.
2 caveat:
– che gli affari privati di B. nulla c’entrino con l’ENI è ovvio, questa è solo fuffa
– tale ragionamento si applica a due soli e particolarissimi mercati: gas e petrolio e difesa. Perchè? Perchè in entrambi i casi abbiamo, o dal lato dell’offerta o dal lato della domanda, uno stato. Nelle telecomunicazioni, per fare un esempio, il discorso non si applica perchè è perfettamente possibile avere un privato che vende questo servizio e un privato che lo acquista.
Nel petrolio è lo stato che vende il diritto di estrarlo, nella difesa invece è lo stato che le acquista.
Farei fatica a contrastare le riflessioni di Carlo Stagnaro sulla opportunità di sciogliere alla radice i rapporti giudicati impropri tra ENI e politica, attraverso la totale privatizzazione dell’ENI, perché quanto afferma Giannino si colloca nel filone di pensiero della ortodossia liberale, rispetto alla quale non mi sento di opporre alcuna obiezione concettuale o ideologica.
Certamente dalla operazione prospettata, oltre agli effetti di cassa a beneficio dell’azionista Stato, ne trarrebbe vantaggio la contendibilità dell’azienda sul mercato mobiliare, ed il titolo ENI ne risentirebbe positivamente.
A titolo distensivo, annoto comunque in termini storici che dai tempi di Enrico Mattei – che si diceva convocasse il Ministro delle Partecipazioni Statali in carica nello storico palazzo uffici SNAM di San Donato Milanese, per impartirgli le disposizioni del caso, mai comunque mosso da interessi personali – ad oggi, molto è cambiato nel rapporto tra governo e azienda.
Ciò premesso, vivendo da molti anni in Francia e osservando nella quotidianità l’attenzione che lo Stato francese dedica, in termini positivi, alla tutela della struttura industriale del Paese, mi permetto in proposito di mutuare dal Manzoni la raccomandazione rivolta da Antonio Ferrer al suo cocchiere: Pedro, adelante con judicio!
D’altro canto, se è vero che il nostro Paese é rimasto indietro sul fronte dei processi di liberalizzazione – e ciò non investe solo il Settore energetico ma anche in modo altrettanto vistoso quello dei trasporti, della distribuzione dei carburanti ed altri – è anche vero che una liberalizzazione senza adeguate misure di accompagnamento può provocare gravi dissesti come avvenne all’inizio per l’industria del gas nel Regno Unito.
Nel caso italiano poi, la forte dipendenza dall’importazione dall’estero induce ad usare ulteriori cautele; risulta difficile immaginare che l’approvvigionamento di gas da Olanda, Russia, Algeria o Libia, che ha garantito in passato la copertura dei fabbisogni nazionali, potesse prescindere dall’esistenza di un soggetto negoziatore unico politicamente forte oltre che dal contestuale controllo dell’infrastruttura dei gasdotti e degli stoccaggi in caverna; senza trascurare comunque il ruolo svolto dal contendente privato Edison.
Oggi giustamente, a cose fatte, e in un contesto politico internazionale fortemente modificato, si ragiona in termini di superamento dell’oligopolio, di neutralità delle reti nazionali al fine di garantire libero accesso a tutti gli operatori che si affacciano sul mercato; un provvedimento in tal senso, oltre che esserci imposto dall’Antitrust comunitario, penso che sia opportuno venga attuato, sia pure con le dovute cautele.
Un’ultima considerazione: costruire l’ENI ha richiesto decenni, smontarla ci vuole niente. Per questo motivo eviterei di parlare di “spezzatino” e soprattutto non privilegerei esigenze di ulteriori collocamenti sul mercato mobiliare a fini di cassa, anche perché ciò rischierebbe di avvenire in condizioni di mercato non favorevoli.
Penso al contrario che l’ENI, che mi pare stia attraversando una fase di stagnazione, che si riflette sull’andamento deludente del titolo, debba porsi prioritariamente obiettivi strategici di focalizzazione industriale e di crescita, sia per linee interne sia per linee esterne, liberandosi della zavorra della chimica, nei cui confronti ha dimostrato di aver perso vocazione, e probabilmente anche della raffinazione e della distribuzione di carburanti, scarsamente sinergiche con il business di una tipica oil company.
La vendita di queste attività, alleggerendo l’indebitamento finanziario netto di Gruppo contribuirebbe a incrementare il valore del core business della oil company in misura assai significativa, tanto da consentirne la cessione di qualche ulteriore tranche, in condizioni finanziariamente vantaggiose e senza incorrere nei rischi di perdita di controllo, impliciti nello “spezzatino”.
Pienamente d’accordo sulla banalità. Questa vicenda del cablogrammi ci ha messo davanti a un’imbarazzante verità: a quanto pare i diplomatici Usa, che con un pregiudizio sulle superpotenze siamo portati a credere informati su tutto, spesso ne sanno quanto noi.
Ciò detto però, con la precisazione insomma che questa vicenda non meritava paginate intere per giorni, non è che sia tutto acqua fresca.
In particolare una cosa mi pare difficile da ignorare e mi pare sbagliato liquidarla insieme a tutto il resto: che Berlusconi possa fare soldi per sé dalle operazioni internazionali sul gas.
A scriverlo non è uno qualunque ma l’ambasciatore Usa.
Allora capiamoci: 1. dire che se così stanno le cose allora la politica dell’Eni è al servizio del Cavaliere e in generale, di norma, dei governi è una boiata pazzesca. Il minimo che si debba dire è che è altrettanto vero il contrario, come sa chiunque segua un po’ queste cose; 2. i documenti di wikileaks non portano alcuna prova (anzi si potrebbe aggiungere che la fonte di Spogli è l’ambasciatore della Georgia, un Paese che ha più di un motivo di essere incazzato con Berlusconi). Tanto è vero che poi per sostanziare la cosa i giornali sono costretti a ritornare indietro a vicende vecchie e già note, come quella di Mentasti.
Però con l’acqua sporca non buttiamo via anche il bambino (in questo caso direi più il mostriciattolo). Che il premier possa fare affari privati e/o favori sugli accordi internazionali sul gas è cosa gravissima, verosimile (come mostra il caso Mentasti ma anche, qualcuno lo ricorda? quello di Gianni Pilo, già sondaggista del Cav. e all’improvviso rinato importatore di gas..) e che merita di essere raccontata. Riconoscere che è stata ingigantita non è un buon motivo per liquidarla del tutto.
Quanto allo spezzatino, personalmente sono agnostico. Dico solo una cosa: non basta invocarlo in sé, bisogna dire come e perché andrà fatto, altrimenti il rischio è lo stesso della c.d. liberalizzazione dell’acqua: beneficiare qualche nuovo azionista senza che niente cambi nella sostanza – lì i vari privati prontissimi a comprare una quota delle municipalizzate ma non si sa se altrettanto pronti a investire nelle reti idriche malmesse, qui fondi e investitori esteri vari, per tacere delle banche che intermedierebbero l’affare.
Che dell’ENI non si possa dir che bene lo dira qualche sponsor, non certo gli analisti che vedono un titolo che veleggiava verso i 20 euro stagnare tra i 15 e 17 in un mercato energetico molto vivace, un giacimento di Kashagan sistematicamente impoverito in ruolo e prospettive sin da un approssimata pianificazione industriale con una improvvisazione indicibile sulla presenza e disponibilita in loco dei fornitori tradizionali di ENI, con costi e confusioni gestionali facilmente immaginabili.
Lo dicono le magistrature di diversi paesi dove ENI opera che inquisiscono e condannano per disinvolture eccessive nella gestione del problem solving tramite corruzzioe (mazzette).
La catena di comando e il riferimento principe per valutare una Public Company, le manfrine dei nostri amministratori sono piu simili a quelle della gestione Tanzi coi manager dell’istituto professionale di Collecchio che a quelle loro concorrenti.
Da ultimo per chi si dichiara liberista e democratico una schifezza come la detenzione del controllo della rete distributiva dovrebbe far venire la nausea, anche perche la privatizzazione di SNAM sarebbe una giusta boccata d’ossigeno verso un debito fuori controllo che a tassi crescenti potrebbe anche mettere in discussione la sopravvivenza dell’indipendenza di ENI. Last but not least aver accettato senza resistenze, e da azienda leader aver lucrato grazie alla robin tax di un fiscalista che usa l’energia per tassare le aree di non tassazione (redditi troppo bassi) mi fa un po ribrezzo.
Io invece la certezza che il cavaliere non ci guadagni qualcosa sull’affare south stream non ce l’ho. Dopo mosse come assegnare a Mediaset una frequenza DTT a titolo gratuito non mi stupirei molto.
Essendo ignorante, ho un dubbio. Un’impresa lasciata al mercato.. che fà, quando si trova di fronte ad aziende di Stato (altrui) determinate a sottometterla? Il debito pubblico, la politica, sono armi di cui un’azienda privata non dispone.
Gentile Dott. Stagnaro,
Vendere l’ENI ? , e poi ? Le chiedo sommessamente che fine hanno fatto gli introiti di tutte le precedenti privatizzazioni, a cominciare dalla Telecom, hanno forse abbattuto il debito pubblico ? ne hanno avuto beneficio i cittadini italiani ? Lei fa parte di quella schiera di uomini che pensano che il “mercato” , la “mano invisibile” sia risolutrice di tutti i mali del mondo ! Piuttosto bisognerebbe indagare come e da chi vengono gestiti questi grossi asset pubblici ( si veda la Finmeccanica di Guarguaglini nell’inchiesta di Report su Rai3). Piuttosto si impegni a fare inchieste su come vengono gestiti gli assets e le utility pubbliche, per denunciarne, semmai, la cattiva gestione e spingere a migliorarla !!