Un’idea per il capitale delle “troppo grandi per fallire”
Ieri l’Ecofin ha respinto al mittente i bellicosi propositi obamiani sulle banche. L’Europa non condivide la linea Volcker, tornare a separare banche commerciali da banche d’investimento, proibendo alle prime di comportarsi come hedge fund e di utilizzare i fondi dei depositanti per il proprieary trading. Era scontato, vista l’estemporanetà unilaterale dell’uscita del presidente USA, una mera reazione alla sconfitta in Massachussetts. Ma è anche giusto, secondo me, perché la storia non torna indietro ma va avanti, e dunque bisogna trovare soluzioni nuove a problemi nuovi. Ho appena letto di un’idea per l’appunto nuova, che non mi sembra male.
L’ipotesi che godeva maggiormente del mio favore è quella di requisiti di capitale distinti per impiego dell’unità di capitale intermediata o impiegata, visto che il rischio maggiore di volatilità sta nelle attività finanziarie sintetiche e derivate rispetto a quelle tradizionali della banca commerciale. Ma è facile a dirsi e complicatissimo a farsi, imporrebbe ai regolatori di entrare quotidianamente nell’operatività di innumerevoli intermediari. Luigi Zingales della benemerita Chicago Booth School of Business e Oliver Hart della Harvard University hanno avuto un’altra idea, sulla falsariga di quella già richiamata ma assai più semplice ed efficace. Qui la sua illustrazione. E’ una trovata a mio giudizio di un certo interesse, oserei dire brillante. Afferma la necessità del rafforzamento dell’equity bancario, ma vi aggiunge la necessità di un requisito di obbligazioni a lungo termine il cui valore resterebbe anche qualora il capitale svanisse, tutelando così le esigenze di stabilità sistemica. Supera d’un balzo il giudizio delle agenzie di rating sulla solvibilità bancaria e gli stress test del regolatore, impossibilitati a fotografare la situazione degli intermediari in tempo reale, per utilizzare come misura di solvibilità i CDS sulle banche. Ogni intermediario della categoria “troppo grande per fallire” avrebbe una certa soglia in termini di punti base CDS entro la quale restare, oltre la quale diverrebbe invece automatica la richiesta del regolatore alla banca di emettere nuovo equity. In caso di inottemperanza, l’intervento del regolatore nella banca diverrebbe altrettanto automatico. Ma resterebbero i bonds a impedire crac improvvisi e default rovinosi perché a catena. Regole chiare, dichiarate ex ante, e pieno coinvolgimento del mercato attraverso i CDS. Non male, secondo me.
Innanzi tutto ci tengo a porgere i miei complimenti per il blog che seguo attentamente dopo aver sentito un suo intervento estremamente interessante in tv. Premetto che non sono un economista, ma solo un neolaureato interessato dall’argomento e, pertanto, spero di non scrivere troppe castronerie.
Mi sembra che le conclusioni a cui giungono gli autori abbiano dei limiti. In particolare ritengo che non si possano utilizzare dei prodotti come i CDS come livello di guardia per la situazione patrimoniale delle banche “too big to fail”.
Al di là del fatto che i CDS esistono di varie scadenze e che rimane una questione non da poco quella della scelta della scadenza “giusta” per scongiurare l’insolvenza di una banca, ritengo che l’utilizzo proposto di tali strumenti abbia dei limiti di natura strutturale.
Il CDS, infatti, funziona come una sorta di scommessa tra due parti in cui una, pagando uno spread, di fatto scommette sul fallimento di una società(e sempre più spesso, ahimè, di uno stato sovrano) o quanto meno si assicura contro questa eventualità.
In presenza del meccanismo proposto, i CDS, a mio avviso, perderebbero senz’altro il loro appeal. Perché, infatti, pagare un premio per assicurarmi contro il fallimento di una banca che non può fallire? Ritengo che un meccanismo di questo tipo più che scongiurare una crisi sistemica possa sortire l’effetto di ridurre gli spread dei CDS, con l’effetto di non raggiungere il threshold di cui parlano gli autori, anche in presenza di situazioni finanziarie problematiche.
Grazie per l’attenzione.
Filiberto
Sicuramente non sono un aquila e dunque ho capito scarsamente di che impasto sarebbe questo cuscinetto di riserva capitale che farebbe da guardia ai CDS.
Non basata il tier1, non basta Basilea2, non bastano tutte le porcherie sui tassi correnti e i tassi di sconto delle banche centrali che hanno sconvolto i mercati, non basta che il cds di per sé ha scarso significato se non si sposa con cdo, ora si vuole l’obbligazione a lungo termine….forse emessa da ogni grande banca?
E questa sarebbe la garanzia dei cds e viceversa?
Come dire che lo strumento a pronti sarebbe regolato dallo strumento lungo.
Per cui una qualsiasi banca grande potrebbe tenere il mercato in apnea o coi nervi tesi per dieci o vent’anni in quanto ha le sue obbligazioni a garanzia?
E la regolamentazione obbligazionaria sarebbe a mercato regolamentato invece i cds sarebbero sempre a regolamentazione OTC?
Infiniti i meandri della finanza.
Segnalo per la discussione. Che cosa accadrebbe, se passassero gli intendimenti di riforma della banche “troppo grandi per fallire”? Un tentativo è stato fatto da JP Morgan. Se fossero applicate le riforme, il ritorno sui mezzi propri si dimezzerebbe – passando dal 13% al 5%. Per avere la stessa redditività ante riforma le grandi banche potrebbero alzare il prezzo dei propri servizi – il conto fatto da JP Morgan è del 33%. Oppure – per non alzarlo troppo – esse dovrebbero ridurre il costo del lavoro, che passerebbe da quasi il 50% del “fatturato” al 35%. Le banche messe meglio sono quelle statunitensi, quelle messe peggio le inglesi, con le banche europee nel mezzo.
Ecco il link:
http://ftalphaville.ft.com/blog/2010/02/17/152026/bearing-the-cost-of-reformed-banks/