Una scelta “sui generis”
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Francesco Provinciali. Questo articolo dà seguito alla discussione sul ddl Zan e l’identità di genere avviato da Giuliano Cazzola su Leoni Blog
Sull’home page di RADfem Italia – solo con donne, che si definiscono “femministe radicali gender critical italiane, contrarie all’autocertificazione di genere” e che si oppongono “a qualsiasi forma di sfruttamento sessuale e commerciale e a ogni manipolazione dei corpi di donne e bambine/-i”, è ancora visibile una notizia pubblicata in data 8 aprile u.s.: California: 261 detenuti che “si identificano” come donne chiedono il trasferimento in carceri femminili. Segue un articolo con testimonianze argomentate sulle conseguenze che questa “autopercezione vera o presunta” ha determinato sulle condizioni di vita delle donne nelle carceri femminili: viene tra l’altro ripreso e citato il caso del Canada, dove ”il trasferimento in carceri femminili di uomini self-identificati come donne ha comportato un netto peggioramento delle condizioni di vita delle detenute. Ci sono stati casi di stupro e perfino di gravidanze indesiderate. Là dove le legislazioni introducono l’identità di genere – come nel caso del ddl Zan in discussione al Senato – la condizione delle donne peggiora drasticamente. In fondo alla strada c’è questo. L’impatto di queste leggi su molti aspetti della vita delle donne è drammatico”. La citazione è meritevole della massima attenzione poiché proviene da un sito che ospita resoconti ed espone riflessioni a difesa delle donne e quindi della specificità non negoziabile dell’identità femminile.
La stampa, la Tv e i social stanno riservando particolare considerazione a questo tema, ora enfatizzandone i risvolti socio-psicologici ora dando spazio alle notizie più disparate, in un mix di vero-falso che asseconda una iperbole tematica improvvisamente esplosa in tutta la sua ubiquitaria rilevanza: potremmo definirla uno scoppio ritardato, o un epifenomeno emergente risultato di una lunga deriva di lento e progressivo sgretolamento dell’io, che ha attraversato tutto il ‘900 – in un percorso di profondo e sincero travaglio culturale – ed è giunta ai nostri giorni dando risalto agli aspetti più coreografici, consegnandoci prevalentemente l’iconografia delle apparenze, come in un casting mediatico globalizzato e tinteggiato di arcobaleni.
Tra echi di cronaca, iniziative provocatorie, autodifese intellettuali e fake news ne abbiamo sentite di tutti i colori, come se fosse emersa in simultanea compresenza una serie persino non del tutto definita di contraddizioni legate all’identità di genere e alle sue molteplici digressioni.
Alla base della pedagogia gender c’è quello che gli esperti della compensazione di genere (quello assegnato dalla natura) e i paladini dell’autodeterminazione definiscono un atto di libertà: non si è ciò che si è nati ma ciò che si autopercepisce di essere. Gli influencer più avvertiti e pseudo-acculturati si sono spinti a ritenere un dovere dei genitori l’assecondare eventuali cangianze di identità nei propri figli in modo che raggiungano una consapevole autodeterminazione, attraverso posizionamenti e riposizionamenti in itinere nel percorso di formazione della propria identità sessuale. Peraltro sempre rivedibile in età adulta.
Ascoltarsi nelle percezioni più sfumate ed essere suggestionati da una visione transeunte e situazionista del sé corporeo e del sé psichico, per ricollocarsi assumendo sembianze diverse da quelle date dalla natura.
Non tutti hanno capito i reconditi impliciti di questa scelta pedagogica di assecondamento, attuata creando un contesto di vita che offra molteplici possibilità in fatto di abbigliamento, di giochi o amicizie: in genere quel che resta delle famiglie tradizionali aveva sempre lasciato che la natura compisse il suo corso.
Ma ad esempio giunge da Debbie Hayton – un’insegnante britannica peraltro transgender – la notizia di un commercio di peni finti fatti all’uncinetto che solerti madri aperturiste hanno messo in commercio per far vivere alle proprie figliolette la sensazione di trovarsi a vivere in un corpo maschile. O – al contrario – di mutandine contenitive reperibili sul sito Transkids per consentire ai maschietti di occultare il proprio organo genitale (Il Giornale del 1° luglio 2021).
Persino le fiabe della nostra inconsapevole infanzia vengono rivisitate dalla censura antisessista: sempre in California, con una recensione fatta sul sito Sfgate, il San Francisco Gate, l’1 maggio u.s , ha aperto il caso. Katie Dowd e Julie Tremaine hanno sollevato un problema: quel bacio finale a Biancaneve non va bene. “Il principe le dà un bacio senza il suo consenso” scrivono “mentre lei dorme. Non può essere vero amore se soltanto uno dei due è consapevole di quello che sta accadendo”. Probabilmente siamo cresciuti senza aver contezza che quello che ci era stato insegnato come un gesto d’amore (valga anche per la Bella addormentata nel bosco) era in realtà una violenza di genere, un marchio della sottomissione femminile, un abuso sessuale verso una persona inconsapevole, magari un preliminare ad uno stupro dietro le quinte, calato il sipario.
La maggior parte di noi non si è accorta a suo tempo di questa violenza fisica e simbolica, anche perché genitori e insegnanti l’hanno sempre descritta come un atto salvifico: dovremmo essere grati a chi ci ha finalmente aperto gli occhi? Non si è tuttavia notato altrettanto livore verso i cartoons dove gli eroi dell’infanzia 4.0 se le danno di santa ragione, con armi estreme e distruttive o nei giochi di emulazione del Tik Tok dove i partecipanti possono provare l’ebbrezza di un soffocamento virtuale che può diventare reale.
L’autopercezione e la scelta di sentirsi diversi da ciò che si è ribalta i concetti di realtà e di apparenza e questo viene vissuto come un diritto, il DDL Zan intende legittimare una superiorità del diritto umano sulle leggi di natura, con tutti i cascami esistenziali che ne derivano. Ci si chiede come una legge dello Stato possa basarsi sul principio della percezione mutante di una identità indefinita, fondata su istinti, pulsioni, sensazioni anziché assecondare la consacrazione giuridica di una condizione determinata dalla natura.
Ciò che andrebbe rafforzata è la normativa a tutela delle vittime di violenza, specie a sfondo sessuale e in danno dei più deboli, la lotta senza quartiere all’omofobia, che implica il rispetto della persona a prescindere dalla sua identità biologica, senza alcuna distinzione di sesso, credenza, religione, come afferma la Costituzione. Una legislazione che favorisca la rimozione di ogni pregiudizio e discriminazione deve assolutamente tutelare le situazioni oggettive di crisi identitaria, non quelle fraudolente.
Ci sono persone che compiono lunghi percorsi di travaglio e sofferenza perché la loro identità di genere – intesa come sensazione soggettiva e profondamente radicata di essere uomo o di essere donna – non corrisponde al loro sesso biologico: la legge14 aprile 1982, n. 164, vigente in Italia, che reca le Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, successivamente modificata dall’art.10, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 considera questa fattispecie e consente e agevola il percorso di transizione.
Ma da qualche tempo percepiamo una sorta di ossessione compulsiva verso i concetti di identità e di normalità, ciò che viene descritto per genere definito è avversato come espressione di discriminazione sessista: sia esso il jack di una prolunga del PC o il maschio-femmina di una spina elettrica. La Lufthansa ha invitato il personale di bordo ad evitare il rituale saluto di accoglienza: “signore e signori “ non si può più dire per non urtare le varie suscettibilità, di chi pensa di essere ma non è, di chi vorrebbe ma è in percorso di mutazione di genere, di chi era e non vuole più essere. Forse resisterà – ancora per poco se la Chiesa non prende le distanze da questo nichilismo deprivato dell’identità – il “fratelli e sorelle” con cui il sacerdote si rivolge ai fedeli.
La realtà intorno a noi, i libri, i modi di dire, l’uso materiale delle cose viene scandagliato alla ricerca di una palese o occulta lesione del principio di libertà di genere, assunto nella totalità della sua estemporanea cangianza. Si tratta di una deriva che fa parte di una più ampia visione negazionista della realtà, fino ad inglobare la medicina alternativa, i no-vax o il terrapiattismo. Forse l’inizio di una nuova era, certamente l’incipit di un soggettivismo che diventa situazionismo, l’assoluto-relativo, la falange di un esercito che prende corpo al processo di estinzione della vita stessa affiancando la sconfitta dell’uomo provocata da una natura violata che si ribella, che è poi la vera eziopatogenesi della pandemia.
Forse l’inizio della fine di un percorso. Se le differenze di sesso sono realtà mutevoli e intercambiabili, estremi che si toccano di una dissoluzione identitaria, viene ad affievolirsi il ciclo generativo della vita.
Si apre allora lo scenario più inquietante perché la mutevolezza dei generi cancella identità e ruoli genitoriali: la famosa definizione anagrafica di “genitore 1 e genitore 2” è una falsificazione ideologica e materiale dei concetti di paternità e maternità. Girano sul web immagini di uomini incinti come aspirazione conclusiva di un percorso di mutazione genetica: forse aiutato, forse immaginato dalla scienza intesa come strumento di delegittimazione della natura. Intanto il tema dell’utero in affitto come passaggio strumentale per dar vita ad una creatura che sarà proprietà di soggetti terzi è un abominevole preambolo alla mercificazione del corpo femminile.
L’esperienza di ascolto in tribunale delle narrazioni di disagio esistenziale dei minori rivela un bisogno organico ed emotivo della prole di avere riferimenti genitoriali sicuri: in genere un bambino o una bambina esprimono chiaramente ciò che si aspettano distintamente dal padre e dalla madre. Ed è forse questo il vero convitato di pietra di un provvedimento normativo che pensa a soddisfare le pulsioni e i desideri degli adulti piuttosto che la rassicurazioni affettive di cui sono titolari i minori.
Ovunque sono assunti provvedimenti legislativi che incentivano la trasformazione identitaria per autopercezione non si tiene conto dei diritti e delle esigenze dei minori, essi sono espunti da qualsivoglia legittimazione delle scelte degli adulti. Spesso ne sono vittime, in quanto soggetti non interpellati, più deboli, estranei alla nuova realtà che viene a determinarsi. E insieme a loro soccombono in genere le donne, come nel caso delle conversioni carcerarie citate o quando sono fatte oggetto di violenza.
Urge un profondo ripensamento alla luce della ragione e della scienza.