Una ricetta rapida per ridurre tasse e spesa pubblica
Dopo il post sulla “tassonomia dei governi” ritorno sul tema tasse/spesa pubblica, sollecitato dai commenti ricevuti. Perchè i governi non riescono a ridurre le tasse? Parlo ovviamente dei governi che reputano positivo farlo e non di quelli per i quali ‘tassare è bellissimo’(*). Il post precedente, nella sua sinteticità, intendeva dare la colpa della mancata riduzione (e apparente mancata riducibilità) delle tasse alla spesa pubblica che non è solo un vincolo, un ostacolo, ma anche un beneficio per i governi e la classe politica, per di più indistinto tra i governi a cui le tasse piacciono e quelli ai quali non piacciono.
La spesa pubblica per i governi è un pò come il canto melodioso delle sirene per Ulisse, senza tuttavia che vi siano pali (costituzionali?) ai quali legarlo e marinai-elettori in grado di farlo. O se si preferisce una metafora differente, una sorta di sostanza stupefacente verso la quale i governi acquisiscono dipendenza, compresi quelli formati dalle forze politiche che prima di divenire di governo, e di provarla, manifestavano assoluta contrarietà nei suoi confronti.
Un buon argomento per i governi che non vogliono ridurre la tasse è sostenere che non lo si può fare aumentando il deficit e accrescendo più rapidamente il debito e che non lo si può fare riducendo in maniera equivalente la spesa, dato il ciclo economico negativo. Hanno ragione? A mio avviso si sul primo argomento e no sul secondo. Sin sul primo argomento perchè abbassare le tasse in deficit significa togliere tasse oggi per averne di più domani e farle pagare a generazioni future che non avranno goduto della spesa pubblica di oggi e avranno (se si estrapola dalle tendenze in corso) meno reddito reale pro capite per farlo.
Sono pienamente d’accordo con Pietro Monsurrò: le tasse sono sempre preferibili al deficit e mi piacerebbe che vi fosse un vincolo costituzionale al bilancio in pareggio che permettesse di usare negli anni di recessione solo gli avanzi di bilancio accumulati in precedenza. Dato che la spesa è al 50% del Pil, se anche la pressione fiscale fosse al 50% per vincolo costituzionale, i cittadini si ribellerebbero alla spesa mentre al contrario, con la spesa al 50% e la pressione fiscale al 43% l’abnorme spesa pubblica (e con essa l’abnorme peso dello Stato) viene tranquillamente accettata.
Tuttavia anche la riduzione della spesa attraverso le consuete manovre di finanza pubblica ha le sue controindicazioni, che non dipendono dal ciclo economico. Se si esclude la spesa per interessi che, dato lo stock del debito è decisa dal mercato e non dalle leggi finanziarie, la rimanente spesa corrente si articola in due maxi aggregati, sostanzialmente equivalenti nelle dimensioni: a) la spesa per trasferimenti (a famiglie e imprese); (b) la spesa per la produzione di servizi non destinati al mercato. In relazione alla componente b) il bilancio dello stato stanzia valori di spesa per le distinte categorie e finalità senza tuttavia essere in grado di porre paletti su quantità e qualità dei servizi che con quei fondi saranni prodotti
Un esempio: uno stanziamento di 100 euro per produrre il servizio X può dar luogo a 20 unità prodotte a un costo unitario di 5, a 10 unità a un costo unitario di 10, a 5 unità a un costo unitario di 20 (solo per semplificare il ragionamento ipotizzo qualità costante). Nelle tre ipotesi il costo totale di produzione, che coincide con la spesa pubblica per quel servizio dato che esso non è allocato tramite il mercato, sarà sempre 100 ma il benessere del cittadino è evidentemente molto differente. Cosa succede se (trovandoci in Italia) vengono prodotte 1o unità a un costo unitario di 10 quando ne potrebbero essere prodotte 20 a un costo di 5 e Tremonti taglia con la finanziaria il 20% dello stanziamento, abbassandolo a 80 euro? Saranno ancora prodotte 10 unità ma a un costo unitario di 8 oppure ne saranno prodotte solo 8 a un costo unitario di 10? Lascio al lettore la risposta ma io propendo per la seconda. Se ho ragione, il cittadino che usa quel servizio starà peggio dopo il taglio se il risparmiodi spesa non verrà trasferito a lui sotto forma di minori imposte e se non troverà sul mercato quelle 2 unità che lo stato non gli garantisce più. E’ quindi probabile che dopo la riduzione di spesa stia persino peggio di prima.
Cosa si può fare dunque se le tasse non si possono abbassare in deficit e neppure la spesa si può abbassare con metodo ordinario per poter ridurre le tasse? Bisognerebbe abbassare entrambe contemporaneamente con metodo non ordinario. Illustro al riguardo una semplice e rapida ricetta che avrebbe il vantaggio non solo di abbassare la spesa e le tasse ma anche di aumentare la qualità, di ridurre i costi dei servizi pubblici e di accrescere le libertà dei cittadini. Ben cinque piccioni con una sola fava.
Di che si tratta? Mentre una quota rilevante dei servizi pubblici prodotti nell’area b) precedente, non destinati al mercato, rappresenta servizi a domanda collettiva per i quali è inevitabile che quantità e caratteristiche siano definite attraverso processi di scelta collettiva (cioè dalla politica) una quota ancora maggiore rappresenta servizi a domanda individuale. Per essi noi cittadini siamo benissimo in grado di scegliere da soli (a condizione che la tassazione ci lasci il potere d’acquisto per farlo) e non vi è nessuna necessità di delegare le nostre scelte alla politica.
La produzione di servizi pubblici a domanda individuale potrebbe pertanto essere spostata dall’attuale recinto della pubblica amministrazione verso organizzazioni esterne, non necessariamente di tipo privatistico (quali società, fondazioni, cooperative…). Potrebbero essere senza problemi enti pubblicistici (quali enti pubblici economici) purchè esterni alla P.A., da essa autonomi, e purchè finanziati non più dallo stato attraverso imposte bensì dai cittadini attraverso tariffe. Un esempio: se un anno di frequenza alla elementari ha un costo di produzione di 4 mila euro e uno di frequenza universitaria 6 mila, non vi è nessuna necessità che lo stato mi tassi per questi servizi per poi erogarmeli ‘gratuitamente’. E’ sufficiente che la tassazione mi lasci il reddito aggiuntivo per poterli pagare. In tal modo se sono benestante me li pagherò io e lo stato mi permetterà di dedurli dal reddito imponibile, permettendomi così di recuperarne una quota; se invece non sono benestante mi permetterà di detrarli per intero dalle tasse; se, infine, sono povero e il mio debito d’imposta sui redditi è inferiore a tale importo riceverò un trasferimento monetario equivalente o un buono.
Qual è il vantaggio di questa proposta, dato che nel preciso momento in cui venisse attuata noi pagheremmo una tariffa di 10 euro per ognuna delle quantità di servizio del mio esempio al posto di una somma equivalente attraverso le imposte? Che ora avremmo il coltello della scelta dalla parte del manico e incominceremmo a far pesare agli enti che ci forniscono servizi insoddisfacenti che il costo è troppo alto e la qualità è troppo bassa, a usare gli strumenti della voce (la lamentela) e dell’uscita (l’abbandono del fornitore in favore di un concorrente più valido), ben descritti da Albert Hirschman in ‘Exit, voice and loyalty’. Gli enti produttori avrebbero tutto il vantaggio a soddisfare le nostre preferenze dato che dalle nostre scelte, e non dalla benevolenza di Tremonti, dipenderebbero i loro ricavi, i redditi dei loro dipendenti e la sopravvivenza delle organizzazioni nel tempo.
Certo si tratta di una grande riforma (anche se semplice) con grandi ‘controindicazioni’ dal punto di vista del primato delle scelte collettive e della politica sulle scelte individuali. Ad esempio dopo una riforma di questi tipo gli Atenei dovrebbero finalmente usare le cattedre per produrre laureati validi anzichè usare gli studenti iscritti per produrre cattedre mentre non sarebbero più gli assessori regionali alla sanità a scegliere i fornitori di protesi ortopediche per gli ospedali.
(*) In realtà l’infelice affermazione di Padoa Schioppa sosteneva che ‘pagare le tasse è bellissimo’ e detta dal ministro responsabile del fisco è un pò come se il principe Dracula sostenesse quanto sia bello donare il sangue.
In teoria è giusto come ragionamento! In realtà il governo non riesce a, o probabilmente non vuole, garantire la concorrenza neanche nei settori che già oggi sono privati (esempio trasporto aereo, telecomunicazioni, energia…).
Sinceramente faccio un po’ fatica a comprendere la linea di questo blog: da un lato si sostengono programmi per liberalizzare, privatizzare, ridurre le tasse, accrescere la meritocrazia e la responsabilità di chi decide; tutte cose che anche io condivido, ma dall’altro non si critica mai questo governo che fa esattamente il contrario o addirittura si arriva a lodare provvedeimenti come lo scudo fiscale o altre iniziative di Tremonti(Giannino) o peggio ancora a prendere sul serio la promessa del taglio delle tasse! Non è sostenendo chi evade le tasse che si riuscirà a convincere l’italiano medio a ridurre la spesa pubblica per ottenere un taglio delle imposte!
Come verrebbe giudicata la disastrosa politica economica di questo governo da un liberista inglese o americano? Capisco che anche il punto di partenza è molto differente ma mi piacerebbe un po più di coraggio da parte vostra!
In Germania il freno ai debiti (Schuldenbremse) l’hanno messo. Quali risultati avrà non lo so. Temo però che come diceva De Jasay le costituzioni siano come cinture di castità messe in vita ai politici e di cui loro stessi però detengono le chiavi.
Detto ciò, il ragionamento di Friedrich era di second best: dato che non ce la faremo mai a far chiudere i rubinetti (anche il metodo non ordinario, benchè allettante, è poco plausibile), tagliamo almeno le tasse, chissà che non segua anche una puntuale riduzione della spesa.
Nell’ipotesi proposta però, in mancanza di una reale concorrenza in punto qualità/prezzo
i vari Enti esterni alla PA (poniamo scuole) si comporterebbero esattamente come adesso intanto i cittadini sarebbero comunque obbligati a rivolgersi a loro. Lo vediamo già con Poste e Ferrovie che sono formalmente delle SpA ( che se fossero sottoposte ad un regime di REALE possibilità di scelta chiuderebbero per fallimento in mezza giornata per fuga in massa dei clienti/utenti ).
Fino a quando il sistema fiscale non funzionerà seriamente, colpendo elusione ed evasione, il figlio del lavoratore dipendente pagherà i libri scolastici ed otterrà una deduzione/detrazione parziale dal reddito/imposte, mentre il figlio dell’evasore si vedrà dedotto per intero il costo dei libri. Aggiungiamo iniquità al sistema che ha nell’evasione il suo vizio principale. E probabilmente non otteniamo nemmeno l’effetto sperato dall’autore del post perché, come già evidenziato dai commenti precedenti, non esiste un mercato in concorrenza capace di abbassare naturalmente il prezzo attraverso un meccanismo di maggioe efficienza.
Ho usato la scuola come esempio, ma naturalmente possiamo estendere il ragionamento a quasi tutti i servizi attualmente erogati dal servizio pubblico.