Una lettura tedesca del nuovo Patto di Stabilità
Come abbiamo scritto per Aspenia nel nostro lungo articolo che uscirà nei prossimi giorni, il compromesso raggiunto a Deauville tra la signora Merkel e il Presidente francese Sarkozy non è né una vittoria della linea dura, seguita dalla Cancelliera prima di allargare i cordoni della borsa, né una vittoria della linea morbida, abbracciata dalla Cancelliera con l’approvazione degli aiuti alla Grecia e l’istituzione del cd. Fondo di stabilizzazione.
Fatta la tara alle equazioni un po’ semplicistiche, il nuovo Patto di Stabilità è una via di mezzo tra questi due opposti. Benché Ulrike Guerot giudichi l’accordo come un netto successo per la Germania, una certa ambiguità di fondo la si nota anche nel titolo del suo articolo: a more European Germany – on German terms, laddove il neo-europeismo tedesco convive con un pizzico di sale teutonico. Da buona “prodiana” Angela Merkel ha insomma usato bastone e carota. E non è certo la prima volta. In patria tutto si è detto fuorché la Cancelliera sia stata la restauratrice del rigore. L’FDP e diversi organi di stampa le hanno rimproverato grande debolezza per non aver preteso l’applicazione di sanzioni automatiche e per aver protratto l’esistenza del Fondo di stabilizzazione. Lei ha replicato che “il congelamento dei diritti di voto è già previsto dal Trattato odierno”. Un bluff. La rinuncia alla sospensione del diritto di voto in caso di deficit eccessivi è stata funzionale ad ottenere la clausola della partecipazione dei creditori alla ristrutturazione, che molti commentatori fuori dai confini tedeschi considerano suscettibile di segnare un cambio di passo nella gestione delle finanze pubbliche da parte degli Stati membri.
A mio avviso, nell’accordo si trovano sia rigore sia solidarietà, disciplina di bilancio e perequazione, “euroscetticismo” ed “euroentusiasmo”. Il rigore sta appunto nell’eventualità di una ristrutturazione del debito per gli Stati spendaccioni, la solidarietà sta nel Fondo di stabilizzazione, approvato a maggio in fretta e furia e di fatto senza il crisma della copertura giuridica dei Trattati e ora reso permanente tramite un “annacquamento” dell’art. 122 TFUE. Tutto dipende insomma da come verrà dosata questa miscela. Per ora il mercato, come correttamente mostra Mario Seminerio su Il Fatto quotidiano, ha apprezzato lo sforzo rigorista.
In ultimo, una questione più prettamente giuridica. La proposta di revisione che Hermann Van Rompuy presenterà nel Consiglio europeo di dicembre dovrebbe finalmente prevedere l’uso delle cd. clausole dinamiche di modifica. In particolare si dovrebbe passare per l’art. 48 § 6 TFUE.
Anche qui condivido solo parzialmente quanto scrive Ulrike Guerot. Per due ragioni:
a) Benché la riforma semplificata del Trattato eviti le forche caudine della ratifica, la cosiddetta legge di responsabilità per l’integrazione (IntVG), che ha recepito le indicazioni della Corte Costituzionale tedesca nella sua celebre sentenza del 30 giugno 2009, ha esplicitamente previsto che tale ipotesi vada trattata come un normale caso di trasferimento di poteri sovrani e che quindi necessiti di una legge di approvazione nelle forme di una legge ex. art. 23 I comma della Legge fondamentale; non è chiaro se tale legge dovrà essere approvata ex proposizione 2 o ex proposizione 3 del medesimo articolo. La proposizione 3 verrebbe in rilievo, qualora si ritenesse che la modifica dei Trattati rechi disposizioni modificative od integrative della Legge fondamentale. In tal caso Bundestag e Bundesrat dovranno esprimersi a favore con una maggioranza qualificata di due terzi. Il ruolo dell’opposizione diverrebbe cioè fondamentale.
b) E’ vero che la riscrittura dei Trattati frustrerà probabilmente il ricorso dei famosi giuristi ed economisti, essendo d’ora in poi il Fondo di stabilizzazione ancorato direttamente nei Trattati. La Merkel terrà quindi a bada la cd. Terza Camera, superando l’ostacolo dell’art. 125 TFUE, che pur permane sulla carta. Ma ciò non toglie che Karlsruhe possa valutare comunque incostituzionale il meccanismo a livello di diritto interno. Oggi forse questo rischio la Cancelliera lo corre meno. Presidente della Corte Costituzionale non è più Hans-Jürgen Papier, ma il giovane Andreas Voßkuhle, di tendenze socialdemocratiche e abbastanza europeista. Tale cambio di marcia, impresso con la recente sentenza Mangold, dovrebbe insomma far dormire notti tranquille alla Cancelliera. Il mastino Schachtschneider, artefice dei ricorsi da Maastricht fino ad oggi, è però sempre dietro l’angolo…