Una fenice viennese? – 3
“Vienna vs Lange”
Il secondo dibattito degli anni ’30 da cui la Scuola austriaca uscì sconfitta fu quello sul socialismo. L’Unione Sovietica è ormai morta da un pezzo, ma non si è ancora d’accordo sul perché: c’è chi usa l’argomento di Mises, e chi parla di problemi di incentivi (i due argomenti credo siano collegati). Il problema è che dal dibattito sul calcolo economico è nata la teoria del processo di mercato, cioè la visione microeconomica della Scuola austriaca: il tema del calcolo economico è quindi quello più pregno di conseguenze per le differenze nel modo di vedere l’economia.
Oskar Lange, economista polacco, partecipò al dibattito sulla possibilità del socialismo contro Mises e Hayek. Mises diceva (e Hayek fondamentalmente ripeteva, da un altro punto di vista) che il socialismo non poteva generare un sistema dei prezzi (mancando la possibilità di scambiare i fattori di produzione), e senza sistema dei prezzi i pianificatori non potevano in alcun modo calcolare i profitti, che guidano le decisioni imprenditoriali, e quindi generare un’allocazione efficiente dei fattori, e quindi amministrare l’economia. E’ la teoria delle tre ‘P’: proprietà, prezzi, profitti.
Per Lange, come per tutti i socialisti, Samuelson compreso (e stranamente anche per il liberale Schumpeter, che non capì l’argomento di Mises, come dimostrò con “Capitalismo, socialismo e democrazia”), era sufficiente dire ai direttori delle aziende di giocare a fare gli imprenditori, e poi scegliere i prezzi in modo da annullare gli eccessi di domanda su tutti i mercati. E’ quello che nei libri di microeconomia si chiama “tatonnement”, solo che Lange credeva di poterlo applicare al mondo reale: quando divenne capo della pianificazione in Polonia, però, non ci provò nemmeno, pare.
Con la caduta dell’Unione Sovietica è tornato di moda citare Mises e Hayek, ma il loro argomento è tanto incompreso oggi quanto negli anni ’30. Esiste una copiosa letteratura austriaca in proposito che non conosco (correrò ai ripari), più una noiosissima letteratura di dibattiti interni in stile “lotte settarie intestine” che immagino tenga lontano chiunque dall’interessarsi di questi temi.
Qui viene in aiuto degli austriaci l’informatica: sì, proprio quella cosa che fa bloccare i computer! Un tizio della George Mason University, Robert Axtell, ha alcuni anni fa dimostrato che agenti che interagiscono tra loro in maniera decentralizzata, scambiandosi beni, riescono a giungere ad equilibri efficienti in maniera estremamente rapida. Il punto è che questi agenti interagenti non sono walrasiani: effettuano scambi a prezzi non di equilibrio. Al contrario, quando gli agenti sono forzati a scambiare beni solo una volta conosciuti i prezzi di equilibrio, il calcolo dell’equilibrio finale diventa computazionalmente lunghissimo: il computer esplode prima di riuscire a dirci cosa deve fare il dittatore sociale benevolo.
Sul mercato austriaco i prezzi trasportano ed economizzano informazione, e le azioni imprenditoriali modificano il contenuto informativo dei prezzi; sul mercato walrasiano, tutta l’informazione è nota prima ancora che inizino gli scambi. Nel mercato austriaco gli imprenditori agiscono localmente per cercare profitti, e pian piano avvicinano il sistema all’equilibrio; nel mercato walrasiano, gli agenti calcolano l’equilibrio ottimo e successivamente decidono quali scambi effettuare. Non occorre chiedere quale visione sia più realistica: questa domanda è inutile. La domanda importante è: questo approccio permette di capire i processi di mercato in maggiore profondità rispetto all’equilibrio generale? E’ su questo punto che gli austriaci devono cercare di convincere gli altri economisti.
Salve, dove è possibile reperire maggiori informazioni circa la simulazione effettuata da Robert Axtell?
Oltre ad esperimenti informatici, un primo tentativo di “esperimenti in ambienti controllati” mi pare sia stato avanzato dal premio Nobel Smith (che fu ospite dell’Istituo Bruno Leoni).
@Michele Gambella
Immagino sulla sua homepage personale.
Mi riferivo a: Robert Axtell, “The complexity of exchange”, the Economic Journal, 2005.
@Alessandro Puzielli
Sì, Vernon Smith fa degli esperimenti in laboratorio. Però queste cose non possono avere nulla a che fare col problema del calcolo economico.
Se metti assieme 10 persone che si scambiano 10 cose, probabilmente in qualche modo l’equilibrio generale lo riesci ad ottenere senza problemi “misesiani”. Ma se le persone e i beni diventano centinaia, allora hai bisogno di uno strumento come il sistema dei prezzi.
In pratica, probabilmente gli esperimenti di Smith vanno bene su piccola scala, poi il mercato reale è un’altra cosa.
Avevo scaricato una quindicina di paper di Smith ma non li ho mai letti, farò ammenda appena torno a Roma. 🙂
Mi par di capire che gli austriaci hanno problemi di comunicazione. Un vero peccato, a me sembrano assai più sensati di altri nell’osservare quel che accade realmente.
Carissimo Pietro, questa volta mi sento di dissentire con lei, non tanto sul contenuto economico dell’articolo, sul quale da “austriaco”, non mi trova in disaccordo, ma sulla premessa e sull’analisi dell’equilibrio Walrasiano. Innanzitutto, se c’è un punto sul quale la scuola austriaca è risultata vincitrice su tutta la linea è stata la dimostrazione dell’impossibilità del calcolo economico in un’economia socialista. Come le avevo già detto in un post precedente, alla fine degli anni ’30 era rimasto solo Hayek a contrastare la canea bolscevica, e alla fine , anche se mai completamente, si era ritirato anche lui. Ma questo ritiro non era dovuto alla mancanza di idee da contrapporre, ma semplicemente dal fatto che le ragioni del fallimento socialista erano già state esposte nella loro completezza, e l’unica cosa da fare era aspettare che l’esperimento sociale comunista fallisse spontaneamente come da previsione austriaca.Lungo tutti gli anni trenta, non abbiamo un Hayek in difesa e Lange e compagni in attacco, ma l’esatto contrario , ovvero un Hayek che ridicolizzava via via le proposte socialiste , e i teorici comunisti che cercavano, loro sì in difesa, di resistere in ogni modo . Le dò però ragione sul fatto che a tutt’oggi la lezione austriaca non sia ancora stata imparata, anche se sono sempre più convinto che la cosa sia voluta. Ovvero , soprattutto per la politica , osservare l’economia austriaca vorrebbe dire starsene distanti dall’economia , e questo risulta impossibile sia ai politici , sia soprattutto ai loro elettori , che sono veramente convinti che lo stato possa fare tanto di bene e senza nessun costo per loro ( questo sì che è irrazzionale, non l’economia ). Per quanto riguarda l’equilibrio Walrasiano, temo lei stia facendo lo stesso errore dei teorici socialisti come Lange, ovvero prenderlo per vero e reale. Quest’equilibrio è un costrutto matematico nato per illustrare concetti economici , ma assolutamente irreale e inapplicabile nella realtà. Questo , non lo dico io, ma gli stessi inventori di quel modello , ovvero i neoclassici. Le porterò un’unica testimonianza, ovvero quella di Pareto :” Se cioè fossero veramente conosciute tutte quelle equazioni ( del modello ), unico mezzo accessibile alle forze umane per risolverle sarebbe di osservare la soluzione pratica data dal mercato mediante certe quantità e certi prezzi “. Se c’è una cosa che gli economisti austriaci debbono fare , non sono nuovi modelli o nuove equazioni, ma semplicemente ricordare agli economisti attuali quanto gli inventori dei metodi che loro usano avevano già intuito un secolo fà.
@MassimoF.
Ho riletto il mio articolo e non ho trovato da nessuna parte qualche frase a favore dell’equilibrio generale.
Il socialismo di Robinson Crusoe funazionava, le 10 persone delle sperimentazioni di Smith raggiungono l’ equilibrio… ma in situazioni più “affollate” le cose diventano più complesse e il calcolo economico diventa “una chimera”.
Ma quando questo calcolo diventa una chimera? Dove si realizza uno stacco qualitativo? Quando l’ isieme dei granelli di sabbia diventa “mucchio”?
Ecco il problema dell’ impostazione misesiana.
Se descriviamo il problema in quei termini – ammettendo i successi di Smith – uno puo’ esmpre replicare che calcolatori più potenti risolveranno la faccenda.
@broncobilly
I calcolatori non servono a nulla (ai fini dell’economia reale e non della teoria astratta) se non hai i dati da metterci dentro. E poi perché risolvere un problema computazionalmente impossibile, come l’equilibrio generale, quando puoi risolverne uno computazionalmente possibile, il processo di mercato austriaco (come dimostrato da Axtell nel caso banale di un’economia senza produzione)? E’ un uso inefficiente della potenza computazionale.
Quando una teoria diventa rilevante? Chi lo sa. Il problema della rilevanza non è un problema logico, come spiega Mises in Human Action (poi Rothbard ha glissato perché gli faceva comodo, però Mises è stato molto chiaro a riguardo). Quando è rilevante l’equilibrio generale? Boh. Quando il calcolo economico? Boh. Dieci persone? Cento persone? Mille persone? Dieci beni? Cento beni? Mille beni? Chi lo sa. Sotto una certa soglia va bene Walras, oltre abbiamo bisogno di Mises. Tutto qui.
Se quella soglia è sei miliardi, allora Mises è inutile: Axtell ha dimostrato che la soglia è poche centinaia di agenti e poche centinaia di beni. E scordiamoci di usare i risultati di Axtell per simulare la realtà economica effettiva, è una cosa che i modelli ad agente non possono fare. Possono solo derivare pattern tipici, proprio come diceva Hayek cinquanta anni fa.
L’approccio di Axtell ha il vantaggio di operazionalizzare la questione del calcolo economico: capire quando è rilevante dal punto di vista computazionale. Rimane però il problema hayekiano: quando il processo di mercato è rilevante sul piano informativo? Axtell ci dice quanto la razionalità limitata limita il processo di mercato (che io chiamo “problema misesiano”, anche se Mises non si espresse mai in questi termini), ma non dicendoci “cosa mettere” nel computer lascia aperto il problema hayekiano.
L’approccio di Smith non si può estendere oltre il microcosmo di un laboratorio, e dunque non è adeguato alla comprensione dei fenomeni economici complessi.
@Pietro Monsurrò : non ho detto che lei è a favore, ho detto che lo prende sul serio. Riporto la sua frase : ” La domanda importante è: questo approccio permette di capire i processi di mercato in maggiore profondità rispetto all’equilibrio generale? “. Il problema non è se lei è a favore o meno dell’equilibrio, ma è che lo prende come per reale, quando esso non lo è mai stato, a partire da chi l’ha inventato.
Il socialismo di una persona (Robinson) funziona.
Il socialismo di due persone sembra funzionare.
Anche il socialismo di dieci persone sembra funzionare.
E via dicendo.
E’ vago dire dove subentrino i problemi misesiani. Inoltre è quella una soglia variabile, quanto più cresce la nostra potenza di calcolo e di comunicazione (interviste e preferenze comunicabili in tempo reale, connessione completa delle forze produttive…), tanto più questa soglia si sposta.
Sono poi perfettamente d’ accordo con te nel valutare la rilevanza di questa vaghezza.
Ma il fatto è che esistono teorie alternative che condannano il socialismo, sono teorie in concorrenza con quella misesiana. (il nostro discorso è pur sempre relativo).
Per esempio esiste quella (classica) per cui l’ organizzazione socialista produce incentivi distorti.
Ha il pregio di non essere vaga (l’ incentivo comincia la sua distorsione crescente quando si passa da uno a due) ma soprattutto è indipendente dalla tecnologia a disposizione.
Il tuo ragionamento si applica anche all’equilibrio generale.
L’equilibrio generale per 1 persona funziona
L’equilibrio generale per 10 persone credo funzioni
L’equilibrio generale per X persone non funziona
Non conosco X, quindi niente equilibrio generale. Abbiamo una soglia variabile di applicabilità dell’equilibrio generale, e non la conosciamo.
E quindi?
PS Che la soglia diminuisca con la potenza di calcolo deriva dall’ipotesi che la complessità economica sia indipendente dalla potenza di calcolo. Solo che più PC abbiamo e più possiamo farci cose complesse… il cane si morde la coda.
@Broncobilly: tutte le teorie economiche che hanno criticato il socialismo , hanno semplicemente ripreso le argomentazioni di Mises. Non esistono argomentazioni anti-socialiste distinte da Mises. Quella che lei riporta come classica è Mises allo stato puro. Quanto poi ai problemi di calcolo è stupefacente come la lezione austriaca non si voglia imparare. Il problema non è il calcolo, ma le informazioni, ovvero : 1) è impossibile immettere tutte le informazioni in un sistema di calcolo, perchè è impossibile raccoglierle ; 2) qual’ora per assurdo si riuscisse a raccoglierle, rimarrebbe il problema delle informazioni ignote, in quanto l’economia è strapiena di informazioni che si creano al momento e che divengono note nell’istante in cui si usano.
Tutto questo nasce perchè ci si ostina a ragionare in termini di equilibrio economico :
l’equilibrio non funziona per 1 persona
l’equilibrio non funziona per 10 persone
l’equilibrio non funziona per x persone
l’equilibrio non funziona perchè non esiste. E’ un costrutto matematico e basta. L’economia è un sistema evolutivo. Un sistema evolutivo è per definizione un sistema mai, e sottolineo mai in equilibrio.
è impossibile immettere tutte le informazioni in un sistema di calcolo, perchè è impossibile raccoglierle ; 2) qual’ora per assurdo si riuscisse a raccoglierle, rimarrebbe il problema delle informazioni ignote, in quanto l’economia è strapiena di informazioni che si creano al momento e che divengono note nell’istante in cui si usano
Anche se tutto cio’ è mooolto verosimile resta comunque un problema meramente quantitativo (le preferenze soggettive del consumatore, ovvero il sacro graal di chi postula la sovranità del consumatore, sono tutto sommato indipendenti dalla potenza di calcolo).
Il problema diventa qualitativo solo se si radicalizzano alcune ipotesi di partenza degli austriaci intorno alle preferenze.
Ma francamente quella strada è impercorribile. [si esce dal buon senso, pensiamo solo al fatto che la radicalizzazione delle ipotesi comporta che chi firma un contratto mostra solo la sua preferenza per firmare quel contratto e nulla possiamo ricavare circa la sua adesione al contratto stesso).
Il caso della “distorsione degli incentivi” è differente: una volta posto un Pianificatore costui avrà “necessariamente” interessi in conflitto con i “pianificati”.
Da ultimo l’ “equilibrio” e delle “forze equilibranti”.
E’ chiaro che i processi di mercato austriaci sono più realistici. Ma qui sono d’ accordo con Pietro, che ce ne facciamo di questo realismo?
Certo, potremmo lasciar lavorare in senso hayekiano (darwiniano) l’ evoluzione (es.: nessun welfare e che crepino le società in cui fatica ad emergere una generosità spontanea, domani avremo solo società spontaneamente generose ed efficienti… wow!) ma ho l’ impressione che alla sensibilità moderna qualcosa del genere ripugni.
@Broncobilly: non è un problema meramente quantitativo, in quanto il sistema che lei userebbe per il calcolo è quello dell’equilibrio generale, che come ho già detto, è un puro costrutto matematico completamente slegato dalla realtà. Quindi , ammesso per assurdo che lei riesca ad ottenere le informazioni economiche di 6 miliardi di persone, ammesso per assurdo che riesca anche a prevedere le informazioni che nemmeno i 6 miliardi di persone conoscono, faccia pure girare i computer quanto vuole , quello che otterrà sono dati completamente sbagliati in quanto le equazioni sono completamente irreali.
Quindi anche se ho tutte le informazioni…
Ne deduco che la critica di Mises vale anche nel caso di un Pianificatore Onnisciente.
Peccato, pensavo che un Pianificatore Onnisciente attenuasse il problema misesiano.
Così come un Pianificatore Santo riduce il problema posto dai neoclassici.
Di sicuro a suon di banda larga e terabit un passettino verso l’ onniscienza lo facciamo. La Santità, per contro, è lontana anni luce, adesso come e più di allora.
@MassimoF.
Questa interpretazione dell’equilibrio generale (con informazione incompleta ma simmetrica) è erronea.
L’equilibrio generale è un costrutto dove ogni problema di coordinazione e ogni deviazione dal percorso ottimale è escluso per definizione.
E’ quindi un costrutto teorico dove:
1. Ogni individuo conosce perfettamente l’intera struttura del sistema.
2. Ogni individuo è in grado di calcolare la strategia ottima.
3. Non esistono costi di transazione e quindi ogni mercato è perfettamente liquido e non ci sono problemi di comportamento opportunistico.
Se queste ipotesi fossero vere, un pianificatore onnisciente sicuramente riuscirebbe a pianificare il sistema economico e ha ottenere l’ottimo paretiano, rispettando o meno le dotazioni iniziali degli individui.
Il punto è che queste ipotesi non sono vere, e dunque usare l’equilibrio generale per pianificare l’economia è impossibile perché l’economia reale non ha nulla a che fare con l’equilibrio generale.
Però il pianificatore non deve imitare l’economia reale – se è onnisciente, infatti è sufficiente che usi le equazioni di equilibio generale. Il risultato, sotto queste ipotesi, sarebbe anche migliore di quello del mercato. E’ vero che non potrebbe imitare il mercato, ma perché potrebbe fare molto meglio.
L’equilibrio generale è un costrutto utile nell’investigare situazioni economiche dove non si è interessati a problemi di coordinazione. Non è in genere utile per capire l’economia monetaria (e infatti in equilibrio generale la moneta è inutile ed è spinta a forza nel modello con ipotesi ad hoc).
Può essere utile invece per altri tipi di problemi: effetti delle tasse nel lungo termine, sostituzioni tra beni in caso di variazioni tecnologiche, relazioni commerciali internazionali. Ogni volta che gli individui non hanno problemi a coordinarsi, fanno qualcosa di simile all’equilibrio generale.
Il punto è che queste ipotesi non sono vere.
Nel nostro discorso il punto non è forse nemmeno quello.
la prima condizione mi sembra centrale: Ogni individuo conosce perfettamente l’intera struttura del sistema.
Anche il Pianificatore Onnisciente conosce perfettamente la struttura del sistema.
Così come il Pianificatore Santo è perfettamente altruista.
Domanda: se il pianificatore fosse quasi-onnisciente quanto scommetti sul collasso del sistema socialista? Scommetti la stessa posta che hai puntato su un Pianificatore come Breznev?
Magari un pianificatore quasi-onnisciente riesce persino a tirare avanti come tirano avanti le democrazie occidentali. Mettici poi a ulteriore compensazione il fatto che un pianificatore semi-onnisciente corregge tutti i market failure che ci sono in un’ economia di mercato.
Se la posta della scommessa si abbassa (e penso debba abbassarsi) cio’ significa che il problema è quantitativo, riguarda cioè la quantità di informazioni che il pianificatore riesce ad ottenere e trattare. [Certo, si tratta di interviste, di analisi sul profilo genetico dei consumatori e di altra fantascienza del genere, non di “preferenze dimostrate”… ma sono pur sempre una massa di informazioni significativa].
E allora possiamo ben dire che con il tempo la critica misesiana perde di mordente visto che la quantità di informazioni che possiamo ottenere e trattare è crescente, visto che noi andiamo a grandi passi verso un potenziale pianificatore semi-onnisciente.
Con questo non voglio certo dire che non vada posta!
Di certo non perde di sostanza la critica classica, visto che noi di sicuro non facciamo un passo verso il Pianificatore Santo.
Se l’ efficienza richiede Santità e Onniscienza, io, in quanto liberale e individualista, punto soprattutto sulla mancanza di Santità, la vera Utopia che condanna il socialismo è quella.
La rilevanza è sempre una questione empirica. Non capisco perché te ne rendi conto per la questione dell’informazione, e non per quella degli incentivi. Esistono problemi più o meno complessi, come esistono persone più o meno buone.
Il pianifcatore quasi-santo è improbabile quanto quello quasi-onnisciente: la differenza è che è possibile avere un politico ben intenzionato, ma non ho mai visto un pianificatore anche soltanto lontanamente in grado di gestire centralmente un’economia.
Ghandi non riuscirebbe a far funzionare l’Unione Sovietica. E non per mancanza di incentivi. Il problema è che non è onnisciente a sufficienza. Non fallisce perché è cattivo o non si applica: fallisce perché è ignorante.
Ultima cosa sui calcolatori.
Con un PC moderno supponiamo si possa simulare l’economia di una tribù di trenta boscimani.
Tu dici: con un PC futuribile potremmo simulare una società complessa con sei miliardi di esseri umani.
Ci sono tre problemi:
1. L’algoritmo ha complessità esponenziale. Bisogna raddoppiare le prestazioni di calcolo per passare da 30 a 31 boscimani. Per arrivare a sei miliardi, bisogna moltiplicare per 2^(6,000,000,000-30). Credo che il numero abbia qualche migliaio di cifre. Questo problema si può risolvere usando algoritmi migliori: si butta via Walras e le sue computazionalmente impossibili equazioni, e si prende Axtell, con i suoi scambi decentrati fuori equilibrio, alla Mises. Dimenticavo: i modelli ad agenti danno simulazioni path-dependent, e non hanno potere predittivo quando ci sono errori strutturali, perché generano andamenti caotici.
2. La struttura economica è funzione del potere di calcolo. Se è possibile simulare 30 boscimani con un PC, è perché questi non hanno a loro volta un PC. Se l’avessero, potrebbero creare reti di scambio molto più complesse. Di conseguenza il simulatore è un cane che si morde la coda: ha bisogno di più potenza di calcolo per simulare un sistema che, più è la potenza di calcolo, più diventa complesso. La cosa equivale al paradosso di dover simulare il mondo e sé stessi contemporaneamente.
3. Si sta confondendo la potenza di calcolo con il problema informativo. I computer non servono a nulla senza dati. Non è possibile creare un modello dell’economia e farlo girare senza sapere tutto riguardo l’economia. Avere delle equazioni senza dati è come cucinare senza usare ingredienti. E’ bello saper cucinare, ma alla fine si muore di fame. Meglio mangiare crudo che non mangiare per niente. Non conosco alcun meccanismo di ricerca delle informazioni economicamente rilevanti che non passi per il mercato.
@Pietro Monsurrò: mi pare che abbia male-interpretato quanto da mè detto. Innanzitutto l’interpretazione che dò dell’equilibrio è diversa da quella che mi imputa: lei dice con informazione incompleta ma simmetrica quando io parlo chiaramente di informazione incompleta e a-simmetrica . Comunque, credo che entrambi siamo d’accordo sull’impossibilità del calcolo socialista. Questo perchè , e credo che anche su questo concordiamo, il calcolo attraverso le equazioni dell’equilibrio generale non permettono la soluzione del problema. Dire come faccio io che l’equilibrio non esiste e che le sue equazioni sono sbagliate, è davvero tanto diverso da quello che dice lei : ” Il punto è che queste ipotesi non sono vere, e dunque usare l’equilibrio generale per pianificare l’economia è impossibile perché l’economia reale non ha nulla a che fare con l’equilibrio generale. ” A mè pare sinceramente di nò. Forse potrei specificare che quando dico che le equazioni sono sbagliate, intendo dire che non sono reali, che l’economia non si comporta come viene ipotizzato nella teoria. Ma più di così , non saprei proprio. Se un sistema utilizza come dice lei ipotesi sbagliate,è morto in partenza. Questo vuol dire che dobbiamo rigettare l’equilibrio? Nò, direi proprio di nò. Perchè è un sistema utile a capire i principi basilari dell’economia, ma tenendo sempre a mente che quello che abbiamo sotto le mani è solo una estrema semplificazione della realtà, sconnessa da questa. Prenda un manuale di microeconomia , e vada all’inizio dei vari capitoli. Quello che troverà è più o meno questo ” le curve precedentemente discusse assumono che i fattori che le influenzano, ad esclusione del prezzo, siano fissi “. Il modello è sbagliato? Nò , è giusto. Ma solo nel suo micromondo. Nel mondo reale , dove le influenze ci sono, e molto, il sistema dell’equilibrio è semplicemente sbagliato.
Il punto uno mi sembra confermare la natura quantitativa del problema. Sei miliardi? Certo che la complessità del Socialismo universale è immensa. Ma forse il pianificatore del Kibbutz… e si tratta sempre di socialismo.
Sul punto due ho dei dubbi: come dicevo, alla base di tutto stanno le preferenze del consumatore. Quelle sono indipendenti dalla potenza di calcolo, così come in buona parte lo sono le funzioni di produzione. Perchè mai un Boscimano dovrebbe rendere più “complesse” le sue preferenze per il solo fatto che gli diamo un computer?
Sul punto tre abbiamo già discusso: non è solo la potenza di calcolo ad incrementare enormemente! La stessa sorte subisce anche la nostra capacità di reperire informazioni ovunque e trasmetterle in tempo reale. Dall’ intervista dei “sempre connessi” al brain imaging… ci si puo’ sbizzarrire.
Insomma, se l’ unica critica al socialismo fosse quella specifica di Mises, allora si potrebbe dire che il futuro dell’ umanità va verso forme di socialismo possibile.
Voglio solo dire che Mises deve fare fronte comune con i neoclassici e con l’ etica libertaria. E non è un caso se la storia del movimento austrica che discende più direttamente da Mises e dal suo apriorismo è sfociata proprio nell’ etica: cos’ è finito a fare Rothbard se non il moralista? Come economista fa scuotere la testa non poco, ma come filosofo morale provoca e convince, e forse l’ aveva capito pure lui.
http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=4016&ctg_id=93
Molto approssimativamente, per evitare svarioni piuttosto fastidiosi, ricordo che una regola empirica per sapere se va messo l’accento nei monosillabi e’ quella che si mette quasi sempre solo se esistono due monosillabi uguali con significato diverso: allora uno dei due va con l’accento (di solito e’ semplice capire quale), l’altro no. Altrimenti niente accento. Se sbaglio corrigetemi 😉