Una buona proposta
Dichiara oggi il ministro in carica per il turismo, Michela Vittoria Brambilla, di volersi fare portavoce di una proposta pubblicata ieri dal Foglio tanto semplice quanto efficace: la liberalizzazione degli orari delle attività commerciali, a partire dai giorni festivi.
Tra proposte di riforme costituzionali piene di principi e vuote di precetti immediati, una semplice disposizione che dica che nessuna amministrazione può imporre gli orari di apertura e di chiusura di un’attività commerciale al pubblico, come si legge appunto nel Foglio, sarebbe invece una regola concreta, efficace, a costo zero ed effettivamente capace di incoraggiare a “lavorare di più, lavorare tutti”, come ha scritto ieri Carlo Stagnaro sul Foglio. Proprio Stagnaro, e in precedenti occasioni sia l’Istituto Bruno Leoni che questo blog, hanno già dimostrato, con dati alla mano forniti da alcune ricerche condotte in questi anni, che nessuno dei vincoli imposti alla libertà del titolare di scegliere quando vendere porta vantaggio ad alcuno: né a costui, né ai concorrenti, né al consumatore e, dunque, all’economia.
Se finora gli orari non sono stati totalmente liberalizzati con una minimalistica regola come quella proposta dal Foglio, è quindi più il frutto del solito strascinamento dello status quo che di scelte ragionate (opinabili o meno).
Da anni ormai, praticamente da quando il settore commerciale è stato in parte liberalizzato, si discute se completare o meno questa liberalizzazione. A difendere la rigida conservazione dei vincoli sono più gli enti territoriali che non lo Stato, ma qualcuno oggi anche da quelle parti (v. Modena) ammette che forse non c’è nulla di male a lasciare gli esercenti liberi di scegliere quali siano gli orari migliori per vendere, e che anzi in questo modo si darebbe una mano alla ripresa economica, senza bisogno di ricorrere a strategie complesse, costose, e quindi solo annunciate.
Che il ministro del turismo voglia farsi carico di presentare questa semplicissima proposta al governo, dunque, è una buona notizia. Se così sarà, si potrebbe dare anche per questa via un segno tangibile a quella “scossa” all’economia che, come abbiamo detto anche qui, non può trovare giovamento (solo) da una riforma costituzionale, ma necessita di interventi di de-regolazione settore per settore.
Sarebbe la proponente giusta al momento giusto, il Ministro Brambilla, visto che in Italia i consumi turistici ammontano ogni anno a quasi 100 miliardi di euro tra italiani e stranieri, solo un terzo dei quali imputabile alle strutture alberghiere.
L’importante è che sia chiaro che la liberalizzazione degli orari di apertura non deve subire vincoli o limitazioni non solo da parte dello Stato centrale , ma anche da parte di tutte le altre amministrazioni pubbliche, a partire dagli enti locali territoriali, dove è parimenti forte la lusinga elettorale.
Il vostro punto di vista ha qualcosa di selvaggio e sgradevole. Stagnaro sul Foglio fa un minestrone di ragioni strutturali, per carità, tutti condivisibili e ci mette di mezzo anche gli orari di lavoro. Vi chiedo se avete mai pensato a che tipo di vita conducono i piccoli commercianti e artigiani. La vostra liberalizzazione è per i grandi centri, le grandi catene di distribuzione, chi può permettersi il lusso di ricattare con uno stipendio da fame e orari assurdi persone che hanno bisogno di lavorare. Io sono un impiegato e sono fortunato di esserlo. I piccoli commercianti non possono permettersi dipendenti, probabilmente godranno di pensioni da fame e lavorano in molti casi di brutto, e voi li volete costringere a lavorare sette giorni alla settimana, per cosa? Per far spendere di più altre persone che già sono ridotte all’osso come capacità di spesa e rapporto spese obbligatorie su reddito disponibile. Mi sembra uno sgradevole liberismo a vantaggio grandi catene di distribuzione. Poco di strutturale, poco di virtuoso (nel senso economico del termine). Dovreste partire da modelli e proposte un po’ più serie che un ‘liberalizziamo, liberalizziamo’ gridato al balcone.
@Alessio
A me risulta che molte grandi catene di distribuzione tengano aperti i loro negozi fino alle 22.00 ed oltre; non e’ questa concorrenza sleale? e poi perche’ non dare la stessa opportunita’ ai piccoli commercianti che magari potrebbero farsi aiutare dai famigliari?
I turisti stranieri inoltre, abituati nei propri paesi ad orari di apertura 24/24, sarebbero invogliati a spendere di piu’ perche’ di giorno sono occupati con visite a musei, chiese ecc. mentre la sera in genere non sanno cosa fare.
“Bisogna lavorare di piu’ e sopra tutto meglio…” da “Se Gesu’ fosse Tremonti…” sul blog:
http://www.segesufossetremonti.blogspot.com
che vi invito a leggere e commentare.
Pur apprezzando la competenza dell’autrice dell’articolo e quella del dott. Stagnaro, mi unisco al senso delle righe del sig. Alessio, permettendomi di aggiungere che se le aliquote d’imposta (e la normativa sulle contabilità in genere) per i piccoli commercianti, fosse la stessa per la grande distribuzione, i ragionamenti sulla competitività avrebbero un pochino più di senso.
La realtà di una posizione dominante sul mercato, in favore appunto della grande distribuzione, invece, è ulteriormente aggravata dalla possibilità che essa, nei centri comm.li, ad esempio, hanno la possibilità di vendere ogni sorta di prodotto, mentre -come sappiamo- non è possibile vedere macellerie o panifici nelle gallerie degli stessi.
Gli studi sul commercio che leggiamo, per noi commercianti, sono, in questo panorama di mercato oggettivamente non equo, viziati da una generalità a volte quasi disarmante. Prendendo ad esempio proprio l’articolo del dott. Stagnaro cui si fa sopra riferimento:”Il Cermes ha stimato che, semplicemente portando a 28 (dalle attuali 14) le aperture domenicali consentite, i consumi aumenterebbero dell’1,96 per cento”…Mi chiedo se il CERMES abbia sotto mano anche i dati di quanto costi il personale da investire per ambire ad una previsione del genere (contenere le spese credo faccia parte ancora della buona gestione di un’azienda). Inoltre, questo ipotetico +1,96%, tiene conto delle differenze per categorie in funzione del contesto di ubicazione? Considerando la dislocazione delle attività nei centri commerciali, punti vendita che offrono particolari servizi (gioiellerie; photofinishing; digitale; ottica; cartolerie) hanno dati ed esigenze di apertura diversi ad esempio dalle tabaccherie o dai negozi di abbigliamento. Ma, come è noto, i centri commerciali impongono una uniformità di esercizio. Detto questo, considerando che una REALE libertà di apertura ottimizzerebbe la capacità di vendita ed ergonomizzerebbe la gestione d’impresa, anche se passasse la condivisibile proposta del ministro Brambilla, si trasferirebbe soltanto l’imposizione di fatto degli orari di apertura al pubblico alle autorità che gestiscono le gallerie dei centri commerciali stessi.
A questo si potrebbe obiettare che esse, in genere, sono realtà consorziali che rappresentano i commercianti ivi inseriti, che è vero, ma non credo che si conoscano tutte le problematiche, i conflitti e le pressioni che si trovano ad affrontare i commercianti. Se si estendesse questa libertà anche nei contratti di locazione d’inserimento dei punti vendita anche nei C/C, le obiezioni espresse dal sig. Bussoni di Confesercenti troverebbero una più facile comprensione e soluzione, nonché -davvero- si potrebbe parlare di vera liberalizzazione degli orari per fini positivi.
E’ incredibile quanto sia difficile spiegare a delle persone dotate di un’intelligenza che dovrebbe essere sufficiente per lavorare come impiegati che c’è una differenza tra il dire “apri il tuo negozio quando vuoi” e “costringere i commercianti a lavorare 7 giorni alla settimana”.
@Ginata: appunto.
@Gionata: appunto.
Temo che tu dia per assiomatico che il piccolo negozio è cosa buona e giusta..
@Salvatore: assolutamente no, ritengo sia cosa buona e giusta pari regole di mercato.
@Alessio
Come è stato già segnalato, non si tratta di imporre più ore di apertura, piuttosto di consentire al commerciante quando aprire. Non è obbligo, ma libertà (ossia l’esatto contrario), sulla base di autonome valutazioni che ogni esercente farà, in base ai prodotti che vende, al luogo in cui è ubicato, alle sue esigenze personali, etc.
Ciò volevo precisare, a prescindere dal giudizio asseverativo per cui il negozio di vicinato è migliore del centro commerciale.
@michele penzani
Concordo appieno con le sue preoccupazioni. Quella degli orari, infatti, è solo una delle tante storture, che, a mio avviso, si somma alle altre da lei menzionate.
Condivido quanto scritto da Carlo Stagnaro ma penso che per liberalizzare sia forse necessaria e propedeutica un’inezione di presupposti culturali, sociali e normativi. Tento di spiegare la mia strampalata opinione; la propensione alla “fatica” è poca, le famiglie iperprotettive e sognatrici perseverano ad imporre ai loro figli la scelta del “biglietto da visita con impresso un dott.” anche se conseguito a 30 anni e privo di qualsiasi minima utilità. La domenica è sacra (non si lavora) e ora pure il sabato è in odore di beatificazione; la normativa “lavoristica” è così complessa e rigida che per ottenere dai dipendenti prestazioni lavorative straordinarie è necessario un accordo sindacale sottoscritto da Lama (buon’anima), Cofferati e la Marcegaglia. La pressione fiscale e contributiva è folle, tanto da generare un rapporto costi/benefici incondivisibile (lavorare un giorno in più per poi cosa, conti alla mano, partorire un topolino reddituale?). Meno laureati ma di qualità, più commesse, operai, falegnami e meno specialisti in comunicazione e lettere antiche; poche regole ma chiare e rigorosamentete adeguate al presente, con le sue logiche e dinamiche che nulla hanno a che fare con il passato (5 anni del nuovo millenio equivalgono a 50 di quello appena trascorso); pressione tributaria realmente sostenibile e quindi condivisibile (poi un pò di galera a chi evade). In questo momento resta operativo, per così dire, solo il capitale, in un libero mercato che di libero non ha proprio nulla; abbiamo perso per strada la nostra nostrana memoria storica, le risorse umane, le braccia, il buon senso e il piacere di faticare per qualcosa in cui crediamo. Grazie per l’opportunità. Giulio Dapelo
Se ho ben capito la filosofia della proposta, spero che gli autori saranno anche d’accordo a “liberalizzare” i venditori ambulanti senza licenza, da mettere di fronte ai negozi e ai supermercati a vendere gli stessi prodotti senza i costi di struttura.
Inoltre liberalizzerei il pagamento delle tasse, ovvero, chi vuole è libero di pagarle, chi non vuole non deve mica farlo!
A parte il sarcasmo, ho già spiegato più volte il mio pensiero: non è lavorare di più la soluzione, ma lavorare di meno e tutti. Se io lavorassi mezza giornata (con uno stipendio netto accettabile e poco tassato), l’altra mezza potrei dedicarla ai consumi, senza dover costringere i poveracci a lavorare la domenica. Se io lavorassi mezza giornata, un’altra persona potrebbe lavorare l’altra mezza sulla mia stessa sedia e consumare nell’altra mezza.
Insomma, essendoci una disoccupazione clamorosa, non credo che facendo lavorare di più i soliti noti miglioriamo la nostra qualità della vita. Dobbiamo lavorare meno per stare meglio noi fortunati occupati e per lasciare ai disoccupati la possibilità di guadagnare e consumare, per creare un circolo virtuoso lavoro-consumi per tutta l’economia.
Chiaramente bisogna tagliare le tasse, e in questo vi sosterrò in tutte le vostre battaglie.
Nell’apologia dello sfruttamento del “lavovatove” mai.
Saluti.
Se non fosse vietato dai dogmi vigenti occorrerebbe poi riflettere sul perchè le “liberalizzazioni” vadano immancabilmente di pari passo con un tangibile peggioramento sia delle condizioni di lavoro che dei redditi oltre al generalizzato scadimento della qualità del lavoro stesso. Senza dimenticare la diminuzione dei posti di lavoro disponibili. Perchè da comuni cittadini dovremmo credere, obbedire e combattere per un modello (i.e. : fregatura) del genere ?
La libertà di tenere aperto non significa più ore di apertura, certo, ma può generare un meccanismo perverso e insostenibile solo da chi ha risorse finanziarie ingenti. Io non sono per il piccolo negozio a priori ma il piccolo commerciante non fa una bella vita, così come chi sta alle casse di un supermercato di domenica e fino alle 22 e sarei curioso di sapere quanto guadagna. L’1.96% di aumento dei consumi significa così tanto? E’ questa la frustata all’economia? La libertà va bene (anche la libertà di offendere del sig. Gionata) ma non capisco perché mai la libertà in economia va sempre a favore di qualche soggetto e sempre il più forte, poi, quando non conviene più non va più bene.
Liberiamo il dibattito dalla figura del ministro Brambilla sul cui curriculum e sulle cui competenze è meglio stendere robusti veli. La faccenda è troppo importante per legarla all’ultima uscita dell’ultimo ministro di turno. Sfogato il gozzo, vengo alla sostanza: sono perfettamente d’accordo. Ma quale sfruttamento? Si vigili che siano rispettati i contratti di lavoro e che gli straordinari siano pagati. E’ questo il problema: in un paese serio dove si rispettano le leggi e la dignità dei lavoratori provvedimenti di questo tipo fanno solo bene all’occupazione. Dico ai miei compagni di sinistra, consarvatori “a prescindere” anche quando si tratta di conservare privilegi di destra, la difesa delle burocrazie e delle normative rigide fa solo il gioco dei corporativismi commerciali. A proposito, non ho mai capito tutta la burocrazia legata ai saldi (prezzi controllati, sconti da certificare, scadenze di calendario da rispettare per le offerte ecc ecc, tutta materia largamente elusa nella pratica). E se uno facesse i prezzi che vuole, dove e quando gli pare, senza i vigili municipali che vanno a controllare improbabili parametri? Questo è buon senso, non significa aderire alla scuola di Chicago, qui rappresentata dai simpatici e garbati titolari di questo blog, filiale italiana del partito repubblicano americano.
@Alessio
Ogni libertà può generare quelli che lei chiama meccanismi perversi: si chiama libero arbitrio, responsabilità individuale, religiosamente libertà di peccare, la metta come vuole.
Che ognuno sia libero di lavorare quando e quanto vuole, ovviamente pagando il prezzo delle sue scelte. D’altra parte, quanti lavoratori pagano il prezzo delle loro scelte di impegno? Crede che per un artista, un libero professionista, un imprenditore, sia diverso?
Certo, c’è un’alternativa che consente di evitare di collegare l’impegno al guadagno:
Da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni.
Ma mi pare che abbia fallito…
@Alessio : la verità della sua ultima constatazione e la fola del liberismo sono state perfettamente e totalmente dimostrate dall’evolversi della recente crisi. I soggetti che l’hanno creata sono stati liberi di fare tutto quello che volevano e di arricchirsi dismisura ( E’ giusto – dicevano – chi crea valore deve essere ricompensato, chi non ci riesce deve essere estromesso) poi a disastro avvenuto a suon di decine di milioni di disoccupati ( e a premi miliardari incassati), si sono fatti salvare con i soldi PUBBLICI rimanendo ai loro posti per ricominciare esattamente come prima. Mentre i disoccupati o i precarizzati a vita dovrebbero continuare a credere in questo modello in cui non mi pare proprio che chi lavora, studia e si impegna tanto possa poi godere il frutto delle sue fatiche e resposabilità. Anzi, esattamente il contrario.
Certo slegare l’impegno e il merito dal guadagno è sbagliato. Lunga è la lista Enron, Parmalat, le banche statunitensi, gli stipendi dei Goldman boys, gli stipendi dei professori universitari e dei dirigenti del pubblico impiego, dei ceo ecc. il libero arbitrio che descrive lei, senza scomodare la religione e temi più importanti, funziona in un sistema sociale in cui si possa scegliere veramente, negoziare il proprio valore personalmente, essere stipendiati correttamente ed eticamente. A me pare che non sia così, a me pare che non si possa scegliere il proprio lavoro così facilmente, né che si possa negoziare le condizioni di stipendio senza che ci siano di mezzo quintalate di carta di contratti collettivi nazionali. In tutto questo (e in tutti i problemi segnalati da Stagnaro nel suo articolo e in qualche commento) è prioritario partire dagli orari dei negozi per un 1.96% di crescita dei consumi. Se mi dice che l’1.96% di crescita dei consumi si traduce 1.96% di crescita del PIL sono con lei, probabilmente la posta in gioco (economica) vale la pena (sociale). Se non è così cercherei altre priorità per la crescita. Tutto qui.
Credo che sia risolutivo dire: liberalizziamo, apriamo anche la domenica, ma già che ci siamo, regolamentiamo un po’, per far crescere il surplus totale e al contempo per evitare che qualcuno ci rimetta troppo.
Entrambi i dogmi, se presi singolarmente, sono estremi e quindi sbagliati, mentre un compromesso tra i due può portare più benefici per tutti.
Aprire la domenica potrebbe essere positivo per il consumatore malato che così non si dedica a se stesso e alla famiglia, ma alle imprese che vogliono plagiarlo e fargli spendere soldi in continuazione (tuttora non capisco perché questo consumatore non sia andato a fare la spesa tra lunedì e sabato però – e perché se domenica il negozio è chiuso questo consumatore non compra più il prodotto che avrebbe comprato domenica e solo domenica).
Chi ci rimette, invece, è il lavoratore che sarà costretto a lavorare tutti i giorni (magari con turni di riposo variabili, per carità, ma vi assicuro che sgobbare mentre i tuoi amici riposano o si divertono insieme non è proprio il massimo). Nuove assunzioni? Possibile, ma saranno lavori alienanti, che non miglioreranno in alcun modo la qualità della vita media.
Andare tutti i giorni al centro commerciale è un po’ come stare tutto il giorno a guardare tv spazzatura. Un buon governo deve sì lasciare libertà di farlo ai suoi cittadini, ma deve fare tutto il possibile affinché questi preferiscano fare di meglio e affinché gli sia data la possibilità di farlo.
Se il mondo diventa il mondo del “lavoro tutti i giorni, così poi consumo”, forse quello delle liberalizzazioni è un argomento di scarso rilievo su cui ci stiamo concentrando troppo per inseguire un numerino (PIL +2%) invece del nostro benessere comune (lavoro il giusto per dare il mio contributo alla società, per poter mangiare e per godermi il tempo libero).
@Alessio
no, certo, non è prioritario. E’ solo un segno, come ho scritto.
La ringrazio per la stimolante conversazione.
S
la proposta della ministra Brambilla di liberalizzare gli orari delle attività commerciali mi sembra buona, e comunque tesa verso una maggiore libertà economica (come dice il bell’articolo di Serena); da un ministro del turismo mi sarei aspettato invece una maggiore critica, un fermo contrasto, contro il ripristino della famigerata imposta di soggiorno abolita a suo tempo per manifesto obbrobrio e ora improvvidamente riesumata, per di più con un governo di centro-destra che dovrebbe essere liberale e antitasse; quella imposta va ri-abolita, a costo di minacciare dimissioni, perchè danneggia comunque tutti, turisti, operatori economici, comuni cittadini (io abito a Roma quindi egoisticamente non dovrei preoccuparmi, e invece sarò danneggiato indirettamente anch’io, se non altro perchè i miei sentimenti liberali e liberisti ne soffrono); e non mi si dica che sono i comuni a volere ripristinare quella odiosa imposta, perchè oltretutto il comune di Roma è di centro-destra (vero ineffabile sindaco Alemanno?)
Vorrei essere d’accordo con J (di cui va apprezzata lo pseudonimo sintetico e asettico). Tuttavia mi pare eccessivo lamentare come alienante un qualche turno di lavoro alla festa. Un mio amico ristoratore non trova camerieri, pur pagandoli bene e in regola, perchè il sabato sera i giovinotti preferiscono bisbocciare con gli amici – pur da disoccupati – piuttosto che servire ai tavoli. Se il lavoro è ben pagato, in regola e i turni hanno adeguato recupero compensativo come da contratto io ci andrei piano a legittimare certe pretese, in tempi come questi. Riguardo allo stato che dovrebbe favorire passatempi più encomiabili che frequentare i supermercati, io ci andrei piano a evocare i filosofi o i virtuosi al potere. Ci sono stati tentativi anche recenti di forgiare “uomini nuovi”, liberi dal consumismo e dediti alla culura e alla socialità (almeno nelle intenzioni). Le cose – sembra – non sono andate bene. Anche a sinistra dovremo farcene una ragione.
Sotto la difesa dell’ impresentabile status quo c’ è, credo, un’ auto rappresentazione della realtà assai conservativa: tutti tendiamo a vederci come produttori od aspiranti tali, ma mai come consumatori, eppure, basterebbe pensare al caso di chi vive di risparmi, si può non essere in qualche momento produttori, ma mai si eviterà di consumare. Quindi: eliminiamo per tutti le imposizioni di orario, e nel contempo eliminiamo gli obblighi di comprare la previdenza solo dall’ Inps, l’ obbligo di pagare la tarsu al comune,… . Anche l’ imprenditore acquista: facilitiamo la vita agli acquistatori (chi acquista, sia per consumare che per investire), compratori di un etto di prosciutto o di un bancone frigorifero, e tutta l’ economia funzionerà meglio.
leggere i commenti scritti mi ha veramente fatto cadere le braccia (per non dire altro).
commenti sparati e privi di logica.
(rispondo ad una provocazione con un’altra provocazione: liberalizzare le tasse, perchè no? chi vuole i servizi scadenti della Repubblica italiota le paga, chi non li vuole non le paga e compra i servizi sul libero mercato)
Io abito in un paese turistico e questo permette ai commercianti del posto di tenere aperto 7 giorni su 7 in stagione turistica e 6/7 il resto dell’anno ma comunque con i negozi aperti la domenica.
Non ho mai visto i proprietari di questi negozi impazzire per il troppo lavoro e non ho mai sentito nessuno di loro usare termine con “alienazione”.
I dipendenti (per chi li ha) lavorano tanto quanto prevede il loro contratto di lavoro, non un minuto di più, anche perchè parlo di una località alpina e i controlli di GdF e Ispettorato del lavoro sono una costante.
E volete sapere la verità?
Si vive molto meglio con i negozi aperti anche la domenica.
Abito in una cittadina di 40.000 abitanti che dopo l’apertura di 2 ipermercati è praticamente morta,le vie del centro una volta piene di gente e negozi ora sono vuote.Alla domenica mattina vado in ipermercato in un Centro Commerciale per prendere un rotolo di nastro adesivo e trovo 12 casse aperte ciascuna con in fila 10/11 clienti..più o meno 120 clienti in 10 minuti,ora un negozio vive con 120 clienti in una giornata,potendo generalizzare direi che ogni 10 minuti spariscono tot negozi….cioè tot contribuenti,tot cittadini che avrebbero cambiato l’auto e cosi via
oserei ipotizzare per ogni centro commerciale la scomparsa di 600 piccoli negozi.
Chi se ne frega! l’importante e creare lavoro,concorrenza,e calmierare i prezzi!Invece non è accaduto questo ma l’esatto contrario,si sono sostituiti lavoratori autonomi con giovani precari e sottopagati obbligandoli a lavorare le domeniche e tante volta anche fino alle 22.00
(in barba all’educazione dei figli,alle gite domenicali che noi della vecchia generazione ricordiamo con piacere)….i prezzi non sono scesi anzi si sono livellati tutti verso l’alto.
In barba alla redistribuzione della ricchezza non abbiamo fatto altro che toglierla a 600 e darla a 10!….bel risultato,e continuamo cosi senza vedere dove ci porterà.
Negli anni 70 eravamo pieni di negozi,ed un giovane volenteroso poteva giocarci il futuro in un negozio….c’è ne sono tante di famiglie che con un negozietto hanno fatto un salto di qualità nella loro vita,riuscendo a diventare realtà solide che resistono ancora adesso(per poco ancora)ad un giovane adesso abbiamo tolto questa possibilità per darla ai soliti gruppi
e continuamo a non vedere ed a non capire.
Potrei continuare dicendo quanto l’Ikea (per fare un esempio) sconvolga l’artigianato del legno,oltretutto importando quasi tutto da fuori europa e obbligando alla chiusura tanti artigiani del legno e negozi di articoli per l’arredamento…con un saldo di tot attività chiuse….e tot di giovani precari part-time.
Concludendo riguardo alle aperture domenicali…
cammino per il centro della mia cittadina durante la settimana e vedo tutto vuoto,poca gente che cammina,negozi senza clienti,penso mamma mia che crisi!alla domenica vado in un grande Outlet-Village…non c’è un posteggio e tutti con un acquisto in mano(se spendiamo qui non spendiamo di là)…..ecco questo abbiamo fatto,siamo riusciti a distribuire la ricchezza da una cittadina ai soliti noti.
In questa maniera ed in questo sistema non si uscirà dalla crisi,e finchè saremo giovani lavoreremo in qualche grosso Centro commerciale perchè non penso che un Ikea fra 30 anni avrà tutti i dipendenti sessantenni,e quest’ultimi dove saranno?
Purtroppo non cambierà e questo articolo fatto da persone colte ne è la prova.
Non resta che prepararci a un declino ed a un peggioramento della qualità della vita a favore dei soliti grandi,aiutati e riveriti grandi imprenditori la maggior parte nata e cresciuta in un sistema che funzionava altrimenti e che gli ha offerto la loro possibilità,che loro egoisticamente hanno tolto alle nuove generazioni.
Grazie per la lettura.
@Anton:
non mi risulta che in Germania o Austria abbiano aperture estese dei negozi, anzi (basta arrivare fin solo a Merano per trovare i negozi chiusi il sabato pomeriggio sulla strada principale). Anche in Scozia (Glasgow) ho avuto difficoltà a trovare un negozio non alimentare aperto dopo le 18, chiusi persino i ‘centri commerciali’.
@Andrea Chiari:
lavorare come cameriere in un ristorante a Milano forse non è una buona idea, la metà risulta in perdita 😉
@Andrea Chiari
io invece trovo alienante sentirmi obbligato a stare chiuso in un ufficio o ristorante o negozio mentre il mondo fuori si sta godendo il tempo libero, però magari sono strano io. Amo il mio lavoro, ma sento che il tempo che gli dedico sia troppo in rapporto al mio tempo libero e ciò mi frustra. Che senso ha lavorare tutto il giorno, tutti i giorni, se poi non ti puoi godere la vita con la tua famiglia? La Domenica deve essere un giorno di riposo/svago, perché il prossimo passo sarà obbligare tutti a lavorare 6-7 giorni, non so a che pro. Se dovete fare la spesa andateci sabato, punto. E se non siete riusciti sabato, lunedì non cambiate idea, fate la spesa come l’avreste fatta domenica. vedrete che il PIL non cambierà, checché ne pensino alcuni studiosi.
Il tentativo di fare uomini migliori è insito nel dovere della società e, di conseguenza, delle persone che la società elegge a propri rappresentanti e amministratori. altrimenti non esisterebbe nemmeno la scuola dell’obbligo. io non sono contro i negozi o i centri commerciali, ma so che leggere un libro, guardare un bel film, fare una passeggiata al mare o una partita a calcetto tra amici sono esperienze imparagonabili con una giornata a seguire il percorso che i designer di centri commerciali hanno pianificato nel negozio. Io dopo una spesa al centro commerciale mi sento un uomo vuoto (e non solo nel portafogli), sento che ho perso tempo.
Destra, Sinistra, Centro, sono concetti astratti inutili. Polarizzarsi fa solo male all’umanità, ci fa litigare perché dobbiamo fare il tifo, dobbiamo ragionare con le nostre teste e perseguire il bene proprio e comune.
Saluti
se non sbaglio qualche anno fà fu fatto un referendum sull’argomento e a grande maggioranza gli italiani scelsero che i negozi stessero chiusi. naturalmente da quel momento in poi le deroghe a tale regola si moltiplicarono a dismisura da parte degli enti locali. quindi in un paese dove il popolo conta qualcosa si dovrebbe dar vita ad una campagna di controllo contri gli abusi a questa scelta del POPOLO e non il contrario come lei propone. colgo l’occasione per ricordare che il turismo non c’entra nulla in questo discorso perchè è da almeno 50 anni che nelle località a valenza turistica le regole su orari e giorni di chiusura non valgono!!! mi meraviglio di lei che ha sempre sostenuto la crescita e il miglioramento del tenore di vita?? quando eravamo un paese povero, non lavoramo la domenica ed un altro giorno a scelta alla settimana, facevamo orari più umani, non perdavamo tempo a procurarci ciò che ci serviva perchè torvavamo tutto sotto casa e quindi spesso lavoravamo anche sotto casa, le città erano più belle e più vivibili perchè ravvivate dalle vetrine dei negozi e perchè avevamo necessità di spostarci molto di meno, dove vede progresso in tutto questo e in quello che lei propone? posso capire che prendere la strada sbagliata quando tutto il mondo lo fà, sia facile, comprensibile e perdonabile, ma dopo essersene resi conto sulla propria pelle continuare per quella strada sempre più velocemente mi sembra veramente idiota per non dire suicida!!!!!
I consumi scendono, i centri storici languono strozzati dagli ipermercati, i negozi piccoli e medi chiudono, i consumatori trovano ovunque la solita paccottiglia omologata e pubblicizzata e una grande ministra ha una grande idea: eliminiamo gli orari così i consumatori compreranno di tutto.
I piccoli soffriranno ancora di più e la grande distribuzione dilagherà definitivamente perché un negozio sarà costretto ad aumentare il personale a fronte di clienti che comunque non compreranno oltre le loro necessità e possibilità.
E poi Anton fa giustamente notare che in Germania ci sono stretti limiti di orario e non mi pare che l’economia tedesca stia andando a rotoli.
Siete un branco di pecore senza capacita’ critica.l’unico problema qui e’ l’assoluta mancanza di crescita mentale.si lanciano accuse di “minestronismo” quando voi proprio commentate con argomenti confusi illogici e ideologici.Probabile che per uno che guarda il mondo con il filtro delle sue proprie esperienze e dei suoi sogni lle argomentazioni di stagnaro appaiano semanticamente disomogenee. Un conto e’ aver un opinione vaga e personale su un argomento.altro e’ essere in grado di dissertarne a livello scientifico. A tutti quelli che ancora parlano dei cari vecchi tempi e dello stato “madre”, che ci pulisce il naso, aprite le finestre, il mondo cambia. E’ la natura umana andare avanti. Non siamo nell’Italia dei film di toto’, e’ il 2011 e, se non ve ne siete accorti, gli stati falliscono. Se diamo retta a voi fra un po torneremo sotto la dominazione austroungarica, perché intanto loro tagliano lo stato e non hanno paura di lavorare, di non restare piccoli commercianti, non temono le aggregazioni e la concorrenza. Non temono la libertà. Piccolo e’ brutto, anzi bruttissimo, diceva uno. Sveglia!.smettetevela di frignare sul nulla.