Un programma per crescere, uomini pericolosi cercansi
C’è da augurarsi che il fine settimana abbia portato consiglio su Mirafiori. Non è in gioco solo la presenza in Italia della Fiat e del suo indotto. La politica ha la testa altrove, nella conta dei fedeli e dei traditori. Ma è l’intera manifattura italiana da una parte, e dall’altra la PA e i servizi, che avrebbero bisogno di una nuova cornice fatta da misure atte ad alzare stabilmente la produttività, e a dare insieme più reddito disponibile ai lavoratori dipendenti, minori esternalità negative a tutti in termini di inflazione, gap infrastrutturale e e sovraccosto energetico. Sogni? No. Servono uomini pericolosi, per realizzarlo. Pericolosi e irriducibili, rispetto alla stantia rassegnazione che domina il dibattito pubblico, al fuoco statalista che rianima illusioni pericolose. Forse è il caso di ripassare alcuni dati.
Nel 2007 precrisi, la manifattura garantiva il 25% del totale del valore aggiunto delle attività di mercato in Italia – se escludiamo l’immobiliare e relative locazioni – occupando un quinto della manodopera nazionale, 5 milioni di persone. In Italia la manifattura è declinata meno che in altri Paesi avanzati. Nella crisi abbiamo scoperto che è un bene, perché oltre il 70% della reklativa e insufficiente crescita a breve del Paese viene di lì, e dall’export industriale. Per questo l’Italia è rimasta quinta potenza industriale al mondo, con il 3,9% della produzione planetaria. Insieme alla Germania – l’unica a crescere – siamo l’unico Paese avanzato che ha mantenuto nella crisi una quota di mercato pari al 4,8% del valore del commercio mondiale. E se consideriamo il prodotto industriale procapite, dopo la Germania al mondo continuiamo a venire noi, prima della Cina, USA e del Giappone. Nel 2008 la bilancia commerciale dell’export manifatturiero è stata positiva per 63 miliardi di euro, e anche nel terribile 2009 lo è rimasta per 47. Tutto ciò è avvenuto perché dopo le violente ristrutturazioni seguite all’ingresso nell’euro e al venir meno delle svalutazioni monetarie, all’ingresso della Cina nel WTO, all’indebolimento della domanda interna figlia delle manovre di contenimento della finanza pubblica, la manifattura italiana ha risposto con innovazioni di prodotto e processo, organizzative e gestionali, commerciali e di marketing, grazie alle quali ha preso a esportare ormai per il 60% in settori come le macchine industriali, la metallurgia e i prodotti chimici, mentre l’export tradizionale legato a tessile, moda, scarpe, mobili etc vale solo più il 15%.
Se le imprese manifatturiere con sedi produttive proprie all’estero in almeno due altri Paesi oltre l’Italia sono salite a circa 15 mila, con circa 200mila imprese italiane nel proprio indotto e catene di fornitura, ad aver fatto outsorcing all’estero per una parte almeno del proprio prodotto sono passate dal 12,5% del totale nazionale nel 200o a un considerevolissimo 25% nel 2009.
Ma questo processo incontra pesanti ostacoli “di sistema”. La produttività, se tralasciamo quella del settore delle costruzioni, è scesa dello 0,75 annuo in media dal 2000 al 2003, per poi tornare a crescere dell’1,3% annuo dal 2003 al 2007, quando è esplosa la crisi. Restiamo al 78° posto nella graduatoria del business environment della Banca Mondiale, per le difficoltà nell’esecuzione dei contratti, le tasse pesantissime, l’invasività delle norme regolatorie e amministrative.
Tra il 2000 e il 2007, il costo del lavoro unitario nel manifatturiero italiano è cresciuto del 19,6%, mentre è sceso del 5,7% in Francia, dell’8% negli USA, del 9,7% in Germania. Oltre alla bassa produttività si sono aggiunti rincari del costo del lavoro indipendenti dai profitti delle imprese, e il risultato è stata la perdita di 27 punti di competitività sulla Francia, 30 sugli Usa e 32 sulla Germania. Nel 2007 l’EBIT manifatturiero italiano era al più basso livello dal 1980, il 3%. I bassi profitti medi hanno abbassato gli investimenti: dalla media dell’1,7% di aumento annuale negli anni Ottanta, all’1,2% nei Novanta, allo 0,6% tra 2000 e 200 .
Questo scenario è insostenibile. Spiega in larga parte perché in termini di reddito procapite gli italiani siano scesi da 103 nel 2001 – fatta 100 la media dell’eurozona – a 93 nel 2009. Un calo drastico a cui ha dato una potente mano lo stallo di produttività dei servizi e della PA, entrambi in larghissima misura esclusi dall’effetto benifico della concorrenza sui e dai mercati esteri.
Per la manifattura italiana basse tasse, PA meno ostile, giustizia più efficiente, sono necessari nel breve per continuare a inseguire la rapidissima trasformazione mondiale in atto. Fino agli anni 80, il 60% del Pil planetario veniva dai Paesi di vecchia industrializzazione, e il 40% da quelli emergenti.
Ora solo il 30% della crescita mondiale viene dai paesi sviluppati, il 70% da Cina ed emergenti. Per il FMI, la crescita media annua del 4,5% di Pil mondiale prevista per il prossimo lustro continuerà stabilmente a venire per iol 3,3% dagli emergenti, per l1.2% dai vecchi industrializzati. Al 2030, ai ritmi attuali, l’Asia peserà per il 53% del Pil mondiale, il Nordamerica il 20%, l’Europa solo il 13%. Oggi, la popolazione con reddito procapite superiore ai 30 mila dollari l’anno è di circa un miliardo di individui, per l’80% nei paesi sviluppati. Di qui a 20 anni, il loro numero salirà di almeno 600 milioni, dei quali 470 nei Paesi emergenti, 200 milioni nella sola Cina e 70 milioni in India. Saranno consumatori diversi da quelli che conosciamo. Bisogna prepararsi sin da adesso. Più giovani di quelli a cui siamo abituati, Nati “digitali”. E con molte più donne a decidere.
Perché la manifattura italiana possa farcela, sbaglia in pieno chi crede che la concorrenza sia con le paghe e i diritti cinesi.
Il punto è di concentrarsi su tecnologie avanzate, pervasive e cross cutting: materiali avanzati, nanotecnologie, micro e nano elettronica, biotecnologie, fotonica. Conta aver a sostegno finanza, internazionalizzazione, classe dimensionale: condizioni che da noi difettano.
Concentrarsi su queste svolte a breve e di sistema per la manifattura. A fianco, avviare un programma di lungo periodo per produttività e concorrenza nella PA – da cedere in vasti pezzi al mercato, con relativi dipendenti – e servizi. Di questo e nient’altro, dovrebbe essere fatta, la priorità politica del Paese nell’eurocrisi che incombe.
Cercasi politici che ne mastichino, e che abbiano ambizione e carisma per girare pagina.
Sogni? No. Non tutti gli uomini sognano nello stesso modo. C’è chi sogna la notte, e al risveglio si deprime perché si arrende a una realtà che fa apparire vane le immagini notturne. E c’è chi sogna di giorno ed è pericoloso, perché può darsi che reciti i suoi sogni ad occhi aperti per attuarli. L’impossibilità è parola che si trova solo nel vocabolario dei rassegnati. Noi, non ci rassegnamo.
Grazie per le bellissime riflessioni, a cui mi permetto di aggiungere qualche spunto. per troppi anni, anche al livello di ministero, si è detto che il manifatturiero era morto, che il valore si creava solo con i servizi e la terziarizzazione. in realtà il manifatturiero, oltre a garantire all’Italia una posizione importante nell’economia internazionale, è anche una cultura, ha un valore extra-economico di natura sociale ed anche per questo va tutelato. non basta però la capacità di incrociare saperi tradizionali (che stiamo perdendo) con l’innovazione tecnologica. quasi sempre è necessaria una innovazione dei business model! credo che, oltre ai problemi che sono nella nota davvero ben espressi e documentati, ve ne siano altri di cui non si parla:
– la scomparsa della capacità “artigianale” che è fondamentale in gran parte delle aziende manifatturiere: siamo pieni di designer e specialisti di marketing, ma mancano i prototipisti, chi sa trasformare un progetto in un prodotto industrializzato
– dobbiamo aiutare i giovani che studiano nelle facoltà scientifiche a ragionare su come si trasforma un’idea in un prodotto. questo viene prima degli aspetti relativi al finanziamento delle start up ed i nostri percorsi formativi non creano questo tipo di sensibilità
– dobbiamo spingere gli imprenditori alla innovazione nei modelli di business. il caffè nel mondo si chiama starbucks o nespresso
– la politica deve ricordare che dobbiamo supportare tutti i settori: l’agricoltura, il turismo (dove perdiamo quote di mercato ogni anno), il manifatturiero tradizionale,e poi avanti.
supportare non vuole dire assistere, ma facilitare, aiutare allineando le condizioni competitive: vuole dire creare una nuova cultura. non abbiamo però bisogno solo di nuovi politici, ma davvero di uomini pericolosi in tutti i settori.
carissimo,ora si che la raccontiamo,stanno scappando tutti,in italia produttivita’ zero,e tutte le conseguenze che si provocano,zero lavoro perche’ non producendo non si assume,quindi zero consumi, quindi prezzi alle stelle,l’italia e’ alla frutta.sembra una coglionetta,ma se questo governo non si rende conto che fra non molto un kg di frutta costera’ 10 euro e che la gente non potra’ permettersi nemmmeno di fare la spesa,senza immediatamente dare manforte in modo particolare alle piccole e medie industrie e’ la fine. non si puo’ tagliare oltre,ditelo al caro economista della fiat,se non si incrementa il lavoro questo paese perde,e se crede che quelle macchine che producono e che fanno pena riuscira’ a venderle all’estero ,allora,cari miei,l’idiozia e’ galoppante.dare lavoro agli italiani in italia solo con queste prospettive possiamo parlare di una probabile crescita in questo paese.
Giannino, certe mattine mi fai inc…Are, altre volte mi spancio manco sentissi i conigli di radio2, ma spesso mi dai materiale per rendere più consistenti i sogni che sviluppo prima del sonno, per svegliarmi da giornate furiose e noiose.
Non e’ di moda essere pericolosi, meglio il piccolo cabotaggio, molti ti diranno, ma memore di un’illuminato professore del ginnasio, a breve prenderò il largo, cercando il rischio, calcolato certamente.
Spero tra qualche anno di non essere uno di quelli che ti chiama per lamentassi della nostra Italia 🙂
L’Italia ha gli ingegni e le maestranze necessarie per realizzare questo sogno. Bisogna che riesca a liberarsi da tutti i parassiti che pervicacemente ostacolano ed appesantiscono il suo cammino.
Leggo oggi su Il Gazzettino che il Prof. Marchiori (l’inventore dell’algoritmo che ha creato Google) ha rinunciato ad offerte… di 30.000 dollari al mese per un posto da 2.000 euro nell’Università di Padova. Sono francamente sconcertato nel constatare questa ennesima espressione dell’odio per il mercato e per il “lavoro” contrapposto alla libera ricerca… libera da che? di insegnare la “Scienza del benessere del cane e del gatto” (Università di Bari)? e creare così altri disoccupati liberi di scannarsi per conquistare un posto da precario ricercatore nella “Scienza del fiore”?
Quanto é difficile sognare in Italia!!!
mi iscrivo fin da subito al partito dei sognatori ad occhi aperti. non rassegnamoci e continuiamo a credere che questo paese può e deve migliorare. bravo Giannino!
@Michelangelo Dalla Francesca
Ti posso dire che non sempre si guarda solo al denaro. Da parte mia ho rinunciato ad una posizione di trader in commodities che mi garantiva un fisso di 120k$+ bonus per circa 700k$ per tornarmene in Italia a vivere di un lavoretto e dei soldi che ho messo da parte in questi anni. L’altro giorno ho sentito nella trasmissione di Oscar una ricercatrice che affermava che era riuscita a fare una scoperta molto importante proprio grazie alla sicurezza del posto fisso nell’Università Italiana.
Caro Giannino, purtroppo non vedo uomini politici “pericolosi” all’orizzonte.
Perche’ non sognare che persone come lei si facciano promotori di inziative dal basso, popolari, (es. leggi di iniziativa popolare, ecc. ) volte alla riduzione del debito pubblico ed a rendere la PA molto piu’ snella ed efficiente?
Qualche spunto puo’ forse venire dalla lettura del pamphlet ‘ Se Gesu’ fosse Tremonti…”
sul blog: http://www.segesufossetremonti.blogspot.com
Cordialita’
Anton
Noi non ci rassegnamo, d’accordo. Ma allora, se c’è bisogno di questi uomini coraggiosi, alle prossime elezioni per chi diavolo dobbiamo votare?
Stiamo diventando un paese in cui la focalizzazione delle idee prevale sulla focalizzazione delle idee messe in pratica. Innamorati del nostro pensiero e della moda di essere i maggiori esportatori di buoni cervelli.
La PA ci sta distruggendo, per quanto si cerchi di innovare si finisce sempre con l’affondare un po’ di più. L’efficienza si ottiene in un solo modo: dando la possibilità a chi vuol essere efficiente di essere protagonista e di raccogliere direttamente il frutto della sua responsabilità.
Il mercato sarà sempre più dominato da buone idee libere di circolare senza essere tassate, buone idee da trasformare in monopoli temporanei che dureranno il tempo sufficiente a produrre il denaro che piace per poi esplodere in altre idee.
In un paese dove si tassa alche la semplice diffusione del pensiero la strada è una sola: emigrare e ritornare in Italia per passare le vacanze.
Caro dott. Giannino, ancora una volta ha colto nel segno. Servono uomini “pericolosi” e decisi. Uomini che non debbano dire grazie a nessuno. Il panorama politico non ne offre, talché qualcuno le chiede chi votare. E allora è ora di scendere in campo : l’Italia ha bisogno di gente capace e non compromessa, oltre che nuova. Se non lei, chi?
Trovi lei il modo migliore.Io e tanti altri la seguiremo.
Dott. Giannino, Lei afferma che bisogna concentrarsi su materiali avanzati, nanotecnologie, micro e nano elettronica, biotecnologie, fotonica per non competere sui diritti e sui salari con la cina quando, secondo quanto appreso dal sito web del governo cinese, il Consiglio di Stato, ha esaminato ed approvato la decisione di accelerare la formazione e lo sviluppo di nuovi settori strategici stabilendone gli obiettivi principali e le politiche di sostegno. I settori coinvolti sono: il risparmio energetico e la tutela ambientale, la tecnologia informatica di nuova generazione, la biologia, la produzione di equipaggiamenti di alto livello, le nuove energie, i nuovi materiali e lo sviluppo di auto ad energia alternativa, cioè gl stessi settori strategici indicati da Lei.
Vorrei quindi farle alcune domande, e se non Lei, mi piacerebbe che qualcuno rispondesse, qualcuno che ha il suo stesso orientamento di pensiero economico.
– Non crede che la Cina in futuro effettuerà una competizione sui salari e sui diritti anche nei settori da Lei indicati?
– Come possiamo competere con un paese che applica forti politiche di sostegno per tali settori, quando invece il sostegno da noi è visto come una distorsione all’allocazione ottimale di risorse?
– Cosa intende quando afferma che bisogna concentrarsi su tali settori? più specificatamente cosa intende con “bisogna concentrarsi”? in che modo bisogna concentrarsi?
– Non è meglio effettuare Ricerca e Sviluppo funzionale ai settori storicamente trainanti per l’economia italiana senza scoinvolgere il sistema manifatturiero italiano?
Grazie
L’articolo mi trova molto d’accordo, soprattutto nel mettere in luce il pericolo di farsi cogliere impreparati dall’avvento di nuovi tipi di consumatori come pure quando lascia intravedere la risorsa rappresentata dalle donne. Come nuovo gruppo sociale che si affaccia massicciamente sulla scena economica, la loro presenza potrebbe in parte compensare la scarsità di giovani leve e rompere il circolo vizioso di inerzia psicologica che sembra caratterizzare la classe dirigente italiana. Molto azzeccata la riflessione su paghe e diritti dei cinesi, che immagino destinati comunque a crescere. Mi sembra che la classe dirigente italiana riesca solo raramente a comprendere chi sia la sua vera controparte e quindi le sia difficile visualizzare un obiettivo a lungo termine e elaborare una strategia conforme al raggiungimento di quello. Sullo sviluppo tecnologico della Cina suggerisco di consultare i database gratuiti dei brevetti mondiali e fare un confronto fra il n. dei trovati cinesi e quelli italiani, ovviamente ragionando in percentuale. E’ molto interessante.
Perfetto…un aumento della produttività è essenziale per non dire vitale per il nostro paese.Tuttavia le chiedo come ci si puo’ sedere al tavolo della trattativa con 80 milioni di euro in tasca?
Mi riferisco alle opzioni esercitabili da Marchionne. Sono d’accordissimo sul fatto che occorre fare sacrifici…ma tutti però…
Il capitano di una squadra deve dare l’esempio prima di tutti….no?
Non crede sia valido il mio discorso?
Un caloroso saluto.
Dott. Massimo D’Aniello
sono pienamente d’accorco con lei: quando cominciamo…?
Ok! visto che dalle parti di Montecitorio di sognatori pericolosi non se ne vedono (o dormono tutti o sono pericolosi per ben altri motivi), dove andiamo a reperire persone con carisma, consenso e capacità? Mi pare di capire che la “bassa manovalanza” non manchi, anzi…. basta solo trovare i leader….
Grazie Giannino: con i tuoi dati e le tue considerazioni un imprenditore piccolo ma arrembante come il sottoscritto si sente parte di una categoria trainante per il Paese e si ricarica per i sacrifici di tutti i giorni.
Purtroppo non vedo come mandare in parlamento e nella PA i migliori in un paese di individualisti. Qui, più che altrove, chi sà fà, chi non sa fare insegna, chi non si acoontenta di insegnare fa politica
Ma dai, non vorremo mica che i politici si mettano a ragionare su quali settori investire…
Condivido in pieno l’analisi ed i settori indicati (ci mancherebbe, ci lavoro…) però se già ci si limitasse a ristrutturare il funzionamento della PA introducendo cose “nuove” come internet e tirare via un pò di balzelli già potremmo dirci fortunati. Se poi si riuscisse addirittura a finanziare qualche progetto di ricerca industriale sarebbe forse il massimo che possiamo sperare.
Carissimi, concentriamoci sul presunto manifatturiero, i dati aggregati dicono quasi niente, cominciamo ad aprire ubn capitolo sull’alimentare, uno sul lusso, uno sulle multinazionali che producono in Tunisia o in Vietnam, paasiamo alle tecnologie di eccellenza nostrane come la meccanica di precisione, e riflettiamo sugli assistiti.
Ci vuol molto piu coraggio di quello ipotiozzato nell’articolo: bisogna squarciare i veli, buttare ai porci le ipocrisie, eliminare gli incompetenti e gli ossequiosi, e poi LAVORARE LAVORARE LAVORARE chi non e capace meglio stia a casa….sarebbe l’ora del ritorno dei galantuomini, quelli che tutti diciamo non ci sono piu (ma per troppi la frase continua….senza rimpianti).