Un menù di sprechi per festeggiare Italia150
Si direbbe che la spesa pubblica italiana abbia dato il meglio di sé per celebrare il centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale. Con la scusa del “grande evento”, è stato possibile stanziare risorse imponenti, imporre procedure d’urgenza e infine permettere affari milionari ai soggetti coinvolti negli appalti. Fino al 2012, la legge 401/2001 aveva infatti assegnato alla protezione civile i cosiddetti “grandi eventi” che permettevano l’utilizzo del potere di ordinanza, così come lo stato di emergenza. Si sa bene come è stato gestito questo potere: con i famosi scandali e affari della “Cricca”.
Su Wikispesa sono raccontate nei dettagli le storie le storie di tre degli otto progetti inseriti nella lista dei lavori “urgenti” da completare per Italia 150: tre casi che raccontano malaffare, sprechi o quanto meno dubbi sui benefici prodotto da investimenti pubblici così importanti. C’è il Palacinema di Venezia e i 38,6 milioni per scavare e poi ricoprire il buco in cui dovevano sorgerne le fondamenta: quando si dice prendere Keynes alla lettera. C’è l’Auditorium di Isernia da 50 milioni di euro: edificio da 700 posti a sedere per una cittadina da ventimila abitanti, già un anno dopo l’inaugurazione l’amministrazione si chiedeva come rilanciarlo. E pure è stata inaugurata poco più di un anno fa, il 31 marzo 2012, qualche settimana dopo la chiusura delle celebrazioni per le quali era nato: un po’ come inaugurare uno stadio dopo che sono finiti i Mondiali di calcio. Appaltando i lavori di ampliamento dell’aeroporto di Perugia, gli inquirenti suppongono che Angelo Balducci, allora presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, ne avesse guadagnato una BMW: in cambio una società del gruppo di Diego Anemone aveva realizzato i nuovi spazi progettati di Gae Aulenti per una spesa complessiva di 42 milioni. L’obiettivo iniziale era di aumentare i 130 mila passeggeri transitati per l’aeroporto nel 2007, a 250 mila entro il 2010. Nel 2012 erano 190 mila e oggi ci si chiede se una simile spesa sia valsa la pena. Tanto più che la spending review ha escluso, nel gennaio 2013, la struttura dall’elenco degli scali di “interesse nazionale” e il suo destino dovrà contare solo più sulle risorse locali.
Come sempre accade, ognuna di queste opere era stata presentata come “macchina da soldi”, investimento in grado di attirare chissà quale indotto e poi turisti, incassi, posti di lavoro. Nel caso dell’Auditorium di Isernia è già chiara la morale della storia: non basta costruire un nuovo teatro per avere un polo di eccellenze dello spettacolo né per convincere frotte di artisti a trasferirsi in Molise. Ma la domanda è un’altra: quando verrà debellata in Italia l’idea che i grandi eventi – e più in generale gli investimenti pubblici – rimettano in moto l’economia? Quante altre cattedrali nel deserto sono necessarie per convincere gli italiani che l’economia potrebbe essere rilanciata meglio se potessero spendere da soli le tasse che vengono loro prelevate per costruirle? E che gli sprechi non si evitano appellandosi all’etica dei decisori politici, ma togliendo agli stessi il potere di gestire così tanti soldi altrui?
Basta guardare la prima pagina del Sole 24 ore di oggi per capire che la strada è ancora lunga: si legge dell’Expo di Milano come del prossimo “motore” per l’economia italiana e nell’articolo di fondo (“Se il rilancio comincia dalla cura BEI”) si leggono parole di entusiasmo per il piano triennale (ma una volta i piani di sviluppo non si facevano quinquennali?) di investimenti pubblici europei. Di questo passo, alla festa per Europa150 il menù sarà altrettanto indigesto.