Un check-up completo per rendere più snella ed efficiente la Pa
Ieri la commissione Affari Costituzionali ha dato il via libera alla riforma della pubblica amministrazione, che ora passerà al vaglio dell’aula di Montecitorio. Tra gli ultimi emendamenti approvati dalla commissione, vale la pena segnalare quello proposto da Andrea Mazziotti, deputato di Scelta civica, per «semplificare l’esercizio delle funzioni pubbliche, secondo criteri di trasparenza, efficienza e non duplicazione». L’emendamento riprende una proposta di legge elaborata qualche mese fa dall’associazione “Giardino dei semplici” (e di cui avevamo già parlato qui), che parte da un presupposto molto semplice, eppure quasi mai tenuto in considerazione durante questi mesi di discussioni sul decreto-Madia: qualunque riorganizzazione della pubblica amministrazione non può prescindere dalla revisione della spesa corrente. E viceversa.
L’emendamento interviene sull’articolo 7 del disegno di legge presentato dal governo, imponendo a tutte le amministrazioni pubbliche (statali e locali, enti accessori e società partecipate incluse) di inviare una relazione al Parlamento contenente l’elenco dettagliato di tutte le competenze, le funzioni esercitate e le procedure gestite. Inoltre, in tale relazione ogni amministrazione dovrebbe descrivere l’entità e le funzioni dei propri uffici, indicare i dirigenti responsabili e fornire i dati statistici relativi a tutte le attività istituzionali svolte. Così facendo, l’emendamento punta a effettuare una ricognizione completa del vastissimo apparato pubblico italiano e delle sue funzioni, secondo benchmark standard e, di conseguenza, dati comparabili.
Secondo l’obiettivo che si propone di raggiungere l’emendamento, la ricognizione vincolante della pubblica amministrazione nel suo complesso potrebbe condurre, in primo luogo, a migliorare la produttività nell’erogazione dei servizi, l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa. Ma il punto fondamentale è il secondo: una ricognizione complessiva della pubblica amministrazione potrebbe consentire di eliminare procedimenti inutili e duplicazioni di funzioni e competenze, che – inutile dirlo – sono purtroppo molto comuni.
L’emendamento richiede alle stesse amministrazioni di proporre piani di ristrutturazione, sul modello della proposta di legge elaborata dal “Giardino dei semplici”. Questi possono riguardare, a titolo esemplificativo, l’indicazione delle funzioni da mantenere e di quelle ritenute superflue ai fini della propria operatività, dei livelli qualitativi da raggiungere, dell’ottimizzazione del numero di centri decisionali e dei risparmi di spesa che potrebbero interessare l’ente di riferimento. Tali piani dovrebbero poi essere valutati da una commissione parlamentare istituita appositamente con lo scopo di pervenire alla riorganizzazione globale della macchina amministrativa.
Si tratta, com’è ovvio, di un progetto assai ambizioso. In un Paese dove nessuno conosce con certezza il numero delle pubbliche amministrazioni esistenti, pensare di procedere alla loro ricognizione sembra arduo. Per non parlare del tentativo di convincerle a proporre dei piani di ristrutturazione che coinvolga i loro stessi uffici o quelli appartenenti agli enti dello stesso organismo territoriale. Definire folle un’idea simile è un eufemismo. Tuttavia, prima o poi bisognerà provarci. A maggior ragione in un Paese dove la spending review o l’introduzione di criteri di meritocrazia all’interno degli apparati pubblici vengono visti come attacchi frontali al welfare state o al principio di uguaglianza, cercare di coinvolgere le singole amministrazioni in un processo globale di ristrutturazione che abbia come centro il parlamento – invece che il governo o, ancora peggio, un commissario esterno – potrebbe costituire un primo passo verso una pubblica amministrazione più snella ed efficiente. Certo, un impianto istituzionale federale strutturato correttamente (cioè in cui alle spese sostenute all’interno delle regioni corrispondessero pari responsabilità finanziarie in capo a queste ultime) avrebbe potuto rivelarsi decisivo in un progetto di ricognizione di enti e spese correlate. Ma chissà che, con un sistema di controllo credibile e la previsione di sanzioni adeguate in caso di inadempimento, il meccanismo – se mai vedrà la luce – possa funzionare.
Twitter: @glmannheimer
Egregio Dr. Mannheimer Lei è un fine umorista…l’emendamento di cui parla..fatto ad un disegno di legge (che coi disegni di legge in italia potremmo colmare lo stretto di Messina senza bisogno di usare altri materiali edilizi) è il solito strumento con cui la burocrazia alimenta se stessa, creando altre poltrone…e in questo caso sicuramente, visto proprio l’arduo compito, poltrone fautrici di prebenede e vitalizi duraturi.
Guardi lasci perdere…che la storiella che il riformando si autoriformi possa fare proseliti è compito altrettanto arduo quanto la riforma della PA fatta dalla PA. Guardiamo invece la Grecia come un buon laboratorio, dove solo l’asifssia monetaria sta cambiando la PA…vediamo, scientificamente mi sembra un epserimento interessante.
Emenamento assolutamente inutile per mille ragioni. Ancora una volta non si ascolta chi nelle PA lavora. Ancora una volta la politica si gira dall’altra parte e non crea veri, reali e misurabili obiettivi alla PA che da soli creerebbero il primo passo per una riforma. Ad ora gli unici obiettivi sono quelli di tagli della spesa non organizzati che intaccano l’efficacia senza nulla aggiungere all’efficienza.