Un bilancio per l’euro – di Matteo Callegari
Fine anno, tempo di bilanci. Una delle frasi più abusate con l’avvicinarsi di San Silvestro rimanda il pensiero a chi, dopo il suo anno più nero, di un bilancio, oltre che di una seria riflessione, merita: l’euro. Mentre persistono le difficoltà nel quietare la crisi dell’euro-area, risulta chiara una questione: Quale sarà il futuro della moneta unica?
Un contributo alla discussione ci arriva da Geoffrey Wood, che affronta il tema in un paper pubblicato da “Aperta Contrada”.
Il problema più evidente riguarda l’aumento di costo nell’allocazione dei titoli sovrani da parte dei PIGS. Le cause di questo aumento sono molteplici. Generalmente diverse fra loro, condividono delle radici comuni. Wood, nell’indagine di queste radici, risale al dibattito preesistente all’unione monetaria: la questione dell’area monetaria ottimale.
Come riassunto da Bennet T.McCallum (PDF), più l’area di unione monetaria è larga, più è possibile godere dei benefici microeconomici derivanti dall’utilizzo della stessa valuta. D’altro canto, un’area più ristretta consente il ricorso alla politica monetaria in caso di shock improvvisi. Lo studio teorico sui problemi di “grandezza”, però, non è riuscito a produrre risultati operativi utili. Sono stati individuati una serie di fattori, per i quali un’area è da (o da non) considerarsi ideale per un’unione monetaria; ma pochi di essi ci forniscono la possibilità di quantificare realmente le variabili adeguate a determinare un’area ottimale per la moneta. In questo senso, Wood propone un parallelo con un’altra teoria storica: la Teoria della dimensione ottimale dell’impresa (G. Stigler, “The Economies of Scale”, Journal of Law and Economics, 1, 1958). Come osservato da Stigler, “La teoria ha fallito, poiché ha eluso la possibilità di arrivare a misurazioni pratiche”; e arriva alla conclusione che “la definizione di base per la dimensione ottimale delle imprese è che esse possano mantenere la propria grandezza nella competizione con altre imprese”.
Per l’autore, la conclusione a cui giunge Stigler può essere utilizzata nell’ambito delle aree monetarie. In questo senso, si può effettuare una paragone con gli Stati Uniti. La dimensione dell’area e la forza economica ne fanno un facile oggetto di paragone. Wood vede però come all’interno dell’Unione Europea non si verifichi quella mobilità di fattori produttivi che avviene sul suolo statunitense. Difficilmente le imprese si spostano in modo tale da sfruttare pienamente i vantaggi che possono scaturire da zone più depresse. Inoltre i problemi di lingua, la mancanza di coesione politica e culturale rendono lontano l’avvicinamento a ciò che avviene negli USA. Quello che preoccupa è la mancanza di caratteristiche tali da compensare questi problemi di coesione. Uno dei difetti maggiori derivante da questa situazione lo si trova in uno dei casi più impegnativi degli ultimi mesi: quello irlandese. Allo scoppio della crisi, insieme al bank run di Northern rock, risultò evidente una situazione di difficoltà anche per le banche irlandesi. La risposta del governo fu tempestiva: una garanzia su tutti i depositi. La corsa alle banche terminò, ma il problema venne rinviato, non risolto. La situazione delle banche irlandesi era infatti peggiore del previsto: non bastò un inasprimento fiscale volto a reperire i fondi con i quali restituire i prestiti. Risultò evidente che le banche non sarebbero state in grado di restituire tale somma. Di fronte allo spettro di una nuova corsa, l’intervento del FMI e della UE hanno rinviato nuovamente la situazione. Ma, si chiede Wood, può una situazione debitoria insostenibile essere risolta con nuove iniezioni di debito? Questo può continuare solo fino a quando i nuovi debiti saranno più grandi e a minor tasso d’interesse di precedenti.
Chiaramente questi nuovi debiti significheranno, per l’Irlanda, anni di tasse più elevate. Con il rischio di assistere ad una nuova emigrazione generazionale per gli irlandesi. Il problema quindi non viene risolto, ma sostituito da un nuovo tipo di problema. Inoltre, nelle condizioni attuali, è chiaro che viene messo in evidenza a quali condizioni dovranno concludersi eventuali nuovi bailout: prestiti a basso costo e a lungo termine. E a farsi carico di questi prestiti dovrebbero essere in maggior misura i tedeschi: per quanto si accolleranno questo fardello? Per di più, questo non incide sulle persistenti difficoltà strutturali dell’unione: la bassa crescita di produttività non è compensata dalla mobilità del lavoro e flussi di capitale anticiclici non permettono l’armonizzazione delle differenze fra Paesi.
In conclusione, si possono dedurre gli ipotetici scenari di fronte ai quali ci potremmo trovare nel prossimo futuro: la divisione dell’euro fra aree più forti e aree deboli, un ritorno di alcuni Paesi alla propria valuta, un’armonizzazione politica e fiscale, o la fine dell’unione monetaria. Questi scenari riguardano un ambito di decisione più strettamente politico, ma di una cosa siamo certi, l’euro potrà sopravvivere, ma non nella sua forma attuale.
Io non concordo con le conclusioni.
Una distinzione tra un sud e un nord dotati di proprio tipo di euro (qualcuno ha parlato rispettivamente di Souro e Neuro, e direi che il secondo nome dice molto della questione), e a maggior ragione un ritorno a valute nazionali per i paesi più deboli, sarebbe un autogol disastroso per tutti: i “forti” non avrebbero più alcuni fattori di mitigazione sulla forza della moneta (La Germania è forte quanto si vuole, ma sicuramente un contrappeso che eviti un’euro stellare fa comodo) mentre i deboli presenterebbero un legame “debito-moneta” più forte di adesso, e subirebbero una fuga non solo dal debito ma anche valutaria che aggraverebbe la prima. Della serie: se non riuscite a “prostrarvi” a causa del forzato rientro del debito, riuscirete ad uccidervi definitivamente a causa del “sudden stop e reversal”.
L’Italia ad esempio è entrata nell’euro per non fallire, come è credibile che non fallisca se ne esce?
In termini più concisi, ritengo la questione euro un “gioco” non a somma zero in cui la cooperazione permette un risultato (anche politicamente) più soddisfacente.
“Armonizzazione politica e fiscale” è una espressione molto vaga. Espongo la mia idea di cosa potrebbe accadere: declinazione del termine “armonizzazione” in “applicazione della best practice”, più precisamente applicazione degli standard tedeschi attraverso un commissariamento di fatto degli stati deboli (e io, sinceramente, non escluderei che l’Italia sia di fatto già in questo progetto). Persa l’autonomia monetaria (per scelta necessaria) seguirà cioè la perdita dell’autonomia fiscale (sempre per necessità).
Tale strumento magari verrà offerto in contropartita degli aiuti da parte dei “forti” o di “enti comunitari” mantenendo la classe politica nazionale al suo posto praticamente come “fantoccio”.
E buon 2011
Detto così assomiglia molto alla vendita della propria libertà.
@Leonardo, IHC
magari…. a questo punto sarei proprio disposto a “finire sotto i tedeschi” pur di toglierci dalle scatole questa classe politica. praticamente, sarebbe come se avessimo perso la prima guerra mondiale con 100 anni di ritardo, finiremmo sotto “l’impero austro-ungarico” e magari, sarebbe la volta buona che l’alto adige sarebbe contento
@Massimo Peruzzo
Per toglierla dalle scatole c’è un ottimo metodo: non votarla. Il fatto che la larga maggioranza degli italiano non solo si rechi alle urne (cosa che personalmente approvo) ma esprima pure un voto valido, mi fa pensare che nella realtà siamo in pochi a voler veramente togliere di mezzo questa classe.
E per questo scenderanno (o son già scesi) gli austrocrucchi e i cruccogoti a tirare le redini (cioè chiudere la borsettina).
La differenza tra USA e Europa non è solo economica ma innanzitutto istituzionale: gli Stati Uniti sono uno STATO (federale), l’Europa è soltanto una UNIONE DOGANALE e MONETARIA. In Europa non c’è l’autorità sovrana che c’è in america a sostenere e correggere il mercato quando c’è bisogno. In America vi sono stati fino ad oggi 17 fallimenti tra i singoli stati americani: questi sono stati lasciati fallire (il più clamoroso è stato nel 1996 lo Stato di New York) perchè molti servizi pubblici essenziali sono programmi federali, il sistema privato non subisce traumi rilevanti come potrebbe accadere in Europa se solo un singolo stato fallisse (cioè zero pensioni, nessun stipendio pubblico, nessun appalto…). L’unico scenario auspicabile per evitare che l’Euro vada in frantumi e con esso il mercato è il completamento dell’intragrazione economica in UNIONE POLITICA su basi federali che possa mettere al riparo il mercato dalle turbolenze della globalizzazione.