UberPop: la colpa non è dei giudici, ma dei politici
Ieri, come noto, il Tribunale di Milano ha accolto (sia pure parzialmente) il ricorso di alcune società e sindacati di tassisti, che chiedevano di “bloccare” il servizio UberPop su tutto il territorio nazionale, in quanto questo determinerebbe una concorrenza sleale al servizio di radiotaxi. Come prevedibile, l’ordinanza ha scatenato reazioni e polemiche feroci, su alcune delle quali è il caso di fare chiarezza. Una cosa è certa: l’avversione dei tassisti ai servizi di Ncc offerti dalle nuove tecnologie è una forma di luddismo, come tale inevitabilmente destinata a soccombere, prima o poi, sotto il peso del progresso. Non sarà un giudice e nemmeno una legge a fermare la naturale evoluzione delle cose: se non sarà Uber oggi, ad avere la meglio, sarà qualcun altro domani.
Ciò detto, per ciò che concerne la legittimità di UberPop, la decisione del Tribunale di Milano è solo la punta dell’iceberg di un problema legislativo, ben prima che giudiziario. Il combinato disposto fra la legge 21/1992 (che regola il trasporto pubblico non di linea) e il Codice della Strada, infatti, lascia ben pochi spiragli per poter affermare che sia possibile svolgere un servizio come UberPop, essenzialmente per l’assenza di un sistema di licenze o autorizzazioni comunali. Ciò che vale la pena chiedersi è, invece, se da tale conclusione si debba dedurre un qualche svantaggio ai danni dei consumatori, derivante dalla “concorrenza sleale” perpetrata dai servizi alternativi ai taxi, oppure la sola esistenza di un vero e proprio vuoto normativo da riempire al più presto, per restare al passo con una realtà (e con una domanda) che sta cambiando molto velocemente.
Che questo sia il punto centrale della vicenda è confermato, del resto, dalle motivazioni quantomeno fantasiose che il Tribunale di Milano adotta nella propria ricostruzione dell’anti-concorrenzialità di UberPop. Nell’ordinanza, infatti, il giudice rileva come sussista “un’area di soggetti comunque interessati al risparmio sul prezzo della corsa di un taxi – che dunque possano essere sviati dall’utilizzazione del servizio pubblico – che consente anche in via potenziale di ritenere integrato il presupposto proprio dell’illecito concorrenziale relativo alla sostanziale comunanza tra le parti della platea dei consumatori, comunque rilevante anche se parziale”.
In altre parole, la domanda di servizi equiparabili a quelli offerti dai taxi, ma offerti a un prezzo inferiore, esiste senz’altro. Difficile, del resto, immaginare il contrario. Tale differenza di prezzo sarebbe generata, secondo il giudice, dalla mancata soggezione degli autisti UberPop ai costi e agli oneri cui sono sottoposti i tassisti. Ma rimane viva la questione più importante: qual è il danno potenziale per i consumatori, derivante dall’utilizzo di UberPop? L’ordinanza menziona “il pubblico interesse alla garanzia della mobilità”, nonché “la necessità di garantire (…) la sicurezza e l’integrità personale degli utenti di tali servizi attraverso il controllo dei requisiti personali (…) dei soggetti privati ammessi alla licenza”. Ma sarebbe superfluo rilevare come la prima istanza non comporti alcun ridimensionamento a causa dell’aumento di concorrenzialità nel settore – ma, al contrario, una garanzia anche più solida – e la seconda inerisca, a ben vedere, ai requisiti imposti dalla legge per l’esercizio della professione, non certo alla tutela dei consumatori.
L’intera problematica è riassunta da uno degli ultimi passaggi dell’ordinanza, secondo cui il pregiudizio arrecato (NB: agli operatori dei taxi, non ai consumatori) “(…) ha una sua peculiare e stringente attualità in quanto esso appare certamente oggi accentuato per effetto del previsto consistente numero di visitatori della manifestazione Expo 2015, che pur interessando direttamente la città di Milano appare suscettibile di ampliare anche l’afflusso turistico in altre città italiane tra le quali anche quelle ove operano parte degli odierni ricorrenti”. Da quest’ultimo stralcio dell’ordinanza, infatti, risulta evidente la tensione fra una domanda di trasporto pubblico non di linea in grande crescita, a maggior ragione durante Expo, e un’offerta che viene contingentata in ossequio a una disciplina pensata per un mondo diverso dall’attuale, in cui il sistema del trasporto pubblico non di linea non conosceva ancora le possibilità oggi date dall’innovazione.
Ecco perché la responsabilità della situazione è squisitamente politica e quest’ultima ordinanza dovrebbe servire da monito al legislatore, perché regoli al più presto qualcosa che, volenti o nolenti, sta già succedendo, e che sono clienti e consumatori a chiedere.
Twitter: @glmannheimer
GIUSTISSIMO
ma in Italia non conosciamo la meritocrazia ma solo la poltrona
per questo i politici non si sentono “committed” a lavorare per coloro che pagano loro lauti stipendi
ma solo ad affabulare un pubblico ormai ridotto ad una capacità elaborativa di un anziano con l’alzeimer
grazie ad una classe dirigente e giornalistica estremamente modesta
Sono parzialmente d’accordo. I Comuni dovrebbero vendere le licenze a tassisti in modo più equo. Inoltre il tassista dovrebbe essere più professionale, e non inventarsi percorsi a caso, tanto per fare correre il tassametro. Le assicurazioni dovrebbero applicare premi assicurativi adatti a chi fa un uso commerciale del veicolo e non un uso proprio. Lo stesso valga anche per la MCTC infase di rilascio di libretto di circolazione.
L’ordinanza del tribunale di Milano appartiene a quella categoria di provvedimenti giudiziari estranei alla giustizia, al diritto, alla civiltà del tempo e, purtroppo, ottusamente intrisi di arido formalismo normativo. Quello stesso manicheismo che, in troppe occasioni, è invece responsabile di stravaganti interpretazioni ed elusioni aberranti nel nome dell’utopica dipendenza giudice soltanto dal dettato legislativo.
Nel caso del codino allineamento alle retrive pretese dei tassisti contro Uber Pop, l’ordinanza milanese non avrà né l’autorevolezza né la forza né la pratica efficacia nel contrastare a lungo un fenomeno inarrestabile, come testimonia la sua diffusione in tutto il mondo più evoluto. E a favore del quale le più attuali dinamiche economiche e sociali decretano irreversibile legittimazione. Del resto, la pronuncia dei giudici meneghini offre un significativo esempio di distacco dalla questione cruciale che la vicenda propone: la libera concorrenza e la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini. Liquidata, con pedestre estraneità al tema, da un lato con unilaterale riconoscimento delle pretese dei tassisti e,dall’altro, con indifferenza e funambolico dileggio della logica contro i consumatori, il libero mercato e la libertà d’intrapresa, l’economicità del trasporto alternativo e la più generale ispirazione a consolidate istanze di progresso. Nonché a spese della più lungimirante evoluzione culturale della giurisdizione.
Egregio victor, 28 maggio 2015,
la magistratura non fa fatica a fare politica se le leggi sono sbagliate.
Nel caso in questione c’è il sistema delle licenze che sono concesse dai Comuni dietro pagamento e pratiche burocratiche. Il sistema delle licenze è funzionale ad una società corporativa in cui il posto di lavoro lo si ottiene per appartenenza (dietro pagamento e gentile concessione dell’autorità), non per merito, vale a dire per la capacità di offrire qualcosa di meglio ai clienti.
L’Italia, comunque, è piena di storture ben peggiori che non la difesa di una corporazione di gente cha ha pagato e si è dannata l’anima a girare negli uffici comunali per poter lavorare; ci sono ben altri privilegiati e miracolati dal nepotismo, dall’assistenzialismo, dal clientelismo e dal corporativismo che non hanno neppur dovuto pagare!
Se chi va al Parlamento e al Governo produce leggi non solo contrarie al diritto degli individui ed alle ragioni dell’economia, ma anche sgangherate e contraddittorie, non c’è modo di salvarsi se non cambiando radicalmente partiti e uomini. Come diceva Tacito un paio di millenni fa “Corruptissima re publica plurimae leges”.