Twitter/X può monitorare giornalisti e politici?
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da parte di Claudia Giulia Ferrauto (con un commento di Carlo Stagnaro)
È sabato 22 marzo 2025. Sto per uscire quando noto uno Spaces su X con Andrea Stroppa, uomo vicino a Elon Musk e figura chiave per la piattaforma in Europa e in Italia. Esito, ma tra gli ascoltatori ci sono giornalisti che stimo. La curiosità vince: entro. Nicola Porro intervista Stroppa su Twitter/X, Musk, Tesla. Ascolto distrattamente finché la connessione salta. Il giorno dopo recupero la registrazione. Al minuto 32 sento qualcosa di inquietante. Torno indietro. Riascolto. Stroppa afferma che, grazie al suo ruolo di azionista, può risalire all’identità di qualsiasi utente anonimo che lo critica. Un’affermazione netta, senza sfumature.
Magari era una boutade, ma il suo ruolo e il legame con Musk rendono la dichiarazione esplosiva. E il fatto che non l’abbia smentita a distanza di cinque giorni, aggrava tutto.
Il punto però non è Stroppa, ma il rischio che su X sia così facile identificare utenti anonimi. Questo violerebbe il GDPR e le normative europee. Politici, giornalisti e imprenditori usano la piattaforma: la sicurezza della piattaforma è un tema che va chiarito.
Caos su X: nessun controllo, nessuna trasparenza
Dopo l’acquisizione di Musk, Twitter/X regna il caos. Su altre piattaforme gli accessi del personale interno che può eventualmente accedere per necessità a determinati account, è regolato e tracciato. Su X esiste un controllo simile? Non abbiamo garanzie. Il Garante Privacy italiano ha ricevuto una segnalazione, ma la sede legale della piattaforma in Irlanda complica tutto.
Al momento, la politica tace. Ma questa vicenda merita un chiarimento.
Chi tutela politici e giornalisti su X? Chi controlla chi? Senza risposte chiare, la fiducia crolla. Questa storia riguarda tutti. E il silenzio dei media e della politica è assordante.
L’articolo completo è QUI.
A corredo:
La prima testata a cogliere la notizia è stata Start Magazine, QUI seguita il giorno dopo da Dagospia.
IL COMMENTO DI CARLO STAGNARO
La notizia segnalata da Claudia Giulia Ferrauto è importante e merita di essere commentata. Ci sono, in particolare, tre aspetti differenti che meriterebbero di essere esplorati.
Il primo è relativo alla trasparenza: gli utenti anonimi sono realmente anonimi oppure la loro identità è (o può essere) svelata? E’ una domanda che non riguarda solo X ma tutte le piattaforme online, che nel passato sono state spesso criticate proprio perché consentono (e in alcuni casi addirittura proteggono) l’anonimato degli utenti. Addirittura vi sono proposte di legge che vorrebbero imporre alle piattaforme di accertare l’identità degli utenti (https://www.ilsole24ore.com/art/sui-social-network-solo-documento-d-identita-proposta-italia-viva-pro-e-contro-ACKsYNv). La questione ha, insomma, una dimensione tecnica (c’è modo per gli utenti di restare veramente anonimi?), una giuridica (quali sono i confini dell’anonimato rispetto alle richieste, per esempio, dell’autorità giudiziaria?) e una – per così dire – di autoregolamentazione. In ultima analisi, ciò che realmente conta sono la trasparenza e la chiarezza delle regole. E’ bene che ciascuno di noi, quando apre un account su una piattaforma, possa sapere che tipo di dati mette a disposizione della piattaforma stessa e che uso questa può farne.
Il che ci porta al secondo tema: se la piattaforma (o uno dei suoi azionisti) intende utilizzare l’accesso privilegiato che inevitabilmente ha ai dati degli utenti per ragioni diverse da quelle legate al mero funzionamento della piattaforma stessa, quali conseguenze ne derivano? A me pare che le conseguenze debbano trarle gli utenti stessi: non è obbligatorio stare su X (come non lo è su qualunque altro social network). In un mondo plurale, quale internet indubbiamente è, ciascuno può scegliere quali piattaforme utilizzare e per fare cosa, sulla base di un proprio personale calcolo dei costi e dei benefici. Se i costi (incluso il disagio derivante dalla possibilità di essere monitorato da Musk o chi per lui) superano i benefici, semplicemente possiamo cancellarci e utilizzare altri social (o non utilizzarne nessuno). E’ esattamente quello che sta succedendo: soggettivamente ciascuno di noi può dare della gestione di X da parte di Musk il proprio giudizio, ma collettivamente i dati parlano chiaro. Il numero di utenti è in calo da quando Musk ha preso il controllo di X https://backlinko.com/twitter-users, mentre i ricavi dopo un tonfo negli scorsi anni potrebbero tornare a crescere solo nel 2025 https://www.reuters.com/technology/x-report-first-annual-ad-revenue-growth-since-musks-takeover-data-shows-2025-03-26/.
E arriviamo, infine, al terzo argomento. Se X viola le norme, sarà chiamato a risponderne (cosa che accade da tempo vista l’elevata conflittualità coi regolatori europei). Ma un’analisi del tema dovrebbe andare oltre il mero aspetto dell’applicazione delle norme, e dovrebbe riguardare anche l’effetto di quelle stesse norme. L’Unione europea da diversi anni ha preso una strada chiara verso un incremento degli oneri regolatori, a partire dalla riservatezza dei dati personali e per arrivare fino a regole di più ampio respiro come il DMA e il DSA. Ce ne siamo occupati in tanti documenti dell’IBL, tra cui il libro curato con Serena Sileoni https://www.brunoleoni.it/ibl-libri/policy/le-sfide-delle-politiche-digitali-in-europa/, un recente paper di Giuseppe Colangelo https://www.brunoleoni.it/ricerche/vivere-pericolosamente-dma-concorrenza-sicurezza/ e il più ampio rapporto di Epicenter https://www.epicenternetwork.eu/publications/digital-revival-how-regulation-prevents-the-rise-of-european-tech-leaders-8838/. Questa alluvione normativa, per quanto bene intenzionata, rischia di danneggiare la concorrenza e l’innovazione, producendo – in ultima analisi – una minore e non maggiore tutela dei consumatori.
Insomma: la questione è ampia e la dichiarazione di Stroppa ci ha dato lo spunto per un “deep dive” su temi profondi, che riguardano non solo il ruolo e le “regole del gioco” delle piattaforme, ma anche e soprattutto le caratteristiche dell’ambiente digitale che stiamo creando in Europa, e che rischiano di lasciarci ricchi di norme ma poveri di innovazione