Tutto il potere ai medici?
La Voce.info sforna da alcuni giorni delle “ricette” per uscire dalla crisi. Uno dei più acuti economisti italiani, Pietro Garibaldi, giostra la sua sulla necessità di “ridurre il potere dei signori della sanità”.
Il contesto in cui l’articolo di Garibaldi si situa è quello dei numerosi “scandali” scoppiati nel tempo nel mondo della salute, particolarmente rispetto all’interazione pubblico-privato. Ora, su un punto bisogna esser chiari. Il sistema misto, privato-pubblico, in Italia è patrimonio essenzialmente della Regione Lombardia. La componente privata può essere importante anche in altre Regioni, ma svolge un ruolo quasi ovunque “residuale”.
In Lombardia, invece, l’ospedale privato è ospedale a tutti gli effetti: con eccellenze assolute nell’ortopedia o nella cardiochirurgia, specialità che richiedono importanti investimenti, e con l’impegno in attività tradizionalmente riservate agli ospedali pubblici come l’urgenza-emergenza e la rianimazione
Ci sono dei problemi con l’attuale sistema che consente l’accreditamento dei privati per svolgere funzioni di sanità pubblica? Certamente. Il primo e più vistoso problema sta a monte, nella logica sottesa al sistema degli accreditamenti, che è inevitabilmente politicizzata e discrezionale.
Garibaldi si focalizza invece sulla necessità di ridurre “lo strapotere dei pochi signori delle case di cure”, partendo dalla constatazione (indubbiamente corretta) che i grandi gruppi della sanità sono relativamente concentrati, e che avere un gruppo di dimensione “importante” rispetto al sistema sanitario in cui si opera (quindi, di norma, rispetto a una/ due regioni) conferisce una “leva” politica.
La sua proposta allora è quella di
di riconoscere il rimborso delle operazioni chirurgiche effettuate direttamente ai medici piuttosto che alle case di cure. In altre parole le unità da accreditare per le operazioni dovrebbero essere i medici e non più le case di cura. In un sistema di questo tipo, diversi medici potrebbero scegliere tra diverse strutture, in modo da ridurre il potere oligopolistico dei manager privati della sanità. Lo Stato, le Regioni e il Ministero del Welfare dovrebbero comunque controllare che gli standard qualitativi e igienici in ciascuna struttura privata siano rispettati. Infine, sarebbe comunque necessario controllare, almeno in via campionaria, che gli interventi chirurgici richiesti dai singoli medici siano davvero necessari.
Ma è davvero possibile “disintermediare” gli ospedali? Le aziende sanitarie possono essere considerate alla stregua di una rete? La competizione nella sanità può essere una “concorrenza per il mercato” di demsetziana memoria?
Non credo. La professione medica ha esigenze particolari. Deve essere preservata da una certa tendenza alla burocratizzazione, in certa misura connaturata alle strutture dello Stato sociale. Deve essere garantita la liberà di cura, e la libertà di sperimentazione (consapevole ed approvata da parte del paziente). Però parliamo di un contesto già squilibrato, a tutto vantaggio del medico. Inoltre, il medico non è di norma un manager, non è detto che sappia gestire al meglio (banalmente) le relazioni col resto del personale, e vi sono economie di scala e di scopo che vengono sfruttate proprio dagli ospedali (pensate solo all’acquisto dei macchinari). Immaginare operazioni complesse che vengono “rimborsate” al singolo medico, il quale “affitta” le attrezzature opportune dall’ospedale, è invero curioso. Si tratterebbe di portare le logiche dell’attività extra moenia all’interno delle strutture ospedaliere. Ma con quali costi? E generando quali conflitti d’interesse? E soprattutto, eliminando l’impresa dalla sanità (riducendo il tutto a libera professione), che ne sarebbe dell’innovazione e dei forti investimenti strutturali che essa richiede? Proprio questo è un settore nel quale abbiamo tutti un evidenze interesse che l’aggiornamento tecnologico delle strutture sia il massimo.
Infine, ma più importante di tutto, è che per fare oggi al meglio un singolo atto medico, come un intervento chirurgico, serve il lavoro contemporaneo di decine di specialisti presenti contemporaneamente e affiatati fra loro. E questo solo un ospedale può assicurarlo.
Inoltre, è tutto da vedere che l’interesse dei medici sia meno concentrato di quello degli imprenditori della sanità, o che abbiano meno forza lobbistica nei confronti della politica. Già oggi la professione è una lobby formidabile (banalmente, pensate al numero chiuso. Dal 1990, il numero dei medici è aumentato in tutti i Paesi OCSE, tranne l’Italia).
Credo che a Pietro Garibaldi (che non ha nessuna tentazione “passatista”: giustamente scrive “il sistema del futuro dovrà necessariamente basarsi su un misto pubblico e privato”) vada riconosciuto il coraggio di aver posto un tema che molti altri, sulla Voce e altrove, preferiscono ignorare. Ma sarebbe sbagliato, visto il mix sanitario italiano, concentrarsi sulle storture dei privati. Che vanno risolte (attraverso un regolatore indipendente o, meglio, inserendo una intercapedine assicurativa fra finanziamento del sistema ed erogazione dei servizi). Ma che sono ben poca cosa rispetto alle storture del pubblico. Più trasparenza, a cominciare dai bilanci, sarebbe un inizio per diventare tutti più consapevoli di quanto spendiamo, nella sanità.
Scusi Mingardi, ma in Germania non funziona pressapoco cosi come Garibaldi propone?
Grazie. Premetto che la mia conoscenza della Germania, e come Paese e come istituzioni, è molto limitata. Tuttavia, mi sembra sia così solo in parte. Se non capisco male, in Germania ogni ospedale sottoscrive con il cartello regionale delle Casse Malattia un accordo di produzione per volumi e tariffe (case mix, DRG, giornate di degenza) all’interno di un budget finanziario complessivo e sulla base delle dotazioni accreditate dal singolo Land.
Poi l’Associazione regionale dei medici negozia con il cartello regionale delle Casse Malattia il budget annuale per la spesa farmaceutica e con ogni singola Cassa i volumi di attività ed il budget stipendiale dei medici. A sua volta questa Associazione effettua il riparto dei proventi tra i medici in base all’output individuale e del rispetto del fondo concordato.
Questo mi sembra coerente con la governance del sistema sanitario tedesco, che vede tutti i soggetti (pubblici, privati non profit – che sono una parte importante del sistema anche a livello di offerta di servizi -, privati for profit, diversi livelli di governo) coinvolti nella definizione dei bisogni di assistenza, degli standard di rimborso, dei requisiti di accreditamento. Inoltre giocano un ruolo molto forte non tanto i medici “battitori liberi” cui (se lo leggo bene) pensa Garibaldi, ma le loro associazioni di rappresentanza.
Mi sembra quindi un modello più complesso che “assumere i medici come uniche unità da accreditare” con l’obiettivo di esaltarne ruolo e produttività. Detto questo,si tratta di informazioni che traggo semplicemente da cose lette e non viste, quindi se completa le informazioni a mia disposizione mi fa un piacere!
Una testimonianza dalla Germania la posso portare io. Premesso che non so nulla su misurazione delle performance, definizione di budget, standard sui servizi ecc, confermo però l’esistenza di un sistema misto pubblico-privato. Funziona grosso modo così: ogni cittadino tedesco é iscritto ad una di queste grandi compagnie assicurative e paga una quota mensile che non so dirvi se sia calcolata in base al reddito o se si tratti di un’ammontare fisso (i cittadini di altri paesi europei ne sono esenti, quindi anche il sottoscritto). In ogni caso ho colleghi non europei che pagano una quota attorno ai 55€ mensili. Ma tornando alle agenzie, la maggior parte della popolazione é coperta dalle AOK, cioè le agenzie regionali; una quota tra il 5 e il 10% si autofinanzia un’assicurazione di tipo privato, il restante si divide tra altre casse pubbliche e private. Da notare quindi che il monopolio pubblico non c’è, fatto apprezzabile per un paese che della concorrenza di certo non ha fatto il suo stendardo! Cosa posso dire della mia esperienza: sono iscritto all’AOK locale, avevo bisogno di una visita specialistica. Mi sono fiondato senza preavviso dallo specialista, ho esibito il tesserino spiegando il problema che avevo (che credevo di avere) e la signorina molto gentilmente mi ha dato un’appuntamento dopo soli 2 gg. Siamo ad anni luce rispetto all’Italia (del nord, prendendo la parte che funziona della sanità). Morale: ho pagato il ticket di 10€, ho fatto gli esami del sangue (di tipo semplice) non pagati, ho dovuto fare un ulteriore esame pagando 18€ (pagati online tramite la banca dopo aver ricevuto la fattura dal laboratorio) e finalmente all’ultimo appuntamento mi sono congedato dal medico perché il fatto non sussiteva. Che dire, tempo totale 1 mese e mezzo. Lo stesso trattamento in Italia mi sarebbe costato il triplo e avrei dovuto attendere sei mesi.
Se il sistema sia efficiente in termini di costi-benefici non ve lo saprei dire, che funzioni bene credo proprio di si. Ricordo un capitolo dell’ottimo libro “The Economics of the Welfare State” di Nicholas Barr in cui il sistema tedesco non ne usciva proprio elogiatissimo (stranamente quello inglese si…): in particolare ricordo un grafico (vado a memoria perché purtroppo non lo posseggo più) che evidenziava in termini comparati i costi dei sistemi sanitari di molti paesi ed effettivamente quello tedesco mostrava un’incidenza più elevata (a parità di prestazioni presumo) rispetto ad esempio al sistema francese (il peggiore ovviamente il sistema USA). Il libro faceva un’ottima analisi appunto dei 3 sistemi più diffusi tra i paesi OCSE (il globale all’italiana, il semi pubblico-privato alla tedesca e quello pessimo privato degli USA). Ne usciva un quadro positivo per il sistema di copertura globale in quanto la peculiarità del “mercato” della salute é tale per cui problemi come il moral hazard oppure le esternalità negative derivanti dall’asimmetria informativa, nei sistemi di tipo privato, sono difficili da estirpare. Una lettura interessante che consiglio.