Tutti uscivamo col passamontagna: il paradosso degli energivori
In Italia, un sussidio non lo si nega a nessuno. Che i soldi pubblici debbano essere subito e sempre disponibili è una verità così profonda che, quando ci mettono un poco più del solito ad arrivare o ne arrivano meno, scatta come tic pavloviano la rivendicazione: la rendita come diritto acquisito. E’ il caso della “agevolazioni tariffarie alle imprese a forte consumo di energia”. Volgarmente nota come: sussidi ai consumatori “energivori”.
Mettere i piedi sul tavolo è toccato al vicepresidente di Confindustria, Aurelio Regina, che in un’intervista a Repubblica si è lamentato dei presunti ritardi dell’Autorità per l’energia nel provvedere allo “sconto”. (In realtà l’Aeeg ha approvato pochi giorni fa una delibera che fissa al 1 luglio il momento di decorrenza degli “sconti” e un documento di consultazione sulle modalità operative per la loro attuazione). Aveva ragione Regina a battere cassa?
Dal punto di vista formale, l’Aeeg si è mossa entro i paletti fissati dal legislatore, i quali però erano stati ampiamente allargati dall’esecutivo. La ricostruzione del quadro legale si trova nel citato documento di consultazione. In pratica, l’articolo 39 del decreto legge 22 giugno 2012, n.83 (il “decreto sviluppo“, premier Mario Monti, ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera) stabilisce che:
1. Con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto col Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro il 31 dicembre 2012, sono definite, in applicazione dell’articolo 17 della Direttiva 2003/96/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003, le imprese a forte consumo di energia, in base a requisiti e parametri relativi a livelli minimi di consumo ed incidenza del costo dell’energia sul valore dell’attività d’impresa.
2. I decreti di cui al comma 1 sono finalizzati alla successiva determinazione di un sistema di aliquote di accisa sull’elettricità e sui prodotti energetici impiegati come combustibili rispondente a principi di semplificazione ed equità, nel rispetto delle condizioni poste dalla direttiva 2003/96/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003, che assicuri l’invarianza del gettito tributario e non determini, comunque, nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
3. I corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema elettrico ed i criteri di ripartizione dei medesimi oneri a carico dei clienti finali sono rideterminati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas entro 60 giorni dalla data di emanazione dei decreti di cui al comma 1, in modo da tener conto della definizione di imprese a forte consumo di energia contenuta nei decreti di cui al medesimo comma 1 e nel rispetto dei vincoli di cui al comma 2, secondo indirizzi del Ministro dello sviluppo economico. Dalla data di entrata in vigore della rideterminazione è conseguentemente abrogato l’ultimo periodo del comma 11 dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79.
In grassetto trovate i passaggi fondamentali (qui la ricostruzione di Quotidiano Energia). Traduco e riassumo: poiché nel nostro paese l’energia elettrica costa mediamente più che altrove, e questo è una causa di svantaggio competitivo per le imprese manifatturiere italiane che competono sui mercati internazionali, viene introdotto uno “sconto” per le aziende energivore. Tuttavia, poiché lo Stato italiano non ha neanche gli occhi per piangere, lo “sconto” (cioè la riduzione degli oneri tariffari per alcune categorie di consumatori) dovrà essere finanziato attraverso un aggravio per tutti gli altri.
Il 5 aprile 2013 il ministero dello Sviluppo economico (ministro Passera) emana un decreto nel quale definisce come imprese energivore (cioè beneficiarie dello sconto) tutte le società che abbiano consumi pari ad almeno 2,4 GWh e per le quali i costi di approvvigionamento energetico siano pari ad almeno il 3% del fatturato. Buona notizia: la qualifica di “energivoro” si riferisce non ai soli livelli di energia consumata, ma anche alla loro incidenza sul fatturato (cioè, non basta che tu sia un grande consumatore di energia, devi anche essere un consumatore intenso). Cattiva notizia: l’asticella è stata collocata talmente in basso (3%) che quasi tutti possono goderne.
Il 24 aprile 2013 il ministero dello Sviluppo (ministro Passera, pochi giorni prima del cambio a Palazzo Chigi) adotta un atto di indirizzo che definisce quattro classi di appartenenza delle imprese energivore, fissando un criterio di progressività per l’agevolazione, con uno sconto crescente dal 15% degli oneri generali di sistema per le imprese con un rapporto tra i costi energetici e il fatturato compreso tra il 2-6% fino al 60% (sessanta per cento!) di sconto per quanti abbiano un indice superiore al 15%.
Il 27 maggio 2013 l’Aeeg invia al ministero un primo schema di provvedimento, non mancando di osservare che “il primo atto di indirizzo da un lato non consente di operare alcuna selettività tra i beneficiari del provvedimento e dall’altro contiene previsioni molto dettagliate che non lasciano margini di flessibilità nell’attuazione da parte dell’Autorità“.
Infine, il 24 luglio 2013 il ministero (ministro Zanonato) emana un secondo atto di indirizzo che accoglie parzialmente le osservazioni dell’Aeeg ma sottolinea l’urgenza di procedere. Ciò a dispetto del fatto che, nel frattempo, alcune imprese hanno fatto ricorso al Tar contro il decreto 5 aprile 2013, e quindi su tutto pende la consueta spada di Damocle.
Morale della favola: solito garbuglio all’italiana, che però in questo caso si gioca attorno a un provvedimento inefficace, dannoso e perverso.
Vediamo perché. Lo “sconto” ad alcune categorie di imprese (i “grandi consumatori”, sebbene alla luce dei criteri introdotti dal ministero siano “grandi” per modo di dire) viene giustificato sulla base dello svantaggio competitivo dovuto agli elevati costi dell’energia. Ma, se è così, non è necessario destinare le agevolazioni a tutti: è sufficiente disegnarle in modo mirato a quanti sono esposti alla concorrenza internazionale. Un provvedimento siffatto sarebbe un esempio di quella “politica industriale” di cui molti si riempiono la bocca, ma che spesso – come in questo caso – finisce per essere l’alibi a un mero sussidio a pioggia. Suppongo sia in relazione a questo aspetto che l’Aeeg rivendica maggiore selettività. Ed è questo che rende inefficaci e mal spesi i 600 milioni di euro malcontati che si riverseranno sui consumatori “senza santi in paradiso”. Inoltre, uno sconto del genere potrebbe essere tollerabile se circoscritto nel tempo e finalizzato a fare da “ponte” verso riforme più ampie, ma non vi è alcuna indicazione né di riforme, né di date di scadenza.
Se le cose fossero state fatte con più attenzione, alla fine della giornata il risultato sarebbe stato deludente: la politica industriale, anche quando sembra ragionevole, è sempre uno scambio di favori (“per crescere servono creatività e flessibilità, non una politica industriale che affida le scelte allo Stato”, hanno scritto in un bellissimo editoriale Alberto Alesina e Francesco Giavazzi). Forse lo “sconto” non sarebbe stato del tutto inefficace (rispetto all’obiettivo di sostenere l’export italiano) ma sarebbe stato comunque dannoso in un’altra prospettiva: quello che conta veramente non è il modo in cui la bolletta elettrica è distribuita tra i consumatori (che è un problema di second’ordine) ma quanto grava, nel suo aggregato, rispetto al Pil, e di quanto potrebbe essere tagliata se tutto funzionasse perbene (che è il problema del prim’ordine).
E’ qui che arriviamo alla perversione. Nella sua intervista, Regina denuncia il boom degli oneri dovuto principalmente ai folli sussidi che sono stati concessi ai produttori rinnovabili. Lo ha riconosciuto lo stesso presidente dell’Aeeg, Guido Bortoni, illustrando, poche settimane fa, la relazione annuale. Ma, nel puntare l’indice contro i “rinnovabilisti”, Bortoni ha pure aggiunto un altro passaggio:
nell’attuale contesto, ciascuno non deve cedere alla facile tentazione di chiedere ulteriori soldi pubblici o sussidi tariffari, anche se mosso dal proprio legittimo interesse. Piuttosto vanno chieste alle Istituzioni buone norme per attrarre investimenti, lavoro e innovazione che sono i veri motori dello sviluppo.
Il paradosso è che, di fronte a un onere complessivamente crescente, tutti i gruppi con un minimo di organizzazione cercano salvezza non pretendone la riduzione, ma mendicando vantaggi per sé. Cioè andando ad aggravare il fardello complessivo. Per usare una metafora, è come se tutti uscissero ogni sera col passamontagna, per infilarsi nell’appartamento altrui e rubare l’argenteria. Poi, tornando, scoprissero che qualcuno aveva sottratto la loro, di argenteria (*). C’è un solo modo per bloccare questo circolo vizioso. Esiste uno, almeno uno, che una sera abbia voglia di stare a casa?
(*) Chi indovina la citazione?