Tutti pensano alla Cassazione, ma spesa, privatizzazioni,liberalizzazioni e credito restano 4 ferite aperte. Per non parlare dei 3 nuovi ordini professionali scodellati caldi caldi
Dal Messaggero di ieri
Nella settimana alle nostre spalle, come spesso avviene in Italia, le polemiche politiche hanno prevalso sui fatti concreti. Si trattasse dell’ostruzionismo Cinquestelle al decreto del fare, delle parole del viceministro Fassina sull’evasione “per sopravvivenza”, o dello scontro sulle regole congressuali del Pd, in tutti i casi si è trattato di contese che non riguardano il bilancio concreto dell’agenda di governo, e come siamo considerati da partner europei e mercati.
Se adottiamo questa seconda visuale, ciò che è avvenuto non si direbbe esaltante.
Siamo reduci in 7 giorni da alcune decisioni della Corte costituzionale, delle quali poco si è parlato. Eppure hanno smontato pezzi molto rilevanti di ciò che era stato deciso per “cambiare marcia” alle politiche di bilancio. Con la sentenza 219/2013, la Corte ha abrogato quanto era stato disposto dal governo Monti in materia di controlli e sanzioni alle Regioni fuori controllo. Sono caduti così lo scioglimento dei Consigli Regionali, insieme all’incandidabilità per 10 anni dei presidenti di Regione finite in default per dolo o colpa grave. E’ caduto l’obbligo di relazione economico-patrimoniale di fine legislatura, per fissare nero su bianco le responsabilità finanziarie di ogni governo regionale uscente. Ed è caduto l’obbligo di ridurre del 20% gli oneri degli enti intermedi controllati dalle Regioni. A ciò si è aggiunta la sentenza 229/2013, con cui la Corte ha abrogato l’obbligo di scioglimento o privatizzazione delle società controllate dalle Autonomie il cui fatturato dipenda al 90% dalla stessa PA. E’ caduto l’affidamento a gare evitando l’”in house”, con la giustificazione che il Parlamento non può interferire in competenze delle Regioni neanche in materia di concorrenza, che pure per famigerato Titolo V della Costituzione è competenza nazionale.
Se dalle decisioni concrete ci spostiamo al quadro europeo, in questa settimana abbiamo appreso dal Corriere della sera che nell’autunno 2011 la crisi del governo Berlusconi, dopo la lettera inviataci dalla BCE chiedendoci misure energiche di liberalizzazione e di tagli di spesa, arrivò quando ormai era pronta una bozza di decreto per chiudere il mercato finanziario italiano. Il ministro dell’Economia del tempo, Tremonti, ha detto di non saperne nulla. Nessuno ha aggiunto null’altro. Col risultato che continuiamo a ignorare una circostanza che un domani, dovessero ricomplicarsi le cose con l’Europa e i mercati, riesploderebbe come una mina. Il settimanale tedesco Spiegel di questa settimana critica duramente il governo Letta, “sembra anch’esso incapace di riforme vere”.
Sui mercati, nella settimana si è sentita però una tenue brezza positiva. L’indice PMI degli ordinativi europei è tornato nella rilevazione di luglio sopra quota 50 che segna il crinale tra contrazione e crescita. Nel secondo trimestre Il Pil spagnolo è sceso solo dello 0,1% e quello francese è tornato di un sussurro sopra quota zero. In questo quadro, non resta che augurarsi che i pessimisti sui destini italiani, e gli scettici come chi qui scrive, restino delusi. La possibilità c’è, se il governo resta discosto dalle polemiche, da quello che avverrà o meno dopo la decisione della Cassazione il 30 luglio, come dalle polemiche precongressuali Pd.
Letta e Saccomanni sanno bene che Europa e mercati non guarderanno tanto al modo in cui si troverà soluzione ai due nodi – IMU e IVA – sui quali il governo si è incagliato. Guarderanno se sul contenimento della spesa ci saranno non nuove commissioni e commissari esterni al governo, ma decisioni concrete assunte con la legge di stabilità. Se sulla dismissione degli asset pubblici si stabilirà da dove iniziare e per che ammontare procedere, con tempi cadenzati e credibili, come il ministro Saccomanni ha avuto il merito di dire e far sperare con le sue parole pronunciate al G20 di Mosca. Se sulle liberalizzazioni vi saranno altri passi decisi, che sembrano oggettivamente smentiti dalla volontà di istituire altri tre Ordini professionali, contenuta nel disegno di legge sanitario varato venerdì in Consiglio dei ministri.
Infine, Bce e Commissione europea ci chiedono da tempo misure per ridare efficienza al canale di trasmissione della politica monetaria, e questo significa misure straordinarie perché le banche possano liberare capitale per garantire più impieghi a famiglie e imprese, invece di continuare nella restrizione di credito, misure che tecnicamente si possono porre in essere senza aggravi di deficit, mobilitando veicoli come la Cassa Depositi. L’invito a creare prestatori non bancari, echeggiato dalla riunione a porte chiuse tenuta dal governo coi vertici bancari italiani la settimana scorsa, ha tempi di realizzazione troppo lunghi perché possa costituire risposta efficace all’asfissia di credito riservata agli italiani.
Spesa, privatizzazioni, liberalizzazioni e credito sono quattro capitoli essenziali,ma insieme non centrali nel tiremolla della maggioranza. Il governo ha davanti a sé sette settimane, prima del voto tedesco a settembre, per respingere l’impressione di essere prigioniero di un quadro politico che è problematico e asfittico di suo. Il bene dell’Italia e quello del governo coincidono, nel non farsi spingere a fondo da un Parlamento in cui ogni terzo degli eletti si ritiene depositario di verità irriducibili, e diverse parti di ogni singolo terzo hanno poi idee diverse di leadership, programmi e alleanze. Ma per sfruttare il moderato alito di ripresa dei mercati, bisogna che il governo le issi con forza, le sue vele.
.. quali sarebbero i 3 ordini scodellati “caldi caldi”?
Qualche volta sono sconfortato. Quando leggo di certe sentenze della Corte Costituzionale e quando penso a quanto certe forze politiche facciano di tutto per impedire le riforme, mi vien voglia di invocare Ivan IV. Purtroppo l’autocrate sanguinario non punì con la morte solo i boiardi, ma fu protagonista di un periodo di violenze gratuite contro il popolo ed impoverì la nazione.
L’assetto istituzionale italiano dovrebbe essere cambiato radicalmente per poter attuare delle serie politiche di riforme, ma le resistenze sono fortissime e rischiano di prevalere. Le posizioni anti Letta nel PD, apparentemente un puro esercizio di masochismo, trovano una spiegazione proprio nella volontà di non cambiare: “meglio far fallire il Paese insieme al SEL e al M5S che provare a cambiare solo qualcosina…”. Così i cosiddetti difensori dell’attuale Costituzione diventano i primi difensori del sistema corporativo che impedisce all’Italia di stare al passo con il mondo.
E’ vero che IVA e IMU non sono determinanti in termini di gettito fiscale, ma sono due tasse fortemente recessive, da evitare prioritariamente. Se ci sono intoppi su questi due punti, non a caso oggetto di disinformazione ideologica, come potremo restituire i 140 miliardi alle imprese? Come potremo affrontare i problemi più seri della macchina pubblica bulimica? Come potremo ridurre la tassazione sul lavoro?
mi spiace per gli irriducibili illusi, come giannino e francesco P, anche a me piacerebbe poter vedere una luce, una speranza di cambiamento, ma io proprio non ci riesco a credere in questa classe politica, e non ci riesco perchè quella che è compromessa ormai è tutta la cultura italiana, impregnata di una mentalità statalista che coltiva l’invidia sociale e che aborre la competitività ed il lucro a prescindere, e che ha fatto si che i politici che gli italiani hanno siano fedele espressione delle loro caratteristiche.
ognuno ha i politici che si merita, questa è la relazione causa-effetto, quindi inutile sperare in una classe politica che nemmeno volendo può essere migliore della gente che rappresenta. serve un cambio culturale prima, poi dopo un certo numero di anni dal cambio culturale si potrà sperare che davvero le cose migliorino: io non vedo alcun segnale di detto cambio culturale, quindi non credo affatto che chiunque tra i nostri politici, compresi ovviamente i componenti tutti di questo governo, possa fare qualcosa per cambiare il destino ineluttabile di decadenza di chi ha lasciato che una simile mentalità divenisse quella predominante.
Una doverosa osservazione. Lo Spiegel è ossessionato dalle riforme in casa altrui…1) La Germania in casa propria è tutto fuorché un campione di liberismo. 2) Le politiche rigoriste (l’idea demenziale della crescita attraverso austerità) tanto amate a Berlino stanno soffocando l’Europa (ad eccezione della Germania, ovviamente).
La recessione non si combatte con politiche recessive. USA, Giappone e BRIC lo hanno capito (ottenendo risultati tangibili) da tempo, in Europa (grazie ai falchi rigoristi tedeschi) si traccheggia.
Senza sostanziose politiche espansive a livello europeo non se ne esce; di sicuro interesse in tal senso il recente articolo di Boitani, Hamani “Una buona politica nazionale non basta più” in Lavoceinfo 25/06/13.
Infine una riflessione critica su alcuni “vessilli riformisti” da dispiegare come vele; in particolare privatizzazioni e liberalizzazioni. Mi domando (e domando ai lettori) quali mirabolanti benefici abbiano tratto dalla “liberalizzazione” della luce, del gas, delle assicurazioni, dell’acqua (dove operante) e del mercato del lavoro. Nel migliore dei casi si è semplicemente trasformato un ente pubblico in SPA; nel peggiore si è trasferito un monopolio (o una posizione di rendita) dal pubblico ai privati.
La deregulation si è invece abbattuta pesante (spesso una “clava” politica a danno di gruppi elettorali ritenuti lontani) su decine di migliaia di piccole imprese familiari come quelle rappresentate in Italia da piccoli esercenti, edicolanti, taxisti, autotrasportatori, pescatori, benzinai, titolari di farmacia. Risultato: distruzione e dispersione di reddito (impoverimento) senza miglioramento sul costo del prodotto/servizio prestato. Per quanto riguarda il mercato del lavoro esasperare flessibilità e deregolamentazione (CoCoCo di ogni tipo, contratti a progetto super-abusati, partite iva improbabili, ecc) si è rivelato un clamoroso fallimento a danno dei lavoratori. Su tutte queste questioni è assolutamente necessario -in primis da chi si definisce pro mercato- una riflessione/revisione delle proprie convinzioni.
caro OG,
ho notato che ha nominato il “decreto del fare” con le minuscole. Quella parola in questo contesto è e rimmarrà legata a lei e a chi, come me, ha creduto in Fare.
Spero di rivederla presto sulla scena politica. Penso ancora che l’Italia abbia bisogno di lei e delle sue idee.
In fondo le manca solo “una carta” e un briciolo di faccia tosta. “Siamo in Italia bellezza”.
Grazie
Dellanoce
Io sono ormai rassegnato. Le recenti pronunce “demolitorie” della Corte Costituzionale certificano, anche dal punto di vista tecnico – giuridico, l’incapacità del sistema di autoriformarsi. E francamente non mi sembra che il Governo Letta abbia vele da issare o la forza per farlo. Lo hanno ben capito i pensionati che sempre più numerosi si trasferiscono all’estero, nonché le imprese che ogni giorno migrano verso altri lidi, dove la tassazione e la burocrazia sono alleati e non nemici. Mutuando il grande Totò, a me sembra che l’Italia sia spacciata “a prescindere” dal “moderato alito di ripresa dei mercati” di cui parla il buon Giannino.
io credo caro Oscar che quella parte di Italia come lei come me come tanti altri che fanno parte delle Piccole e Medie Imprese nel settore privato conoscono benissimo quale siano le soluzioni per uscire da questo stato di crisi esageratamente prolungata e che si basa semplicemente sulla classificazione e riduzione della spesa pubblica. Pur sembrando cosa ovvia, in Italia nessuno arriverà mai ad occupare il posto più alto del ministero dell’economia se effettivamente ha intenzioni serie di taglio della spesa perchè sarebbe fermato molto prima di giungere al vertice del ministero. Ma il motivo è abbastanza semplice perchè in Italia oltre il 50% della popolazione non è colpita dalla crisi e nemmeno dall’ansia della stessa quindi i numeri tornano. I pensionati, i dipendenti pubblici e delle partecipate oltre i dipendenti delle grosse organizzazioni di cui banche e grandi aziende superano con le famiglie il 50% dei votanti, non sono stati direttamente coinvolti in questo processo di crisi e mai più tiferanno per chi vuole tagliare la spesa magri proprio a loro svantaggio. Il taglio della spesa avverrà come gesto estremo quando le casse saranno completamente asciutte e sopratutto quelli come noi irreversibilmente finiti.
a spartaco
esasperare flessibilitá? deregulation che fa chiudere le mini imprese?
ma dove vive? dove ha visto sta roba? lo sa che l’italia è pressocchè l’unico paese dove non si può licenziare se non per giusta causa (giurisprudenzialmente limitatissima a pochi gravi casi)? lo sa che in italia è impossibile fare impresa rispettando TUTTE le norme esistenti nei vari settori fiscale, lavoro, sanitario, ambientale, etc, e infatti chi lo fa rischia in proprio pesantemente ma si domanda sempre più chi glielo fa fare…..
lei, che scrive quelle cose su un blog supposto liberista, è l’incarnazione della diffusione della mentalità statalista e anti-impresa di cui scrivevo sopra, e dimostra come da questa situazione in italia non se ne esce senza una profonda revisione culturale, che purtroppo a mio parere sarà (forse) possibile solo dopo una grande sofferenza generale causata proprio dai principi nobilissimi che l’ispirano, solo allora forse la gente si chiederà se non era meglio quando le imprese erano realmente libere di fare
Ripropongo quanto scritto sulla “Pagina Ufficiale di Oscar Giannino su FB” in quanto non ho avuto alcuna risposta:
“Sperando che questa sia effettivamente la pagina ufficiale di Oscar Giannino e che “eventuali risposte” siano frutto diretto del suo pensiero, premesso che ero fedele ascoltatore di “Nove in punto, la versione di Oscar” di cui sento ancora la mancanza, premesso anche che guardavo positivamente a Fare e che, detto questo, si possa ben capire che sono ancora in fase digestiva delle “ca$$ate” sulle lauree e master, prendo spunto dalla seguente frase di Oscar:
“Se sulle liberalizzazioni vi saranno altri passi decisi, che sembrano oggettivamente smentiti dalla volontà di istituire altri tre Ordini professionali” per fare gentilmente notare a Oscar che l’accostamento antitetico “istituzione ordini” e “liberalizzazioni” può essere utilizzato per andare in cerca di facili consensi in tutti i casi tranne quando la materia riguarda la Sanità e quindi la Tutela della Salute del Cittadino.
Si aggiunga il fatto che l’istituzione degli Ordini delle Professioni Sanitarie (550.000 professionisti) è un atto dovuto, non un’invenzione delle ultime settimane, atteso da 7 anni, la Legge 43/2006 appunto, votata trasversalmente da tutte le forze politiche di allora con la sola astensione di Rifondazione Comunista. Facendo un esempio di una professione sanitaria che Oscar dovrebbe conoscere, per ogni fisioterapista laureato che esercita in Italia secondo le stime della relativa Associazione, ce ne sono due abusivi. Lo stesso si può dire di tutte le altre Professioni.
Mi aspetto cortesemente un approfondimento in materia di salute da parte di Oscar; nel caso, per avere dati precisi sulla piaga dell’abusivismo può contattare il Co.N.A.PS. (Coordinamento Nazionale delle Associazioni delle Professioni Sanitarie) nella figura del suo Presidente Antonio Bortone ( http://www.conaps.it/index.php?id=3 ). Dopodichè una sua riflessione a ragion veduta su questo tema a mezzo stampa è gradita.
Con stima, ancora,
Cristian Botti
Professionista sanitario