Trovare in una sobria organizzazione degli enti previdenziali parte delle risorse per pagare le pensioni del futuro—di Lorenzo Ieva
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Lorenzo Ieva.
L’Italia si avvia ad essere nel futuro un Paese popolato da anziani ed uomini e donne di mezza età. Moltissimi sono i giovani che cercano lavoro all’estero. Esistono ancora sacche di privilegi pensionistici da sopportare. Ma, come sarà possibile nel futuro erogare prestazioni pensionistiche decenti? Questo ancora nessuno lo sa’ ben dire.
Per ora, possiamo soltanto dire che va fatto, senza ulteriore indugio, quello che si deve fare per non avere un sistema pubblico pensionistico, che vada incontro ad una sorta di “fallimento” di gestione.
Un primo focus – è vero – è quello di provare ad incidere sulle situazioni di privilegio consolidate. Va bene quindi cessare o “tagliare” i cd. vitalizi, che non sono pensioni e per i quali non si applica il principio dei cd. diritti quesiti, come ha pure ricordato la Corte dei conti in alcune sue sentenze. Va bene anche “ricalcolare” le prestazioni pensionistiche, in modo tale che non consentano più di “restituire” al percettore una somma enormemente superiore ai contributi versati, perché ciò urta contro la logica assicurativo-sociale e contro i novellati artt. 81 e 97 Cost., che pongono, alle prestazioni dello Stato sociale, vincoli di tenuta complessiva del bilancio pubblico.
Ma, esiste anche un secondo focus, del quale nessuno parla e che invece val la pena di approfondire, che attiene alla organizzazione complessiva del sistema degli enti previdenziali, che sono chiamati ad erogare le prestazioni sociali
Una prima critica da muovere riguarda il numero abnorme degli enti preposti a dare una qualsiasi forma di prestazione sociale, possiamo annoverare enti pubblici non economici (cd. parastato), enti pubblici in forma privata (quasi un indovinello giuridico), casse professionali di categoria, etc.
Senza pretesa di esaustività, possiamo contare i seguenti istituti di assicurazione sociale: INPS, INAIL, ENPAIA, INPGI, Inarcassa, CIPAG, CNPADC, CNPR, Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, ENPAF, ENPAV, ENPACL, ENPAM, ENASARCO, FASC, ONAOSI; alcuni dei quali gestiscono forme integrative di previdenza, molti riguardano il mondo professionale privato, con situazioni patrimoniali-finanziarie precarie, che prima o poi reclameranno l’intervento pubblico di sostegno, taluni hanno assunto forma di gestione a società di capitale, ancorché le finanze siano da considerarsi a tutti gli effetti pubbliche e gli enti siano sotto controllo della Corte dei conti e vigilati dal Ministero competente. Non sarebbe il caso di accorpare alcuni di questi enti previdenziali, cominciando dalle troppo numerose casse professionali?
Una seconda critica riguarda l’organizzazione centrale e territoriale di questi enti, soprattutto i due più grandi INPS e INAIL, che possono contare, oltre alla direzione generale in Roma, articolata in numerosissime direzioni centrali, venti direzioni regionali, innumerevoli direzioni provinciali, sub-provinciali, agenzie locali e sportelli, quando poi esiste già il sostegno sussidiario dei patronati, enti privati, che per legge assicurano la diffusione capillare sul territorio dei servizi degli enti di previdenza, a rappresentare il punto di contatto remoto per gli utenti. Invero, la telematizzazione dei servizi e la presenza dei patronati giustificano la chiusura, con i correlati risparmi di spesa, di molti uffici territoriali inutili. Non sarebbe meglio sopprimere qualche direzione centrale inutile, sopprimere o ridurre di personale e funzioni le “pompose” direzioni regionali, come hanno fatto altre amministrazioni ed enti, e chiudere inutili articolazioni territoriali minute?
Una terza critica, che quasi nessuno apprezza, ma che pure le rilevazioni riportate su alcuni giornali, tra cui il Sole 24 Ore, hanno sempre messo in rilievo, riguarda le esose retribuzioni, che vengono erogate ai dirigenti di questi istituti di previdenza, cifre che, per i dirigenti generali e gli avvocati di detti enti, arrivano fino a quasi i duecentomila euro, quando un dirigente di pari rango di un Ministero, che si interfaccia con il Ministro e, quindi, con il Governo, spesso ne guadagna al massimo intorno ai centocinquantamila. Non sarebbe forse meglio perequare queste retribuzioni degli alti funzionari e professionisti, ora che il contratto collettivo nazionale di riferimento ha unificato il personale dei ministeri, degli enti parastatali e delle agenzie?
Riassumendo, il primo focus ci dice che le prestazioni pensionistiche e sociali devono essere realistiche, atteso che la moneta unica dell’euro non consente né di stampare moneta ed inflazionare, né di creare debito aggiuntivo (cd. politica dei due forni dei bei anni ’70-’80); mentre, il secondo focus ci racconta che l’organizzazione degli enti di previdenza va profondamente rivista, nel senso di cui ai punti interrogativi posti.
Per realizzare le due cose, poi, occorre, dopo una fase di gestione commissariale degli enti di previdenza, dare agli stessi una nuova governance, risultando l’attuale, impostata su due organi monocratici, il Presidente ed il Direttore generale, un numerosissimo Comitato di Indirizzo e Vigilanza, composto da esponenti dei sindacati e delle associazioni cd. padronali, ed un cd. Collegio dei sindaci (tecnico), in toto insoddisfacente.
Va invece ipotizzata una diversa ed innovativa governance basata sul ruolo preminente di un Consiglio di amministrazione, formato da un Presidente esperto ed autorevole e da quattro consiglieri, di cui un magistrato ordinario, amministrativo, contabile o avvocato dello Stato (per il presidio della legalità), un professore nella materia del diritto e/o dell’economia del lavoro e della previdenza sociale (per il presidio della conoscenza teorica della materia), due qualificati dirigenti dell’amministrazione pubblica, di cui almeno uno proveniente dal Ministero dell’economia e delle finanze (per il presidio degli aspetti gestionali e di conoscenza pratica della materia).
Un Consiglio di tal fatta riuscirebbe ad assicurare la necessaria ferma ed autorevole, agli occhi di tutti, guida dell’ente previdenziale, nelle attuali condizioni di incertezza finanziaria e socio-economica.