Maratona Pnrr. Transizione ecologica: money for nothing
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La transizione ecologica è uno dei pilastri fondamentali del programma Next Generation EU, che vi dedica almeno il 37 per cento delle risorse. Questo intervento è dedicato alla Missione 2 del Pnrr, intitolata “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, che complessivamente impegna poco meno di 70 miliardi di euro (29,8 per cento del totale del Piano), di cui 59,3 provenienti dal Dispositivo europeo per la ripresa e resilienza, 1,3 da React EU e 9,3 dal Fondo complementare. Altre risorse ancora sono dedicate ai temi ambientali nell’ambito della Missione 3 – Infrastrutture per una mobilità sostenibile, che prevede un massiccio investimento nei trasporti su ferro, come illustrato da Francesco Ramella su Leoni Blog.
La Missione 2 si articola a sua volta in quattro componenti: Agricoltura sostenibile ed economia circolare (6,97 miliardi), transizione energetica e mobilità sostenibile (25,36 miliardi), efficienza energetica e riqualificazione degli edifici (22,26 miliardi) e tutela del territorio e della risorsa idrica (15,37 miliardi).
Per quanto riguarda la prima componente, le due voci più importanti sono la realizzazione di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti e i “parchi agrisolari”, corrispondenti all’installazione di 0,43 GW di pannelli fotovoltaici su una superficie di 4,3 milioni di metri quadri “senza consumo di suolo” (cioè, presumibilmente, sui tetti delle stalle e di altre strutture esistenti). La seconda componente è la più generosa e promette massicci investimenti nelle fonti rinnovabili (con particolare riferimento all’ “agro-voltaico” e alle comunità energetiche), nel potenziamento delle reti elettriche, nell’idrogeno (senza mai specificare chiaramente attraverso quali processi), nelle flotte per il trasporto pubblico e nell’ambizioso obiettivo di “sviluppare una leadership internazionale industriale e di ricerca e sviluppo nelle principali filiere della transizione” (con due miliardi in cinque anni, sic). La terza componente, relativa all’efficienza energetica, impegna gran parte delle risorse nella proroga del superbonus 110%. Infine, l’ultima componente destina importanti risorse al dissesto idrogeologico e al rafforzamento delle infrastrutture idriche, specie nel Mezzogiorno.
Nel complesso, gran parte dei denari europei e nazionali sono destinati al rifinanziamento di misure esistenti. La parte ambientale del Pnrr si espone, in tal modo, a tre critiche. La prima: non è chiaro il criterio alla base della distribuzione delle risorse. Per fare solo alcuni esempi: il Pnrr dedica cifre consistenti alle comunità energetiche (2,20 miliardi), ai parchi agri-solari (1,50 miliardi) e all’agro-voltaico (1,10 miliardi). Si tratta di investimenti che fanno perno sull’installazione di pannelli fotovoltaici: quale effetto produrranno, in termini di riduzione delle emissioni di CO2? E perché non convogliare tali investimenti nei meccanismi ordinari di incentivazione delle fonti rinnovabili? La seconda obiezione: mentre molte tecnologie sono citate e generosamente finanziate (biometano, pannelli fotovoltaici, eolico offshore, idrogeno…) altre sono incomprensibilmente assenti (su tutte: i biocarburanti). Manca del tutto un assessment comparativo, che sarebbe particolarmente utile alla luce del fatto che molte fonti o vettori di energia, presenti o assenti, sono tra loro alternativi. Terzo: il Pnrr si discosta, talvolta in modo molto pronunciato, dalle dichiarazioni del Ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Per esempio, in molteplici occasioni egli ha sostenuto la centralità dell’idrogeno blu e della cattura e stoccaggio della CO2. Di tutto ciò non v’è menzione esplicita nel Piano: perché?
I temi della transizione energetica compaiono anche nella sezione dedicata alle riforme, che prende l’impegno a intervenire su vari ambiti, quali la liberalizzazione dei mercati retail dell’energia elettrica e del gas, la riforma dell’idroelettrico e la revisione delle procedure per l’approvazione del Piano di sviluppo di Terna, le abbondanti semplificazioni. Ma queste promesse spesso si proiettano al di là del termine della legislatura e, dunque, appaiono difficilmente credibili.
La Missione 2 assorbe decine di miliardi e ne descrive abbastanza minuziosamente la destinazione, ma manca la “narrazione” sottostante. Inoltre, le ambiguità e i silenzi del testo impediscono una valutazione compiuta e non è neppure chiaro se gli investimenti attivati dai contributi pubblici saranno realmente aggiuntivi o se, invece, finiranno per spiazzare iniziative che sarebbero state comunque messe in atto (o, addirittura, a marginalizzarne altre potenzialmente più efficaci). Il rischio è che tanti soldi producano pochi passi avanti sulla via della decarbonizzazione.