Transizione 4.0: non bastano i soldi, serve l’attenzione delle imprese
Secondo il Digital Economy and Society Index (Desi), l’Italia è il terzultimo Stato membro dell’Ue per diffusione delle tecnologie digitali. Uno degli indicatori nei quali il nostro paese ha una performance peggiore è quello relativo al loro uSecondo il Digital Economy and Society Index (Desi), l’Italia è il terzultimo Stato membro dell’Ue per diffusione delle tecnologie digitali. Uno degli indicatori nei quali il nostro paese ha una performance peggiore è quello relativo al loro utilizzo da parte delle imprese, sia nei loro processi produttivi, sia come strumento per commercializzare i loro prodotti. Nel primo caso l’Italia ottiene un punteggio pari a 20,5 su 100, nel secondo addirittura 10,8 su 100, contro una media europea di 25,3 e 16 punti, rispettivamente. Da cosa dipende, cosa comporta, e come può essere superato questo scollamento?
Le cause sono molteplici. Tra le tante, però, una appare particolarmente rilevante: la piccola dimensione media delle imprese, specialmente nel settore dei servizi. Imprese di modesta dimensione spesso non hanno gli strumenti finanziari, il capitale umano e talvolta neppure la predisposizione culturale per sostenere quel processo di trasformazione digitale di cui tutti discutono da tempo. Eppure, se non si mette in moto un serio cambiamento in quella direzione, il nostro paese continuerà a perdere competitività sui mercati internazionali. Infatti, il ricorso alle tecnologie digitali risponde a diverse esigenze: in primo luogo, consente di ottimizzare i processi produttivi, rendendoli più efficienti e sostenibili e migliorando la capacità dell’impresa di raggiungere i clienti e soddisfare la loro domanda; secondariamente, permette un’attività più sistematica di ammodernamento e adattamento ai continui cambiamenti dei mercati; terzo, rimuove almeno alcune tra le tante barriere alla crescita dimensionale; infine, aiuta le Pmi a raggiungere mercati che altrimenti non sarebbero accessibili.
Il problema è che, per recuperare il terreno perduto negli anni, è necessaria una trasformazione politica, economica e culturale che né può essere caricata unicamente sulle spalle degli imprenditori, né può essere colmata dalla sola politica. Per questo è importante disegnare strumenti a supporto della digitalizzazione delle imprese, che vadano incontro alle loro necessità, parlino la loro lingua e rendano chiaramente evidenti i benefici. Per esempio, l’Italia negli ultimi anni si è dotata di un credito di imposta per le attività di ricerca, sviluppo e innovazione che, anche attraverso progressivi miglioramenti nel suo disegno, sta diventando un tassello importante di un mosaico che, però, è ancora in gran parte da comporre.
Ma questo non basta: il sostegno alle attività di R&S&I riguarda una minoranza di imprese particolarmente dinamiche. L’obiettivo, invece, dovrebbe essere quello di raggiungere la gran massa delle Pmi, che spesso non sono (ancora) pronte a mettersi in gioco sotto questo fronte. È qui che entra in gioco il Piano nazionale di ripresa e resilienza: ovviamente si tratta di un documento composito sul quale è difficile esprimere un giudizio complessivo, ma che dedica ai temi della digitalizzazione uno dei suoi assi portanti. Non tutte le misure proposte convincono e meriterebbero pertanto una discussione più approfondita, per esempio per quanto riguarda la pubblica amministrazione. Tuttavia, la componente del piano dedicata alla digitalizzazione delle imprese contiene misure potenzialmente interessanti. Complessivamente, essa mette a disposizione poco meno di 24 miliardi di euro, di cui la grossa parte (13,4 miliardi) dedicate alla “Transizione 4.0” e altre (più di 8 miliardi) per il potenziamento delle reti fisiche e satellitari di telecomunicazioni. La domanda è se queste risorse saranno effettivamente concentrate sulle Pmi e, in tal caso, se riusciranno a innescare quel cambiamento nei cui confronti gran parte delle imprese italiane ha finora dimostrato una forte resistenza. Da questo punto di vista è fondamentale anche il contributo che possono offrire le piattaforme online dal punto di vista dell’offerta. Va da sé che le piattaforme online devono il proprio successo alla capacità di intercettare i bisogni delle aziende e aiutarle a risolvere i loro problemi. Le politiche per la digitalizzazione, allora, vanno calate nel mondo reale e, se da un lato devono colmare il gap (culturale e finanziario) che frena molte Pmi, dall’altro devono anche fare leva sulle iniziative esistenti.