Tra rivoluzione Marchionne e incognite del 2011. La Fiat ancora in salita
Il 2010 è stato certamente un anno segnato dalla “rivoluzione Marchionne”. L’amministratore delegato di Fiat è stato il protagonista di una rivoluzione non proprio silenziosa nel rapporto tra impresa e sindacati.
Pomigliano, Mirafiori e Melfi non sono solo 3 dei più importanti stabilimenti di Fiat in Italia, ma il simbolo di un cambiamento.
L’azienda torinese, dopo essere andata all’estero, con l’acquisto della moribonda Chrysler, ha deciso di “riformare” la produzione italiana; per fare ciò Fiat non è stata ferma alla finestra, ma ha deciso di agire e di andare anche allo scontro con una parte dei sindacati.
In gioco vi è il futuro della produzione italiana e pochi, anche tra gli analisti lo hanno compreso. Se davvero l’Italia vuole continuare ad essere un Paese dove si producono auto è necessario ripensare i contratti di lavoro.
Non è un caso, che in Germania, dove si produce quasi 10 volte il numero di veicoli prodotti in Italia, i contratti siano quasi tutti a livello aziendale, in modo che una casa automobilistica sia in grado di gestire al meglio la produzione in funzione della domanda.
Sergio Marchionne sta chiedendo ai sindacati proprio questo e l’eliminazione del contratto nazionale è la tappa necessaria per aumentare la produttività italiana.
In Italia gli oltre 20 mila dipendenti Fiat producono poco più di 600 mila automobili, lo stesso livello dello stabilimento di Tichy, dove però i lavoratori polacchi sono meno di un terzo rispetto al totale italiano.
E proprio dallo stabilimento di Tichy si può dire che sia nata la rivoluzione. L’amministratore delegato di Fiat ha deciso ad inizio del 2010 di fare una delocalizzazione al contrario: riportare la produzione della nuova “Panda” dalla Polonia alla Campania. Una scelta che comporta un investimento di circa 700 milioni di euro a condizione di eliminare un tasso di assenteismo troppo elevato e con picchi anomali.
Solamente la Fiom si è opposta a questo patto tra azienda e lavoratori, dove anche il salario tende ad aumentare, oltre a garantire un futuro ad uno stabilimento che senza tale investimento avrebbe fatto la fine di Termini Imerese.
Una Fiom che nel 2010 esce sconfitta dopo una lotta solitaria a Marchionne, arroccata su una posizione di “no” che non ha portato ad alcun risultato, se non all’isolamento.
Il 2010 è stato anche l’anno del rilancio della controllata Chrysler, acquisita grazie al “regalo” di Barack Obama fatto con i soldi dei contribuenti americani. Si stima che la perdita sarà di almeno 3 miliardi di dollari, anche dopo la reintroduzione in Borsa prevista nel 2011.
Fiat controlla il 20 per cento della casa di Detroit e potrà crescere fino al 35 per cento solo grazie al trasferimento di tecnologia. Fiat, tuttavia, si troverà a dover mettere risorse fresche per togliere il controllo di Chrysler ai sindacati UAW e salire fino al 51 per cento.
Un problema importante è dunque il reperimento di capitali per continuare a puntare sull’avventura americana.
I rumors più insistenti sono stati quelli di una vendita di Alfa Romeo a Volkswagen, il colosso tedesco che continua a macinare miliardi di utile e che si pone l’ambizioso obiettivo di diventare il leader mondiale nel settore automotive da qui a 6 anni.
Oltre ai rumors, come quelli di vendita di asset, vi è una notizia certa che aumenterà il valore di Fiat da un punto di vista finanziario: lo spin-off che avrà luogo ad inizio 2011. La separazione tra parte Industrial e parte Auto ha l’obiettivo di creare valore per gli azionisti.
Sono tutte notizie positive per Fiat nel 2011? No, infatti, il mercato non ha sorriso troppo all’azienda torinese.
I problemi arrivano dal proprio mercato di riferimento, l’Europa, dove nei primi 11 mesi dell’anno ha perso importanti quote di mercato scendendo dall’8,9 al 7,7 per cento. In America, Chrysler si è comportata un po’ meglio rispetto alla media di mercato con una crescita del 16 per cento a fronte di un aumento delle vendite dell’11 per cento. Tuttavia la casa americana partiva da un livello 2009 pressoché fallimentare.
Il futuro di Fiat non è dunque facile, ma è fuori discussione che Sergio Marchionne sta facendo i passi giusti per cercare di rendere competitiva l’azeinda torinese su un mercato sempre più competitivo e globale.
(postato anche su www.libertiamo.it)
niente da dire sul rapporto tra marchionne e contratti.
vedremo se cio servira ad aumentare le vendite o gli utili per gli
azionisti
Quando si citano i confronti tra la produzione in Polonia e in Italia si tiene conto della cassa di integrazione e del fatto che in Polonia si fanno 2 modelli in uno stabilimento e in Italia n modelli in z stabilimenti?
Gentili lettori,
vi ringrazio per i commenti.
Il contratto non servirá ad aumentare le vendite. Queste dipendendono invece dal successo dei nuovi modelli che sono previsti uscire nei prossimi anni.
Il confronto del numero dei lavoratori serve a dimostrare che sono possibili incrementi di produttivitá.
Come giustamente ricorda Pierfranco Parisi il numero dei modelli è molto differente tra lo stabilimento polacco e quelli italiani; tuttavia è bene ricordare che attualmente è importante il numero di piattaforme e non di modelli.
Sulla stessa piattaforma possono essere fatte automobili di differenti marche.
La produttivitá italiana puó essere aumentata, tanto che a Mirafiori è previsto che si arrivi a circa 280 mila automobili l’anno, oltre il doppio della produzione attuale.