TPL: è necessaria una riforma “all’inglese”
Le dichiarazioni del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, in occasione delle Considerazioni Finali 2009 tenutesi a Roma lo scorso venerdì 29 maggio, sono state molto forti in ambito dei servizi pubblici locali.
In questo settore, tanto importante per l’economia, quanto ancora “fuori mercato”, ricordava il Governatore, è necessario rivedere la riforma apportata lo scorso anno dal Parlamento Italiano.
Lo stesso appunto era stato fatto pochi giorni prima dall’Istituto Bruno Leoni in occasione della presentazione dell’Indice delle Liberalizzazioni 2009.
Le problematiche della riforma, che riguardano tutti i servizi pubblici locali, sono evidenti in diversi punti.
In particolare il decreto legge 112 del 2008 prevede l’assegnazione del servizio tramite gara, tuttavia con la possibilità di introdurre deroghe laddove il mercato non riesca ad essere ”utile ed efficace a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento”. In questo modo si lascia un’enorme discrezionalità ai diversi Enti Locali di scegliere la modalità in house, poiché non esiste alcuna precisazione circa le “peculiari caratteristiche”.
Le tempistiche delle gare, laddove previste, sono inoltre particolarmente lunghe; infatti il Decreto Legge prevede che le gare dovranno essere effettuate non oltre la fine del 2010, cioè oltre due anni dopo l’emanazione del decreto stesso.
Non ci sarebbero cambiamenti significativi rispetto alla tragica situazione attuale, anche laddove si procedesse ad un miglioramento della riforma a causa diquesta ulteriore motivazione; attualmente l’Ente Locale che fa la gara, possiede anche il principale operatore del servizio, l’incumbent. Questo è particolarmente vero nel trasporto pubblico locale, dove l’inefficienza italiana è stata evidenziata da diversi studi internazionali. Anche se una modifica della legislazione dovesse introdurre l’obbligatorietà delle gare per l’assegnazione del servizio, rimarrebbe il conflitto d’interesse tra Ente Locale regolatore e produttore di servizio.
Troppo spesso, per non dire sempre, le gare di assegnazione di concludono con la vittoria dell’incumbent, poiché l’Ente Locale, pone delle condizioni cosi restrittive che la gara diventa “su misura”.
Esiste una soluzione alternativa che possa totalmente cambiare il panorama nel trasporto pubblico locale e che possa portare ad una riduzione negli sprechi?
Si ricorda infatti che il costo di produzione del trasporto pubblico locale in Italia è più che doppio rispetto ai migliori casi europei, la Gran Bretagna (all’esterno della conurbazione Londinese) e la Svezia.
Nel Regno Unito, dopo la riforma di Margaret Thatcher (questa sì una riforma) del trasporto pubblico locale a metà anni ’80, si è deciso di liberalizzare interamente il settore, introducendo un vero mercato.
In tutta l’Inghilterra, ad eccezione di Londra, attualmente c’è una vera competizione tra gli operatori e il costo di produzione del servizio è il più basso in Europa.
Questa riforma ha distrutto il settore lasciandolo in balia del “mercato selvaggio”?
A questa domanda è facile rispondere, senza pregiudizi, ma con dei semplici dati. L’offerta di veicoli chilometri dei bus locali dal 1970 al 1986 (in ottobre avvenne la deregolamentazione) era diminuita del 22 per cento, evidenziando una crisi profonda. Dal 1986 al 2007 vi è stato un cambiamento radicale e l’offerta è aumentata del 35 per cento. Negli ultimi 10 anni il settore, non solo non ha perso posti di lavoro, bensì ne ha guadagnati circa 30 mila, principalmente grazie a questo aumento di offerta.
Vi sono delle zone particolarmente svantaggiate territorialmente? Il sistema inglese si prende carico di queste differenze ed ha introdotto un sistema simile agli oneri di pubblico servizio del trasporto aereo, andando a “coprire” circa il 22 per cento dei servizi non di mercato.
Una delle principali obiezioni al sistema inglese è legato all’elevato costo dei biglietti. Questo punto è certamente vero, ma è necessario guardare con la lente adatta per non distorcere l’analisi.
Non bisogna confondere il costo del biglietto con il costo di produzione del servizio. In Gran Bretagna i biglietti sono cari, poiché essi coprono circa l’85 per cento dei costi totali. In Italia, al contrario, i biglietti costano meno, per il semplice motivo che essi sono pagati dalla tassazione generale; infatti nel nostro Paese i ricavi dai biglietti coprono solo il 30 per cento dei costi.
Analizzando con la lente adatta dunque, si evidenzia in Italia un costo di produzione del servizio per veicolo chilometro più che doppio rispetto all’Inghilterra, esclusa Londra.
Questo significa che in Italia con un sistema efficiente come quello inglese e con dei trasferimenti dalla tassazione generale così elevati, il prezzo del biglietto potrebbe essere senza alcun problema pari a zero e anzi, ci potrebbe essere un ulteriore abbassamento nel livello dell’imposizione fiscale.
Una riforma dei servizi pubblici locali è dunque necessaria.
Nel trasporto pubblico locale, sarebbe meglio introdurre una logica di mercato che possa finalmente portare all’eliminazione degli sprechi che attualmente pesano non solamente sui pendolari, ma soprattutto sui contribuenti.