Tobin Tax: nel 1972 per aiutare il Terzo Mondo, oggi per “salvare” l’Europa?
Qualche mese fa, al discorso Bruno Leoni 2012, Tyler Cowen rispondeva ad una domanda dal pubblico: “La Tobin Tax può essere una tassa per certi aspetti migliore di altre, ma che dovrebbe essere applicata globalmente, altrimenti equivale a spostare le transazioni finanziarie in altri Paesi”. I politici europei non sembrano d’accordo con questa idea. Pare infatti che all’ultimo vertice di Roma sia emersa l’intenzione comune a Spagna, Italia, Germania e Francia di introdurla sui loro territori quand’anche non si riuscisse a convincere tutti i Paesi europei. Sembrerebbe dunque che non solo la politica vorrebbe indicare un’imposta come una medicina contro la sempre più grave recessione europea, idea che già di per sé suona paradossale, ma che vorrebbe introdurla nel peggior modo possibile, anche soltanto in pochi Paesi.
La Tobin Tax, nome con cui si indicano oggi le tasse sulle transazioni finanziarie (FTT), venne proposta nel 1972 dall’economista al quale deve il suo nome. In questi quarant’anni più che una tassa è diventata una leggenda. E’ stata indicata come strumento per risolvere o finanziare le più svariate problematiche: dalla povertà al cambiamento climatico, quand’anche per aiutare i paesi poveri nell’affrontare il cambiamento climatico. Inizialmente era stata pensata per limitare le fluttuazioni sui mercati dei cambi e il suo gettito, nella prima proposta di James Tobin, sarebbe stato da destinarsi al FMI e Banca Mondiale, istituzione quest’ultima che in quegli anni cercava (invano) di sradicare la povertà nei paesi sottosviluppati concedendo prestiti e finanziando grandi costruzioni.
E’ facile capire perché l’idea di fondo di una tassa sulle transazioni finanziarie riscuota così tanto successo nell’immaginario delle persone. Secondo i suoi fautori, una piccola imposta (un “granello di sabbia”, citando Tobin) nelle ruote della speculazione finanziaria potrebbe porre un freno ad un insana economia basata sulla speculazione, generare un gettito fantasmagorico che potrebbe essere destinato a nobili progetti (anche se i progetti in questi quarant’anni sono diventate sempre meno nobili: si è passati dal voler salvare il Terzo Mondo a voler salvare l’Europa – che sia un brutto segno?). Citando un sito americano che la promuove con l’emblematico nome di Robin Hood Tax (niente a che vedere con quella Robin Hood tax di tremontiana memoria sui petrolieri):
Simply put, the big idea behind the Robin Hood Tax is to generate hundreds of billions of dollars. That money could provide funding for jobs to kickstart the economy and get America back on its feet. It could help save the social safety net here and around the world.[…] This small tax of less than ½ of 1% on Wall Street transactions can generate hundreds of billions of dollars each year in the US alone. […] This is a tax on Wall Street, which created the greatest economic crisis in our nation, and globally, since the Great Depression. […]The banks can afford it.
Queste promesse della Tobin Tax sono però tutt’altro che realistiche. Due miti in particolare meritano di essere sfatati (per un’analisi più dettagliata su pro e contro rimando a questo paper del FMI [PDF], o a questa mia ricerca [PDF]). In primo luogo, una FTT non è una tassa che “prende dalle banche per dare alla società”. Come tante imposte o accise sui produttori, la FTT verrebbe traslata sui consumatori in una misura che dipenderà dal grado di concorrenza del settore e dalla rigidità della domanda. L’economista Tim Harford spiegava bene questo punto in un articolo del Financial Times di alcuni anni fa, in cui spiegava che anche una piccola tassa potesse avere importanti effetti sul costo finale dei servizi finanziari acquistati dai consumatori. Seguendo il ragionamento di Harford, immaginiamo di acquistare un’assicurazione RC auto che – nel caso in cui si verifichi un sinistro con lesioni permanenti – generi un risarcimento da un milione di euro. La compagnia di assicurazione vorrà coprirsi da quel rischio da un milione di euro, transazione perfettamente comprensibile, socialmente utile e non-speculativa. Ma pure una “piccola” tassa sulle transazioni finanziarie dello 0,05% genererebbe un prelievo di 500 euro su un’operazione pari a un milione di euro. È difficile pensare che quell’imposta di 500 euro non andrà a influire in alcun modo sul premio che io devo pagare alla compagnia di assicurazioni. Non bisogna quindi dimenticare che la FTT non è una tassa sulla banche, ma sulle transazioni finanziarie e che andrà a colpire non la sola categoria dei banchieri, bensì, in maniera imprevedibile, tutti i cittadini.
In secondo luogo, una FTT non è sufficiente a bloccare la speculazione, come aveva spiegato Leonardo Baggiani su questo sito qualche tempo fa:
“La Tobin Tax si dimostra […] un ottimo strumento di stabilizzazione di un prezzo (tasso di cambio, azione, o bond che sia) contro fenomeni speculativi di breve respiro, ma è impotente contro movimenti o intenzioni di portata maggiore che implichino o sottendano fenomeni strutturali drammatici”.Infatti, se la parte maggioritaria del mercato converge sull’obiettivo di far scendere il prezzo significativamente oltre i limiti della Tobin Tax, questo si realizzerà comunque. Pertanto la speculazione non verrebbe impedita: l’unico risultato sarà aver creato un andamento del prezzo del titolo sottoposto all’imposta “a gradini”.
La Tobin Tax rischia insomma di essere inutile se non controproducente per aiutare l’economia europea. Ciò non significa che nel settore finanziario non esistano i problemi che una FTT vorrebbe risolvere, bensì che gli strumenti da utilizzare siano altri – strumenti che però riscuotono molto meno successo tra i politici. Il miglior rimedio alla speculazione sul debito sovrano è tener meglio sotto controllo il bilancio dello Stato, come ha ricordato Pietro Ichino, e saper convincere i propri creditori che la propria economia è sana e sarà in grado di restituire i debiti contratti. Ed è vero che il settore bancario dovrebbe essere reso più responsabile, ma questo significa chiedere che gli istituti siano più capitalizzati e che non siano messi nella posizione di fare azzardo morale. Anche oggi la Tobin Tax si presenta invece non come una soluzione, ma come l’ultima carta che vogliono giocare dei politici in cerca di popolarità e di un capro espiatorio ad una crisi economica che non sanno o non vogliono affrontare.
La Tobin Tax è la classica foglia di fico.
Bell’articolo che spiega bene la follia che stanno predicando questi quattro leader europei… chissà quanto in basso ci porteranno con le loro scelte..
Ma signori, Robin Hood ed i suoi compagni fuorilegge non erano altro che evasori fiscali che si rifugiavano nella foresta perchè non potevano o non volevano pagare le tasse feudali dell’Inghilterra medievale. Una “Robin Hood Tax” è terminologicamente assurda, al limite si potrebbe chiamarla “Sheriff of Nottingham Tax”. Nell’Italia del XXI secolo Robin Hood assalterebbe l’Agenzia delle Entrate e brucerebbe le cartelle esattoriali.
Questa è davvero buona. 😉
La Tobin Tax è la solita favola di tutte le sinistre economiche che spaccia sempre una nuova tassa come qualcosa che trae soldi dal nulla anzi da un surplus che altrimenti verrebbe dilapidato in non si sa cosa.
Ogni tassa invece in qualche misura ma come dovrebbe essere ovvio a qualsiasi persona abbia una cultura elementare di economia, finisce sul consumatore finale.
Per fare un paradosso una volta lessi uno studio al contrario che sosteneva al contrario l’utilità di ridurre o annullare le tasse agli artigiani dei servizi. Questo avrebbe potuto aumentare il reddito al consumatore finale. Si tratta pur sempre di vasi comunicanti.
Peccato che anche qualche Bocconiano non abbia questa cultura elementare di economia ……………
Veramente il miglior modo di difendersi è essere in avanzo primario per poter sfanculare i creditori esteri.