12
Nov
2009

Think tank. Stato dell’Unione (europea)

Come per qualsiasi altra attività produttiva la produzione d’idee non è opera semplice. Uomini, mezzi, strutture e risorse non si creano dal nulla. Ancora più difficile diventa poi coordinare il tutto e mettere in campo delle idee non confinate o confinabili al mero dibattito accademico, ma capaci di “avere delle conseguenze”.

Se le istituzioni deputate alla produzione delle idee (spesso e soprattutto in Italia le università pubbliche) si rifugiano nel conservatorismo e nel nepotismo, a pagarne caro il prezzo sono i cittadini che ne hanno sovvenzionato le attività mediante la tassazione generale.

A tal proposito Chicago Blog ha già affrontato in alcuni interventi precedenti la rilevanza del fenomeno think tank e le pecche del sistema Italia.

 Diciamolo con serenità: sempre più spesso la cattiva qualità della nostra politica dipende anche dall’assenza delle idee o dalla mancanza di comunicazione tra il mondo accademico e quello dei decision makers. Come rimediare? Alcuni partiti hanno pensato di trasformare i vecchi “uffici studio” in think tank. I risultati? Sono stati pessimi. Il sottile equilibrio fra attendibilità accademica e capacità di diffusione delle idee prodotte non può reggere se delegato a strutture che fanno della fedeltà al leader e alla gerarchia il criterio unico di merito.

James McGann ha ben evidenziato queste difficoltà sottolineando le differenze fra l’Europa e gli Stati Uniti. Se i meriti, le strutture e le strategie del sistema dei think tank americani sono note, poco si è fin qui detto sulle  peculiarità del sistema europeo dei think tank.

Di fronte ad un incremento esponenziale del numero dei think tank europei, giunge dunque a proposito l’ultimo report del Think Tanks and Civil Society Program dell’Università della Pennsylvania: “European Think Tanks: regional and transatlantic trends”.

Come si comportano i think tank europei? Quasi per un effetto di path dependece i think tank europei sembrano assumere tutti i vizi del contesto accademico e sociale europeo. Risulta così che

  • c’è un’assenza di finanziamenti e donazioni da parte del settore privato, cui corrisponde anche l’errata percezione che possono essere solo le istituzioni pubbliche a condurre ricerche ed analisi a vantaggio della collettività;
  • la produzione dei think tank europei è molto accademica e poco attenta allo sviluppo di concreti obiettivi di policy;
  • rispetto ai think tank americani quelli europei hanno carenza di staff e di fondi (vedi punto 1) e quindi un impatto minore sul processo legislativo;

La storia dei think tank americani è una storia di successo. Dal punto di vista dell’impatto che sono riusciti ad avere sulle policies, della credibilità che queste istituzioni sono state capaci di ottenere e della capacità di produzione di classe dirigente.

Il fiorire di iniziative in questo settore in Europa, e soprattutto in Italia, non va invece nella direzione giusta. Troppi legami con le segreterie dei partiti, troppa voglia di imbrigliare le idee e le persone entro i ristretti confini delle necessità politiche dell’adesso. Solo strategie di lungo periodo, una continua interazione fra ricerca, accesso ai media ed ai decision makers, ed il rispetto della libertà di chi lavora in queste istituzioni potrà dar vita ad una esperienza di successo simile a quella americana.

A tal proposito il report offre alcuni interessanti suggerimenti:

  • Lo sviluppo di partnership pubblico/privato per lo sviluppo di think tank che si occupino di analisi pan-europee;
  • La necessità d’interazione fra i think tank nazionali per lo sviluppo di analisi regionali;
  • Progetti di finanziamento privato per lo sviluppo di analisi della legislazione comunitaria sui ventisette stati membri;
  • Sviluppo di strategie di comunicazione che possano raggiungere tutta l’opinione pubblica europea.

In buona sostanza, come rileva giustamente il report, i think tank europei dovranno dedicare particolare attenzione anche allo sviluppo di iniziative europee e non solo nazionali. L’Europa legifera e decide. Che piaccia o meno.

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2 Responses

  1. Pasquale Annicchino

    Grazie Paolo, anche per i link.
    Rispetto alla tua domanda bisogna aspettare una risposta del direttore generale. 🙂

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