Taglio del cuneo fiscale: utile, ma non risolutivo
Newsletter IBL, 12 maggio 2023
Il taglio del cuneo fiscale disposto dal decreto lavoro non è certamente “il più importante taglio delle tasse”, come ha rivendicato Giorgia Meloni, ma è una misura utile e ben calibrata. Il governo ha aggiunto 4 miliardi di euro ai 4,6 già stanziati con la legge di bilancio, alzando così l’esonero contributivo nella seconda metà dell’anno dal 2 al 7 per cento per i redditi fino a 25 mila euro e dal 2 al 6 per cento per quelli fino a 35 mila. La logica di base è inattaccabile: utilizzare le risorse disponibili per abbassare le tasse e dedicare questo taglio a chi ha subito maggiormente l’impatto dell’ondata inflattiva, cioè i lavoratori a medio-basso reddito.
Di fronte a questa decisione così lineare e – si direbbe – ben poco controversa, stupisce non poco l’atteggiamento dei sindacati e dell’opposizione. Intendiamoci: non saremo certo noi dell’Istituto Bruno Leoni a contestare la tesi per cui nessun taglio delle tasse è mai troppo grande. Ma nel giudicare l’allocazione delle risorse occorre tenere conto anche dei vincoli di bilancio. In assenza di un sostanziale sforzo di ridimensionamento della spesa – che purtroppo l’attuale esecutivo non ha finora avviato, come del resto non l’avevano fatto i precedenti – questo è quello che passa il convento. Anche la decisione di un taglio una tantum (e non strutturale) appare sensata: da un lato, essa si pone in un’ottica di contenimento dell’emergenza, dall’altro non alimenta aspettative insostenibili e costringe a tenere sempre in primo piano quella prudenza che è stata la cifra della politica di bilancio di Meloni e Giorgetti.
Detto questo, sarebbe ugualmente ingenuo pensare che la riduzione di qualche punto percentuale del cuneo fiscale, per di più temporanea, possa risolvere i problemi strutturali del paese. Il problema dei salari non nasce dagli andamenti congiunturali (che semmai lo acuiscono) ma affonda le radici nella stagnazione della produttività. Come ha scritto Lorenzo Borga in un articolo per Il Foglio, i vari tagli del cuneo adottati dal 2013 a oggi hanno fatto crescere le retribuzioni lorde di circa il 7 per cento, contro un incremento del livello complessivo dei prezzi del 16 per cento nel medesimo periodo. I palliativi possono essere utili – e certamente lo è quello di cui stiamo parlando – ma raramente sono risolutivi: se Meloni vuole davvero lasciare un segno, dovrebbe interrogarsi non su come tamponare provvisoriamente la perdita di potere d’acquisto dei salari, ma su come rivitalizzare il dinamismo dell’economia italiana. E qui la risposta non va cercata nei decimali di Pil, ma nel tentativo di concepire riforme ambiziose, dal fisco alla regolamentazione fino alla concorrenza.