Svolta nei rapporti PA-cittadini
La sentenza 1457, datata 6 marzo 2018, del Consiglio di Stato introduce il collegamento tra il ritardo della Pubblica amministrazione e l’attività economica danneggiata. E mette in evidenza le perdite economiche, in termini di tempo e mancati guadagni, che la burocrazia impone a chi ha un’attività imprenditoriale.
La Pubblica Amministrazione ha costi visibili e costi invisibili. Tra i primi, vanno considerati gli stipendi di dipendenti e dirigenti pubblici. Tra i secondi, occorre considerare le perdite economiche, in termini di tempo e mancati guadagni, che la burocrazia impone a chi ha un’attività imprenditoriale. In realtà, c’è anche una terza situazione, intermediaria, che combina le due precedenti. E’ il caso dei risarcimenti che la PA deve riconoscere alle imprese per i danni provocati.
Quest’ultimo è un principio ribadito nella sentenza 1457, datata 6 marzo 2018, del Consiglio di Stato. La sentenza, inoltre, introduce delle novità: il collegamento tra il ritardo (ingiusto!) e l’attività economica danneggiata. Nel caso su cui il Consiglio di Stato si è trovato a decidere, si trattava di un’attività turistica e balneare salentina, frenata dal Ministero per i beni e le attività culturali per ben due anni, su cui un imprenditore aveva investito migliaia di euro.
Le autorità avevano in un primo momento (tra il 2005 e il 2006) autorizzato, per quanto di competenza, all’avvio dell’iniziativa. Su queste basi il soggetto privato interessato ha dato inizio ai lavori per la realizzazione dello stabilimento. Successivamente, dopo circa 1 anno dall’avvio dei lavori, il Ministero ha progressivamente assunto atti limitativi della stessa attività. Prima ha bloccato i lavori ritenendo erroneamente una difformità degli stessi dal progetto (tale atto ha avuto peraltro un risvolto penale che poi si è rivelato privo di fondamento). Poi ha revocato l’autorizzazione concessa per presunte necessità di tipo archeologico e successivamente ha disposto autoritativamente l’occupazione temporanea dell’area al fine di svolgere l’attività archeologica. Particolarmente grave l’estensione dell’occupazione che ha riguardato l’intera proprietà del privato pari a circa 40.000 mq, nonostante l’attività archeologica riguardasse solo una superficie di 1.942 mq. Va aggiunto che, prima della sentenza del Consiglio di Stato, già il TAR locale aveva annullato, per ben due volte, l’intervento del Ministero. E’, infatti, in seguito al secondo riavvio dell’iniziativa che l’imprenditore si è appellato al Consiglio di Stato per chiedere un congruo risarcimento.
Anzitutto è importante sottolineare la sensibilità economica della sentenza che nei passaggi iniziali ha qualificato il comportamento complessivamente tenuto dalle amministrazioni resistenti come un vero e proprio “accanimento” nei confronti dell’iniziativa imprenditoriale, posto in essere “senza giustificazione alcuna, in modo del tutto sproporzionato rispetto al fine da perseguire”. Inoltre, secondo la sentenza del Consiglio di Stato, il principio costituzionale di correttezza e buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost., letto alla luce dell’evoluzione che ha avuto nel diritto vivente, comporta come corollario che l’attività amministrativa persegua l’obiettivo di determinare un contesto idoneo a consentire l’intrapresa di iniziative private, anche al fine di accrescere la competitività del Paese.
Come anticipato, è proprio al risarcimento che è legata la novità più importante. Per la prima volta, i giudici non sono ricorsi a consulenze esterne, ma si sono basati sui bilanci dell’impresa per quantificare gli utili perduti. Da ciò potrebbero, peraltro, derivare possibili sviluppi favorevoli a protezione del libero esercizio dell’attività d’impresa.
Questo tipo di risarcimenti applica la sentenza 500/1999 della Corte di Cassazione e le norme del processo amministrativo, per mitigare l’impatto dell’amministrazione sui cittadini e le attività economiche. La novità è, dunque, l’utilizzo del principio di accountability, cioè rendere conto delle proprie azioni. Per quantificare i danni, ci si è basati su strumenti economici e non, come in precedenza, a parametri che tenessero in conto un “interesse pubblico asseritamente prevalente”. Finalmente, per determinare i danni della burocrazia, ci si basa sul mancato funzionamento dell’impianto produttivo, sugli ostacoli all’attività imprenditoriale e sulla carenza di guadagni. All’impresa danneggiata spettano, perciò, due anni di utili, con riferimento al periodo in cui la struttura ha funzionato a regime.