Stephen Goldsmith sbarca nella Grande Mela
La notizia è che Stephen Goldsmith ricoprirà un ruolo di spicco nell’amministrazione della città di New York. L’autore di “Governare con la rete. Per un nuovo modello di pubblica amministrazione” (IBL Libri) è stato infatti nominato dal sindaco Michael Bloomberg come suo vice.
Goldsmith ha ricoperto il ruolo di sindaco di Indianapolis dal 1992 al 1999, mettendo in pratica ciò che poi ha sistematizzato in “Governare con la rete”. Durante i suoi due mandati, per fornire servizi pubblici ai cittadini ha creato delle vere e proprie “reti”, dove ogni soggetto ricopriva un ruolo ben definito. Responsabilizzazione dei cittadini, coinvolgimento delle comunità locali e una posizione di primo piano data ad organizzazioni non profit e for profit, questo è stato l’obiettivo (raggiunto) del sindaco Goldsmith. La sfida che ora dovrà affrontare è senza dubbio affascinante, NYC ha 10 volte la popolazione di Indianapolis: le stesse ricette possono funzionare anche nella Grande Mela? Stando a quanto si è appreso, Goldsmith dovrà sovrintendere al funzionamento della polizia e dei vigili del fuoco di New York, e a tanti altri settori fra i quali quelli dei trasporti e della sanità.
Dopo il termine della sua esperienza come sindaco di Indianapolis, Goldsmith ha ricoperto il ruolo consigliere di Bush, durante gli anni della sua amministrazione. Nello specifico, si è occupato delle iniziative della Casa Bianca legate al mondo del non profit e al coinvolgimento delle comunità locali (e soprattutto delle comunità religiose) presenti in larghissima quantità sul territorio statunitense. Non è un caso, infatti, che in “Governare con la rete” Goldsmith dedichi molto spazio ai servizi di assistenza sociale, ad esempio ai servizi di assistenza all’infanzia: tutela della famiglia, adozioni, affidamenti. Per ognuno di questi settori possono essere messe in piedi vere e proprio “reti”, che, grazie alle possibilità di coordinamento offerte dalle innovazioni tecnologiche, permettono una frequente e veloce interazione fra le parti coinvolte. Ma lo stesso schema è applicabile a numerosi ambiti: dalla gestione dei parchi alla costruzione di infrastrutture.
Come scrive Goldsmith, “un’entità statale che realizza la maggior parte della sua missione tramite reti di partner richiede un’impostazione e una serie di capacità diverse rispetto ai tradizionali modelli di governo”. Nel libro si trovano numerosi consigli su come impostare tali reti, e sulle capacità necessarie per renderle operative.
Il libro costituisce una sorta di manuale, che cerca di dare risposta alle tante domande legate ai nuovi modi di erogare servizi pubblici. Goldsmith (ed Eggers, co-autore del libro) non mancano di farcire il volume con numerosi esempi concreti. Ciò che negli Stati Uniti è divenuto realtà da parecchi anni, da noi si deve ancora imporre, scontrandosi con problemi di natura culturale.
Se negli ultimi tempi, in Italia, il dibattito è stato inflazionato da termini come “esternalizzazioni”, “privatizzazioni”, “liberalizzazioni”, non si può dire che nella realtà delle cose il panorama abbia subito particolari svolte. Un esempio è rappresentato dal tema della “privatizzazione” dell’acqua, affrontato in diverse occasioni su questo blog. Se da una parte è stato messo in atto un provvedimento volto a coinvolgere maggiormente i privati nella gestione dei servizi idrici, dall’altra non si è atteso molto per gridare allo scandalo, ricorrendo subito al referendum per abrogare una legge dello Stato.
Le forme tradizionali di erogazione dei servizi sembrano segnare il passo, sia per motivi di efficienza che economici. Il settore pubblico andrebbe ripensato. Se esiste la volontà politica di fornire determinati servizi, il problema si sposta allora su “come” questi vadano erogati. Goldsmith dimostra come il settore pubblico possa reinventarsi, perdendo il suo carattere “operativo” per concentrarsi sul ruolo di impulso e controllo. Non più dunque una gestione del servizio attraverso una struttura “pesante” e burocratica, ma attraverso una pluralità di soggetti, tenuti insieme da regole chiare stabilite preliminarmente (sulle finalità da raggiungere, sulle modalità della collaborazione, ecc.).
Teniamo dunque d’occhio quello che succederà a NYC, perché potrebbero realizzarsi esperienze da cui trarre ispirazione. Nel frattempo, per gli amministratori che vogliano mettere in pratica la “dottrina Goldsmith, esiste già un manuale a cui appoggiarsi, si chiama “Governare con la rete”.
Il libro di Goldsmith l’ho sulla scrivania, a destra del monitor e sotto una cassa audio.
Ho atteso il corriere con impazienza e ho scartato immediatamente il pacco, non potevo non dare un’occhiata al taglio del libro per ottenerne un’impressione immediata.
L’esperienza della lettura è stata sofferta per più di una ragione:
Il libro è una raccolta di esperienze valutazioni e informazioni tese a divulgare la possibilità e la convenienza di procedere speditamente nello sviluppo dell’ “e-govenance”.
Direi che è molto utile per gli agnostici o per i molti che proprio sono a digiuno di amministrazione e di logica informatica, insomma lo consiglio caldamente, almeno capiranno quanto possa essere dannatamente complicato l’argomento.
Non lo consiglio ai politici che avranno responsabilità di spesa e che pensino di giustificare le proprie lacune nascondendosi dietro le best practices suggerite dal libro.
Quanto all’informatica applicata all’ “e-gov” siamo purtroppo agli albori e la cosa che mi preoccupa di più è che si tratta di arma da taglio senza manico, cioè chi l’usa può farsi male e fare male agli altri.
Si tratta di uno strumento che può essere usato con la stessa efficienza sia come strumento per gestire uno stato improntato al socialismo (secondo l’accezione della scuola austriaca) o un mezzo di aggregazione libera, fondata sui principi generali del diritto, d’individui che aderiscono singolarmente ai benefici offerti da un contratto di servizio più ispirato al titolo di un altro libro dell’IBL “La città volontaria”.
Si, per me esiste un’informatica gestita per opprimere ed una pensata per liberare.
Non intendo dire che un apparato di “e-gov” nasca pensato con una finalità maligna o benigna, intendo invece dire che il naturale risultato di un impianto rispetto ad un altro sarà diverso a prescindere dai buoni propositi di chi, avendo pochi lumi, si mette sperimentare un’operazione d’implementazione talmente delicata a spese dei contribuenti.
Una piccola osservazione dell’ambiente amministrativo italiano ci suggerisce che un’architettura informatica sviluppata intorno alla rete ci costerà uno sproposito perché in Italia non è concesso disegnare un sistema partendo da un foglio bianco. E’ necessario mantenere i posti di lavoro anche delle persone il cui profilo professionale risulta essere obsoleto o in soprannumero. I corsi di formazione possono alleviare il problema di addestramento per operazioni basiche, ma. in un sistema ben studiato le operazioni basiche sono molto poche e le risorse impiegate per i corsi sono un ulteriore costo che non aumenta la produttività.
Negli Stati Uniti l’ambiente e la mobilità in entrata ed uscita dallo stipendificio statale consentono di tradurre i risparmi pianificati in risultato per i cittadini. In Italia no, i costi si sommano, ed il dividendo di efficienza riscosso dalla gente è sempre complessivamente negativo.
Per governare in rete è necessario prima acquisire una sensibilità interdisciplinare unica e specifica. Una rete italiana, sia pur avvalendosi di mezzi e metodiche oramai maturi ed internazionalmente accettati come standard, sarà diversa da quella degli altri non solo perché le norme da ossequiare sono distinte, ma anche perché unico è il processo di formazione e diversi gli scopi.
La pianificazione al margine le aggiunte e le modifiche in corso d’opera sono cose da evitare quando si concepisce una soluzione che sia solvente con le finalità.
La pessima pratica del contracting indiscriminato e scapestrato è un’ulteriore fonte non solo di sprechi ma di castrazione del dividendo di utilità e fruibilità del cliente pagante 2 volte, il contribuente.
E’ chiaro che il ferro va comprato sul mercato (computer, switch, router, connettività di diverso tipo), quelli che sono da evitare sono i servizi e forniture globali, chiavi in mano, omnicomprensivi.
Per un’amministrazione che non ha cultura informatica, risulta più semplice non occuparsi di gestire l’implementazione giorno per giorno del passo dopo passo. Indire un bando è un’operazione così complessa che si pensa di risparmiare accorpando l’acquisto di beni e servizi con pochi contractor ai quali è chiesto nei capitolati anche quello che loro stessi devono, magari a diversi stadi, subappaltare con un infinito carosello di oneri aggiuntivi.
La parte più amena nella sua tragicità è costituita poi dal tentativo d’irregimentare, di educare, di flettere insomma l’informatica al diritto amministrativo, questo tentativo puerile ci costerà diverse riscritture del software, ogni volta spacciate per innovazione e sviluppo. Il peggio che si possa implementare è la trasposizione di un pesante sistema amministrativo di derivazione napoleonica in chiave informatica, in sostanza una contraddizione di termini.
Il diritto deve adeguarsi, e gli strumenti non mancano, alla gestione in rete delle transazioni operative più efficientemente gestibili attraverso l’interazione diretta degli individui con le amministrazioni e non viceversa. Per fare ciò servono giuristi che conoscano le RFC, i protocolli ed i rischi della tecnologia dell’informazione ed informatici che diano del tu ai codici. Oggi non ne vedo molti in giro.
Pazienza, prima avevamo un sistema insopportabile ed oppressivo poi avremo la stessa cosa moltiplicata dieci volte data l’efficienza, e l’inesorabile freddezza delle creature multi-core.
Chiudo dicendo che oggi è impensabile prescindere dai vantaggi della nuova comunicazione, ma il vantaggio marginale acquisito dal cittadino, almeno in Italia e con buona pace di Goldsmith e Eggers, sarà pagato a caro prezzo.
PS: per i politici leggete pure il libro ma non copiate quello che non conoscete.
mario fuoricasa