Stato studi di settore: la barbarie fascista del finto regime premiale
Poi dice che uno è monomaniaco, e che non sta bene e non fa fino gridare contro lo Statoladro. Però dovunque ti giri, non fai altro che ritrovare nuove occasioni per rialimentare la tua convinzione. Non c’è solo una politica che – destra e sinistra uguale – ha preferito al via di accrescere instancabilmente le entrate ai tagli di spesa, visto che dal 2000 ad oggi, quando entrate e uscite sui equivalevano a 536 miliardi, la spesa a fine 2012 era salita di 274 miliardi aggiuntivi e le entrate di 228. A questa insussistente austerity pubblica, con asimmetrica austerity per il solo contribuente, si affianca un’incessante azione della pubblica amministrazione che, forte delle sue prerogative paranormative – in realtà normative a tutti gli effetti – rilancia e aggrava l’inferno ordinamentale tributario nel quale sprofondiamo giorno dopo giorno.
L’ennesimo esempio. Tra le quasi 300 tipologie di studi di settore vigenti per autonomi e professionisti nel nostro Paese, nel 2012 anno duro di crisi si fece avanti l’idea di istituire una forma di regime premiale, con controlli meno invasivi e tempi più spediti. L’intento era chiaro: tu contribuente cerchi di stare il più possibile nei parametri elaborati dall’Agenzia delle Entrate, e in cambio devi temerne meno l’invasività. Tra 2012 e 2013, si è arrivati a 91 studi di settore a tal fine elaborati dagli uomini di Attilio Befera – oggi stesso confermato in Consiglio dei ministri, dal governo Letta.
La voglio far breve e non annoiarvi troppo con particolari tecnici. Diciamo che già mi sembrava assai discutibile la griglia di condizioni elaborata dalla burocrazia fiscale per aver accesso al regime premiale. Bisogna naturalmente indicare ricavi e compensi almeno pari a quelli indicati dal sistema “Gerico” (se vi chiedete come mai dare al sistema informatico che presiede agli studi di settore questo nome di città, l’acronimo in realtà intende che le sue mura caddero al suono delle trombe del popolo ebraico alla ricerca della Terra promessa dopo l’esodo: ergo per l’Agenzia voi siete il fortilizio degli empi da espugnare, e loro il popolo eletto chiamato a redimervi…). Cioè bisogna essere pienamente “congruenti”: con tutti gli indicatori previsti dall’Agenzia, oltre che naturalmente pienamente ottemperanti all’obbligo di fedele dichiarazione in ogni suo particolare.
Capite benissimo, anche se non siete commercialisti, che lo Stato propone una mano meno pesante solo a chi ottempera “spintaneamente “ a ciò che lo Stato crede di sapere meglio di te, di quale sia stata la tua cifra d’affari, il tuo utile, i tuoi costi, il tuo imponibile e la tua imposta, in anno per di più di crisi grave. Cosa che basta da sola, a far venire i nervi. Ma andiamo oltre.
In cambio di questa adesione letterale al diktat unilaterale di Stato, la promessa era che ti si risparmiava l’ipotesi dell’accertamento analitico-presuntivo. In che cosa consista questa definizione, è presto detto. Nel nostro bizantino ordinamento, elaborato non solo per legge ma da regolamenti e circolari – circolari!!! – a centinaia di pagine l’anno delle stesse Agenzie in cui si articola l’amministrazione tributaria, ricadono nella definizione di accertamenti analitico-presuntivi quelli in cui l’Amministrazione ha facoltà di muoversi per via induttiva. Tradotto: gli accertamenti in cui il braccio fiscale dello Stato si è dato da solo facoltà di fottersene, delle vostre scritture contabili, documentazioni, fatture, scontrini e quant’altro abbiate accumulato e riversato al vostro commercialista. Vi è un tipo di accertamento presuntivo cosiddetto “rafforzato”, quando l’Agenzia ritiene di subodorare elementi che non avete dichiarato, ma non prescinde integralmente da quanto avete dichiarato. E vi è poi l’accertamento presuntivo “puro”: il trionfo dell’Inquisizione Spagnola Domenicana dei tempi del Malleus Maleficarum. Nel “puro”, lo Stato ha deciso che può “totalmente” prescindere da quanto avete dichiarato, da quel che sostenete, da quel che ritenete impossibile venga accantonato con un supremo gesto di disprezzo, indicandovi la corda che vi aspetta per riconoscere le vostre colpe, che l’Inquisitore conosce naturalmente mooolto meglio di voi.
Vi assicuro che è proprio così, e per chi volesse approfondire la fonte è il Dpr 600/73, sui redditi determinabili in base alle scritture contabili.
Ebbene, torniamo al punto, gli studi di settore premiali per venire incontro ad autonomi e professionisti nella crisi, quando il lavoro latita e nessuno ti paga se non a mesi e mesi di distanza quando va bene, a corto di liquidità come tutti siamo. Ebbene lo Stato si è guardato bene dall’evitare che almeno gli studi premiali evitino la barbarie degli accertamenti presuntivi. Come confermato dal provvedimento-circolare del direttore dell’Agenzia delle Entrate dello scorso 5 luglio che fissa le norme in materia di studi premiali, anche questi ricadono pienamente nella possibilità che scatti l’accertamento presuntivo, sia il rafforzato, sia il puro. Perché questo avvenga sono previste ipotesi alle quali uno può riconoscere fondatezza, perché oggettivamente gravi, come ad esempio che si sia omesso di presentare in dichiarazione dei redditi il modello dello studio di settore. Ma a questo si aggiunge però anche l’ipotesi che il presuntivo possa scattare anche nel banale caso in cui non si riporti in modo fedele qualunque tipo di dato all’interno dello studio di settore. Senza alcuna distinzione tra banale errore materiale non rilevante, colpa, colpa grave o dolo.
Sintesi: grandi chiacchiere sul fatto che nella crisi il fisco diventata comprensivo, da una parte accettava di rivedere gli studi di settore rendendoli meno siderali repliche di redditi a tavolino secondo criteri incrementali sugli anni precedenti, dall’altra la generosa apertura di un canale premiale, se accetti come un povero dimidiato nei diritti che lo Stato elabori le cifre tue meglio di te. Conclusione: anche se accetti questo, cioè paghi più del giusto, in ogni caso lo Stato si è riservato il pieno diritto di perseguirti infischiandosene della tua resa preventiva, basta ci sia un solo numero che non gli torna comunque e lui può in ogni caso decidere di contestarti cose che nelle tue carte e documenti non ci sono.
Poi dite che esagero a gridare Stato ladro? Per carità, esagero, ma per difetto. Un ordinamento così autoritario e barbaro non si è mai visto, né sotto l’assolutismo, né sotto il fascismo.
Completamente d’accordo su tutta la linea. Giannino, Le rinnovo la mia stima.
Lei è uno dei pochi (ed il migliore) di una ristretta schiera di persone di buon senso.
Ma è giusto citare anche altri: Bortolussi, De Nicola, Dario di Vico, Cisnetto… e tutti gli altri che ancora non si sono bevuto il cervello. Mi auguro che in futuro Lei possa avere qualche incarico da Ministro. Che glielo affidi la Tatcher o Tony Blair è del tutto ininfluente. Anche perché la Tatcher di questo Paese si è dimostrata la controfigura di Pulcinella.
Non c’è tanto da dire, la cosa più disgustosa della nostra burocrazia è l’auto alimentarsi creando nuovi burocrati. Sono le varie persone dell’amministrazione dello stato e delle stesse aziende. Basta vedere che, per tenere la contabilità di una PMI italiana, servono almeno due persone più il commercialista. E stiamo parlando di un’azienda di meno di 40 persone! Senza considerare il numero di addetti dell’agenzia delle entrate. Sublime.