13
Giu
2010

Spiare la preda, di Gerardo Coco

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Gerardo Coco:

Si sono salvate banche, si sono salvati settori industriali. Ora si dovranno salvare gli Stati. Come si salveranno le economie? Si crede ancora che i governi possano riuscirci? Pensare questo significherebbe ammettere che i virus possano migliorare la salute umana.

Che i governi fossero dei parassiti lo si è sempre saputo. L’economia privata è la condizione della loro esistenza e il loro compito è inaridire questa forma permanente di ricchezza.

Adam Smith così si esprime sul governo:

“I paesi non sono mai impoveriti dalla cattiva gestione dei privati, mentre lo sono da quella dei governi. La totalità o quasi del reddito pubblico è impiegata nella maggior parte per mantenere il lavoro improduttivo. Quando questo aumenta in modo eccessivo, può consumare una quota così grande del prodotto nazionale da non lasciarne abbastanza per il mantenimento del lavoro produttivo che dovrebbe riprodurla…. consumare una parte così rilevante del reddito totale costringendo un numero così grande di persone ad intaccare i loro capitali è una violenta e forzata usurpazione”. (A. Smith, La ricchezza delle nazioni).

Tuttavia, scrive Smith, se

“le grandi spese del governo hanno senza dubbio ritardato il naturale cammino dei paesi verso la ricchezza e il progresso, esse non hanno però potuto arrestarlo.” (ibid.)

Ma ai tempi del grande economista e filosofo scozzese il debito (tutto lavoro improduttivo) del mondo civilizzato non viaggiava verso il 100% del reddito prodotto con la conseguenza di arrestarne il progresso. I titoli del debito pubblici che misurano l’entità di questo immane spreco hanno trasformato gli Stati stessi in subprime, ormai maturi per l’esplosione.

Nel Global Financial Stability Report dello scorso aprile, l’IMF scriveva chiaramente che “il rischio governo” è la minaccia per l’economia globale. I governi, osservava l’IMF, (carrozzone peraltro fallimentare ma bravo a scrivere rapporti) non solo si sono caricati di debiti inesigibili di istituzioni private, contratti con la complicità degli stessi governi, ma essendo questi ultimi malati di elefantiasi hanno la necessità di continuare ad indebitarsi per i prossimi anni. La situazione, concludeva candidamente l’ IMF, “potrebbe andare fuori controllo”…

Ma è già da decenni che è fuori controllo! Ora siamo alla resa dei conti.

I tagli di spesa, le misure, le manovre, le riforme annunciate e sbandierate per mantenere il controllo dei debiti, per lo sviluppo, sono solo specchietti per cacciare le allodole cioè per ingannare gli ingenui con lusinghe e prospettive di ripresa a patto che tutti si sacrifichino. Ma tutti già si stanno sacrificando, sono già stati sacrificati, hanno perso il lavoro, chi lo ha perso non lo ritroverà perché in condizioni di crisi e incertezza nessuno investe e interi settori industriali sono all’agonia.  Se fosse il governo ad “investire” aumenterebbe ancora di più il debito il che equivarrebbe a sparare sul paziente. Per ridurre l’esposizione in termini reali, i prodotti nazionali dovrebbero crescere molto più velocemente dei debiti per pagare quote capitale, interessi, e ammortizzare tutta la spazzatura che i governi hanno in pancia. Ma rebus sic stantibus, questo è impossibile.

Poiché la necessità di fondi illimitati costituisce la chiave di volta della politica economica degli stati assoluti occidentali, per risanare i debiti si applicherà il metodo di sempre: tassare.

Per cui, dopo aver devastato le economie, la loro mano avida si ficcherà in ogni angolo e fenditura della società ghermendo le spoglie dei cittadini. I governi stanno preparando nuove invenzioni e pretesti di tassazione e sorveglieranno la formazione del capitale e dei redditi come la loro preda. Infatti, i governi, da parassiti si sono trasformati in predatori che uccidono la preda allo scopo di cibarsene. D’ora in poi, il loro motto sarà “sorvegliare e punire” come dal titolo di un famoso saggio di Michel Focault sulla prigionia. I governi si sono appropriati dell’economia e i cittadini sono dei condannati, condannati a stipendiare un’amministrazione di burocrati e funzionari rapaci che non hanno eletto e che non vogliono, come accadeva una volta nei governi asiatici che li sottomettevano ad una confisca sistematica. Possedere ricchezze o essere sospettato di possederle comporterà il rischio non soltanto di vedersele portate via ma anche di subire maltrattamenti, vessazioni, galera.

L’obiettivo dei governi è stanare gli evasori. Ma, onestamente come si fa a condannarli se la morale è questa:

i contribuenti che subiscono danni devono pagare tasse inique agli stessi autori dei danni perché possano continuare indisturbati a farne altri. È davvero una morale depravata quella di voler far pagare le tasse non per erogare servizi utili ma per riparare ai guasti di una dissipazione e corruzione senza fine e freni.

Ma, si ripete, se le tasse le pagassero tutti, tutti pagherebbero meno tasse. Illusorio! Perché questo extra, prima o poi servirebbe a finanziare altra spesa pubblica e altra dissipazione. E’ una legge: Il costo della amministrazione statale cresce inesorabilmente sia nei governi di destra che di sinistra, indipendentemente da situazioni di sviluppo o recessione. Il costo ha una traiettoria incrementale. Si può eliminare un partito, un’intera classe politica ma mai di intere nomenclature amministrative predatorie. Alla fine i cittadini arriveranno ad accontentarsi del necessario per la sussistenza poiché avere di più significherebbe attrarre il predatore. Non è peregrina ormai l’ipotesi che gli Stati diventino i datori di lavoro di ultima istanza guidati da governi totalitari. Non si chieda pertanto protezione da parte del governo, ma la si chieda, con impegno civico, contro il governo.

Al diavolo quindi le nauseanti chiacchiere sulle riforme strutturali, sui chimerici pacchetti di rilancio, sugli incentivi, sulla stabilità (leggi: ristagno), sulle ridicole architetture e ingegnerie finanziare proposte con un’ insopportabile idioma da economisti da cattedra che, cercando di coprire la vergogna di un fallimento reale, mascherano con astuzie truffaldine (del tipo: tassare le cose e non le persone…) nuovi artigli per afferrare le “prede”.

C’è un’unica vera riforma da attuare: tagliare drasticamente le tasse sui capitali e sui redditi senza se e senza ma. Sono i capitali ad anticipare salari e stipendi, investimenti, a creare la domanda di lavoro e aumentarne la produttività. Tassare i capitali significa tassare i risparmi, scoraggiarne la formazione e diminuire la domanda di lavoro e l’occupazione. Sono capitale e profitti a consentire l’innovazione, a creare nuovi prodotti elevando gli standard di vita.

Tassare capitale e profitti significa non solo diminuire la domanda di lavoro ma equivale a tassare direttamente e indirettamente i lavoratori dipendenti ed indipendenti produttivi, cioè coloro che non solo reintegrano il valore del proprio consumo, ossia il capitale che li impiega, ma avanzano un surplus per mantenere l’amministrazione predatoria improduttiva che, non riproducendo un valore uguale al proprio consumo, deve essere mantenuta dalla produzione annua dei lavoratori produttivi.

Tagliare le tasse su capitali e profitti significa, invece, permettere alla piccola impresa di diventare media, e alla media di diventare grande, liberando le energie creative della società. Questo è lo sviluppo economico. Minimizzare il carico fiscale ai capitali ne arresterebbe la fuga e ne attirerebbe di nuovi rendendo i paesi più ricchi, aumentando, in ultima analisi, il “fondo” a disposizione per tutte le imposte e quindi il gettito complessivo. Non esisterebbe la caccia all’evasione e i capitali si accumulerebbero spontaneamente se i paesi non ne facessero oggetto di confisca ma ne riconoscessero il ruolo di motore di sviluppo. È il processo di accumulazione di capitale la chiave della prosperità e che ha permesso duecento anni fa la rivoluzione industriale. È il processo di accumulazione che ha permesso nel dopoguerra la rinascita delle economie e la cosiddetta rivoluzione del marketing, il pluralismo dei consumi, gli stili di vita, lo sviluppo della tecnologia, le infinite gamme di prodotti e tutto il benessere materiale e psicologico che ne è derivato. O si pensa forse che tutto questo lo abbiano creato i governi con spese pubbliche, deficit e indebitamenti?

È il processo di accumulazione che ha permesso ad una moltitudine di diseredati come i cinesi di trasformarsi in potenza economica, nel giro di una sola generazione. E questo, paradossalmente, è anche merito dei paesi occidentali che gli hanno fornito il capitale necessario allo sviluppo che nelle loro patrie di origine viene invece penalizzato.
Obiezione: bisogna colpire le rendite speculative, cioè tutti i proventi patrimoniali e dagli investimenti borsistici perché parassitari. Ma parassitari nei confronti di chi o cosa? Le rendite costituiscono risparmio e capitale e se si considera l’economia, schematicamente, come composta da due fondi, il “fondo capitale” ed il “fondo consumo”, il primo, al fine di alimentare il secondo, deve essere continuamente ricostituito dal risparmio altrimenti si imbocca la strada del sottosviluppo. Le famigerate rendite fanno parte del risparmio complessivo di un paese, che va automaticamente ad alimentare il suo fondo capitale, cioè direttamente o indirettamente attraverso la borsa, l’universo delle imprese che sono le istituzioni che creano e mantengono l’occupazione. Una tassazione punitiva non le ridistribuirebbe a favore della produzione ma a beneficio del predatore. È la rendita perpetua degli governi, garantita dagli iniqui regimi impositivi, ad essere parassitaria perché consuma il fondo capitale altrui senza ricostruirlo.

La riforma per la liberazione dal fisco predatore non avverrà mai per iniziativa di questi governi ed il loro apparato repressivo continuerà nella sistematica opera di spoliazione dei paesi.

Venite pure avanti predatori! Fatevi sotto avvolti! Ma ricordatevi che non durerete a lungo perché, come dice un vecchio detto anglosassone non puoi divorare la preda e dopo averla ancora.

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18 Responses

  1. dario

    Molto più semplicemente, è finalmente svanito il mito che dai soldi si possa creare altra ricchezza oltre a quella che il loro valore nominale dichiara.
    La ricchezza si crea dal fare, costruire, in sostanza dal lavoro.
    In una fase di crisi finanziaria andare a colpire fonti in declino mi pare una indubbia sciocchezza in termini di prelievo, bisogna invece attirare capitale sulle cose concrete sui settori del fare che hanno al centro il lavoro e quindi l’uomo, in modo che si possa riprendere il processo di accumulazione.
    Si attira qualcosa con un’azione diretta su quello che vogliamo venga scelto e quindi sicuramente sulla tassazione del lavoro e dell’impresa, non indirettamente aumentando altro.
    Ma non scordiamoci che i governi hanno fatto quello che hanno fatto anche con l’appoggio concreto almeno di parte di quella società civile che oggi si indigna solo perchè magari comincia ad essere esclusa, o si è trovata esclusa, dalla….spesa pubblica.
    Se si è finanziata dell’attività improduttiva, ci dovrà pure essere qualcuno che l’abbia eseguita quella attività!

  2. Marco

    Bell’articolo, complimenti, scritto bene ed esaustivo. Ma ora, dopo aver preso coscienza della situazione, che si fa?

  3. Luca Salvarani

    Questo articolo è stupendo! E’ semplicemente un inno alla libertà, è l’insieme delle cose in cui credo. Lo stamperò per farlo leggere a tutti i miei amici!

    PS Di chi la citazione nel terzo riquadro? Sempre di Smith?

  4. stefano

    Ma è già da decenni che è fuori controllo! Ora siamo alla resa dei conti.

    Ruvido, semplice, essenziale.
    E chiaro: spiacente ma lei non potrà mai fare il politico.
    Ovviamente mi spiace per me, non per lei.

  5. marcello

    Da una parte con concordo con quanti hanno commentato prima di me: è un articolo ben scritto e molto convincente. E certo, in un momento in cui è molto facile fare antipolitica, penso che non faticherà a raccogliere abbondante consenso. Tuttavia – mi spiace – nonostante gran parte delle cose che siano scritte siano difficilmente discutibili, va anche detto onestamente che guarda solo ad una parte del quadro e risulta totalmente parziale. La matrice liberista che traspare si traduce in un attacco allo Stato. E va bene. Ma quando si riduce allo Stato la ragione di tutti i mali del mondo, allora significa cadere in una certa parzialità (dovuta alla rabbia) che, dalla profondità e dall’accuratezza dell’analisi, fa torto soprattutto all’intelligenza e alla cultura dell’autore. Paradossale è per esempio la difesa a spada tratta della finanza: nessuno mette in dubbio che sia uno strumento indispensabile per le aziende, ma far finta che i mercati non abbiano necessità di regole più puntuali e che finora qualche peccatuccio l’hanno collezionato anch’essi, mi pare un’omissione abbastanza significativa. Un altro dato: i privati senza dubbio riescono a creare ricchezza. Ma proprio per il loro desiderio “egoistico” di ricchezza servono regole che consentano di porre un freno all’anarchia e di tutelare i dipendenti, di evitare pratiche scorrette nei confronti dei concorrenti, di redistribuire parzialmente il reddito, di mantenere lo stato sociale, di far fronte alle esternalità. Credo che anche un liberista riconosca che queste siano necessità che presuppongono uno Stato. O vogliamo inventare un organismo altro che se ne occupi?

  6. ezio

    Uno dei pochi che scrivono senza dare un colpo al cerchio e uno alla botte, bisognerebbe segnalarlo al WWF.

  7. microalfa

    @ Marcello

    Non bisogna fraintendere, nessuno è tout court anti-statalista o nega l’importanza e i compiti di strutture centrali al fine del controllo dei diritti/doveri regolamentati condivisi. Il problema vero, storico e delicatissimo, è un altro, quello del Potere, ossia di consentire la configurazione di uno Stato come centro di potere assoluto autoreferente sopra le teste dei cittadini. Quanto avviene oggi praticamente ovunque.
    Purtroppo la legittimazione delle dittature – più o meno democratiche come la nostra – nasce proprio dalla epidermica preferenza di tanti cittadini per la sicurezza a scapito della libertà.
    Come scriveva Eugenio Montale:
    Grazie all’alienazione ognuno può credere in buona fede di essere privato della libertà da forze più grandi di lui. È risparmiata così all’uomo la sconfortante scoperta ch’egli non desidera affatto essere libero.

  8. Antonio M

    Articolo che condivido in pieno, anzi farei un passo in piu´considerando come in ultima analisi e´il concetto di Stato ad essere messo in discussione dal momento che non puo´che essere un elemento parassitario dato che non esiste istituzione che non possa essere risolta nel mercato stesso. Purtroppo si ha ancora timore di parlare di un tale argomento non e´politicamente corretto nonostante Hoppe abbia ampiamente dimostrato come la logica , la teoria e la prasseologia dimostrino l´inutilita´per non dire il danno dell´esistenza stessa dello Stato ( ma non proccupatevi ci sarebbero sempre i mondiali di calcio!). Ma temo che sara´il mercato stesso, forza naturale come lo e´la forza di gravita´, a dimostrare l´impossibilita´dello Stato, anche se ci sono voluti duemila anni di filosofia per dimonstralo! D´altronde come si puo´andare contro la legge di gravita´?

  9. Luca Salvarani

    X Marcello: in finanza si trova abbastanza facilmente il modo di aggirare le regole, magari trasferendo l’attività in paesi con normative più favorevoli. Inoltre non è tanto un problema di regole ma della loro reale applicazione: si possono fare le regole migliori, ma se queste non vengono applicate…. A mio parere il problema è che attualmente il fallimento è ritenuto una cosa inconcepibile/disastrosa, mentre invece è proprio grazie ai fallimenti che il capitale aumenta perchè rimangono le imprese che lo ricostituiscono e spariscono quelle che lo bruciano. Grazie ai fallimenti gli squilibri si riducono mentre senza perdurano e aumentano. Il problema è che lo stato, ossia il più grande “consumatore” di capitale a spese di chi lo produce non fallisce e continua non solo a bruciare il capitale accumulato ma ne ostacola la ricostituzione in mille modi. In particolare il mancato fallimento delle banche durante questa crisi temo abbia distorto in modo irreparabile il buon funzionamento del sistema economico, incentivando l’afflusso di risorse in un settore parassitario rispetto agli altri. Per come la vedo io la politica non ha alcuna possibilità di risolvere i problemi che lei stessa ha creato: innanzitutto perchè forse non li capisce nemmeno, secondariamente perchè chi ha le giuste soluzioni non avrebbe mai il consenso per attuarle (almeno in Italia) e infine perchè i politici cercano il potere ossia poter favorire qualcuno a scapito di altri, in un sistema libero perderebbero gran parte di questa loro influenza/potere…

  10. Marcello

    Caro Microalfa, caro Luca,
    grazie per le risposte tanto intelligenti quanto pacate. E’ la prima volta che intervengo a commentare questo blog e il vostro atteggiamento mi da una piacevole conferma della grande importanza di “piazze” come queste, che consentono ancora un dialogo informato e un dibattito al di là degli insulti o delle invettive. Merito di questo è senz’altro di Oscar Giannino, giornalista che stimo come più non potrei e persona di una rara preparazione, savoir faire (non laissez faire) e cultura.

    Detto questo vorrei darvi uno piccolo spunto di ulteriore dibattito:
    @Microalfa: le sue argomentazioni sono filosofiche più economiche (se e fino al punto in cui è possibile distinguere le due discipline). Condivido appieno le riflessioni che fa sul potere. E sul fatto che i cittadini prediligano la sicurezza alla libertà non vi è dubbio. Vorrei chiederle tuttavia se si riferisce alla sicurezza economica o alla sicurezza fisica. Per quanto riguarda quest’ultima ben sappiamo che le dittature si sono instaurate sempre per imporre un ordine che non era più raggiungibile secondo la normale dialettica democratica. E in fin dei conti, a partire dalla democrazia degli antichi (e probabilmente neppure in quella), non si è mai assistito nei vari regimi che si sono alternati nella storia ad una prevalenza della libertà rispetto alla necessità di sicurezza (tranne particolarissimi e brevi esempi di semi anarchia). Ad un po’ di libertà bisogna rinunciare per vivere tranquilli, per poter conservare la proprietà privata e per far prevalere il diritto. Ma quale il limite? E’ questo il punto mi sembra… determinare gli esatti confini. E qui passiamo appunto a parlare della sicurezza economica… fino a che segno essa può diventare di competenza dello Stato? Per me è inevitabile che si operi un trade-off tra sicurezza e libertà. L’alternativa è la jungla. Il punto è stabilire (vecchio dibattito setteottocentesco) chi sia titolato a darci sicurezza e fino a che punto. La critica va bene, ma dovremmo sforzarci anche a trovare una risposta a questo enigma per proporre un’alternativa credibile.
    @ Luca Salvarini: la sua riflessione è davvero interessante e senza dubbio è particolarmente “liberista”, nel senso migliore del termine. Se la concorrenza è lo strumento per creare un’evoluzione positiva nei soggetti che sono sul mercato, facendo sopravvivere i più efficienti, è evidente che coloro che non lo sono non hanno fatto altro che essere messi fuori dal gioco, secondo le regole stabilite in precedenza. Essi non dovrebbero subire grandi danni in quanto hanno contribuito a far funzionare meglio il sistema. Sono pienamente d’accordo. Forse se fosse meno oneroso (dal punto di vista tanto economico quanto morale) si fallirebbe senza arrivare ad assommare quantità enormi di debiti, cercando di fare l’impossibile per non cadere. Nel contempo come lei ritengo sbagliato non aver fatto fallire le banche, o quantomeno qualche banca in più. Inoltre sarebbe stato necessario fare almeno pagare loro pegno: è scandaloso (e contrario a qualsiasi regola economica) che i manager siano tornati a staccarsi superbonus, mentre solo i soldi pubblici, dei cittadini, sono riusciti a salvare le loro banche. Le notizie che giungono sono quelle di manovre speculative tanto azzardate quanto quelle che hanno provocato la crisi.
    Per gli Stati è un discorso a sè. Perchè gli Stati sono un istituzione un po’ più complessa di un’azienda. Gli Stati hanno una loro parte economica e finanziaria, ma sono nel contempo il soggetto che fa le regole. Quale la soluzione? Se facciamo fantapolitica si potrebbero staccare le due. Creare un maxi-istituto pubblico che si dedichi agli interventi sull’economia e decida le spese e un altro che si occupi soltanto di fare le regole di raccogliere le entrate e di tenere in uno stato di pareggio o quasi i conti pubblici. Ma temo che anche in questo modo si creerebbe un caos. Cero che la sua idea di fare fallire gli stati mi sembra un po’… come dire… estrema. Se fallisce l’Italia non è che cambiamo Stato il giorno dopo.
    Grazie

  11. Luca Salvarani

    X Marcello: tu lamentavi “la difesa a spada tratta della finanza” e la necessità di nuove regole. Intanto non credo che i politici abbiano le capacità tecniche per regolamentare in modo efficace la finanza e se anche ci riuscissero questa cambia molto velocemente e dopo un po la legislaziona sarebbe già inadeguata, senza contare l’arbirtaggio regolatorio tra vari paesi e la ricerca di quello più favorevole.
    Se “fallire fosse meno oneroso”: è proprio perchè si vogliono evitare a tutti i costi i fallimenti e dunque le necessarie correzioni che questi comporterebbero! Pensa se Alitalia l’avessero lasciata fallire anni fa e aperto il mercato alle low cost…probabilemente avremmo risparmiato una valanga di soldi, la maggior domanda avrebbe riassorbito i dipendenti licenziati, i prezzi più bassi e il turismo sarebbe cresciuto dunque più gettito….invece è possibile che già l’anno prossimo lo stato debba ricapitalizzare la società…perchè il suo fallimento sarebbe inaccettabile! E’ ance una cosa culturale: in italia un imprenditore che fallisce è un mezzo ladro, un “fallito” come si dice in gergo; in altri paesi è una persona che ha rischiato i suoi risparmi e li ha persi per intraprendere un attività, creare posti di lavoro e mantenere lo stato…Cmq anche il mancato fallimento è costoso, anzi è più costoso del fallimento stesso! Perchè per evitare il fallimento qualcuno ci deve mettere i soldi ossia le aziende che sono in utile e pagano le tasse devono mantenere le aziende in perdita, bruciando cosi capitale economico faticosamente accumulato. E proprio per questo aziende sane rischiano di andare alla lunga fuori mercato e dover chiudere!
    Sugli stati volevo solo dire che c’è un paradosso: in situazioni di crisi tutti vogliono più stato pensando che questo porti loro benessere; niente di più sbagliato! Lo stato brucia il capitale che le imprese creano, più stato vuol dire bruciare ancora più capitale invece occorrerebbe più capitale e perciò meno stato! Io non auspico il fallimento degli stati ma un loro forte ridimensionamento, non solo per ragioni economiche ossia perchè è alla lunga insostenibile ma anche perchè credo non sia giusto che lo stato decida cosi tante cose della nostra vita, cose che dovremmo poter decidere noi dato che in fin dei conti siamo noi a pagarle! Ci sarebbero altre cose ma non voglio fare un papiro….ci sarà spazio su altri post per parlarne…

    PS Cmq io sono solo uno studente, non sono un grande esperto…sentiamo cosa dice Oscar…

  12. Paolo

    Mi piace l’articolo, e ne condivido in massima parte i contenuti. Ma secondo me c’è un baco di fondo, grosso come una casa: il mercato lo fa’ la domanda. E la domanda sono decenni che NON C’E’, che è stata “simulata” accumulando debiti.
    Quindi il problema oggi non sta’ nelle regole ma nel mercato: c’è un iperdebito e qualcuno deve fallire. punto. Detto (e fatto) questo la domanda “a pareggio” sarà quella epurata del surplus del debito. Quindi bassa, molto bassa. E nessuno può pensare che si potrà ne’ a breve ne’ a medio ne’ a lungo termine tornare ai livelli di crescita precedenti perchè erano semplici tassi di crescita falsi basati sulla truffa.
    Siamo andati oltre, non perchè le regole del mercato siano sbagliate ma perchè le regole (elementari) non sono state rispettate per lungo tempo.
    Ora o ci “inventiamo” un 40% di domanda in piu’ (conquista di Marte? vendita di tv lcd ai venusiani? fornitura di auto superaccessoriate a Proxima Centauri?) oppure continueremo a languire (e morire) in questo pantano per i prossimi decenni (certamente non meno di 2).
    A prescindere da misure di stimolo, governicchi tecnici e manovre fiscali: è proprio finito il tempo dei saltimbanchi e dei prestigiatori.

  13. Jean Paul

    A proposito di stato spione, consiglio la lettura di un articolo sul nuovo redditometro introdotto dal “liberista” Tremonti : http://blog.panorama.it/economia/2010/06/07/il-nuovo-redditometro-se-spendi-troppo-il-fisco-ti-sgama/
    io trovo allucinante un simile livello di intrusione e controllo fiscal-statale nella privacy-libertà di ognuno : il “grande fratello” arriva a chiederci di giustificare gli acqisti che facciamo, invece di controllare gli introiti o i redditi eventualmente non denunciati cosa alla quale dovrebbe limitarsi in uno stato liberale

  14. microalfa

    Gentile Marcello,
    non ci sono, né potrebbero esserci, distinzioni nette tra filosofia, economia o salvaguardia della vita umana sotto il profilo della libertà. La libertà è una e indivisibile e, al di là di sofismi speculativi che lasciamo ad altri ambiti, rappresenta pur sempre il livello culturale medio di una data società. Democrazia e Stato sono prodotti derivati della libertà, la prima quale (matura) espressione della somma delle singole capacità di scelta dei cittadini e il secondo come servizio che la comunità decide di conformare alle proprie necessità.
    Il discorso dello Stato minuto, prerogativa classica liberale, non è per me così importante – lo decide liberamente la comunità quale peso dargli – mentre essenziale è il controllo che i cittadini possano realmente e fattivamente esercitare affinché lo Stato resti un servizio, non si traduca quindi, come la natura umana tende a tracimare, in un potere sopra di loro.
    Lo so che è un argomento di difficile quantificazione, ma il sottile confine tra democrazia e dittatura la determina unicamente il livello di libertà consapevole e soprattutto responsabile dei cittadini. E mi creda, non esiste alcun trade-off tra sicurezza e libertà – questo è un falso mito – dato che ad ogni diminuzione della libertà corrisponde una pari diminuzione della sicurezza, non il contrario: si può constatare proprio in questi mesi quanto la supposta sicurezza di mamma-Stato, dopo avervi sacrificato una parte importante delle libertà individuali, sia una barzelletta. Anzi, ci porterà tutti nel baratro.

    un saluto

  15. Luca Salvarani

    X Paolo: non sono convinto del fatto che il mercato lo faccia la domanda! Il mercato lo fa l’offerta! Sono le caratteristiche essenziali dei mercati dei beni e dei servizi che determinano l’occupazione e il pil di lungo periodo. D’altronde è intuitivo: togliere soldi a chi produce per darne a chi spende aumentando artificialmente la domanda non consente di avere più beni e servizi. Per averne di più occorre produrne di più. Il fatto che la domanda sia bassa rispetto a prima deriva dagli squilibri che ancora non si sono risolti.

  16. MASSIMO

    PERFETTAMENTE D’ACCORDO.NON PER NIENTE COSIDERO LA RIFORMA FISCALE DEL ’72 UN VERO DISASTRO.ESSA HA PERMESSO ALLA’ BESTIA’ DI DISPORRE DI RICCHEZZE CHE PRIMA RIMANEVANO IN MANI PRIVATE.TRE ANNI PRIMA C’ERA STATA LA RIFORMA PENSIONISTICA ,ALTRO ‘CAPOLAVORO’ DI ANDREOTTI, UN PERFETTO IGNORANTE DI ECONOMIA.POI E’ ARRIVATO IL D ECLINO DELL’ITALIA E L’ESPLOSIONE DEL DEBITO IL CHE STA A DIMOSTRARE CHE LA ‘BESTIA’ NON E’ MAI SAZIA.

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