Spesa pubblica e democrazia: Il caso ticinese
In materia di bilanci pubblici, l’esperienza insegna che è molto più facile aggiungere voci di spesa piuttosto che toglierne. Ce ne rendiamo ben conto in Italia, dove tutti i tentativi di “spending review” degli ultimi anni sono miseramente falliti uno dopo l’altro. Se ne rendono ben conto anche in Ticino, Cantone Svizzero, dove il 6 marzo scorso è stata depositata un’iniziativa popolare di revisione parziale della Costituzione Cantonale con cui si introdurrebbe il referendum finanziario obbligatorio.
Per frenare l’aumento della spesa pubblica locale, il comitato promotore che vede primo firmatario Sergio Morisoli, vorrebbe che d’ora in avanti ogni legge o decreto legislativo a carattere obbligatorio generale che generino una nuova spesa o aumenti di spese esistenti oltre un certo limite (per ora non specificato) siano sottoposte al voto popolare obbligatorio. A prescindere che si tratti di spese correnti o di investimento, ogni spesa aggiuntiva verrebbe dunque sottoposta al vaglio del popolo del Cantone. In varie forme, la misura è già presente in 18 dei 26 Cantoni che compongono la confederazione elvetica. Sarebbe giunto il momento di introdurla anche in Ticino, dove secondo i promotori dal 2001 al 2019 i conti pubblici avranno chiuso 15 volte in deficit e solo 4 volte con un avanzo d’esercizio.
Il frequente ricorso ai referendum non è affatto nuovo in Svizzera. Nondimeno, nella maggior parte delle democrazie moderne, tra cui l’Italia, la questione della rappresentanza politica e dei suoi limiti è diventata di grande attualità. Non sono pochi gli intellettuali, i politici, i comuni cittadini, che vorrebbero rimediare alla scarsa fiducia nelle istituzioni che caratterizza il nostro tempo lasciando decidere direttamente il “popolo sovrano” su un numero sempre maggiore di questioni – la cosiddetta democrazia diretta.
Vanno però sottolineate alcune differenze. Nel nostro Paese, fin da subito i padri costituenti vollero mettersi al riparo dall’influenza diretta degli elettori sulle questioni di bilancio, inserendo esplicitamente all’articolo 75 della Costituzione il vincolo che non ammette il referendum popolare per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Un referendum come quello proposto in Ticino non sarebbe dunque legittimo in Italia.
Si aggiunga che, in Ticino, il ricorso al referendum sarebbe lo strumento con cui limitare lo sperpero di risorse dei contribuenti da parte dei politici locali. In Italia, se si pensa alla questione Euro, i difensori del “popolo sovrano” oggi invocano la democrazia diretta come strumento efficace per superare l’austerità impostaci dall’Europa. Lega, e Movimento 5 Stelle vorrebbero chiamare il popolo alle urne, e ricevere mandato di uscire dall’Unione Europea, così da poter gestire le finanze pubbliche ancor più allegramente di quanto ci sia consentito oggi (il famoso 3% di deficit). Assumendo che i sostenitori della democrazia diretta abbiano valide ragioni per credere che gli elettori siano dalla loro parte, almeno sulle singole questioni, ciò significa che in Ticino il popolo propenderebbe per una gestione più oculata delle risorse pubbliche, mentre il popolo italiano favorirebbe un ritorno alla crescita del debito pubblico.
Purtroppo, quest’ultima mi sembra una deduzione piuttosto ragionevole. Il federalismo in Svizzera, unito alle piccole dimensioni della Confederazione e dei singoli Cantoni, ha fatto sì che il popolo elvetico si abituasse nel tempo a considerare le conseguenze più o meno immediate che ogni decisione politica comporta. La concentrazione dei costi (in termini di tasse) a livello locale aumenta la consapevolezza negli elettori di doverli pagare. Il sistema centralistico italiano invece favorisce l’opposto, specialmente se si considera che il carico fiscale necessario a sostenere la spesa dell’intero Paese è maggiormente concentrato su poche regioni con residui fiscali ampiamente positivi, come Lombardia e Veneto.
La democrazia diretta tende a piacerci quando ci sembra di esser d’accordo con la maggioranza. Purtroppo la qualità delle decisioni politiche non dipende dal fatto che queste siano prese dal popolo o da suoi rappresentanti. Tenere a bada la spesa pubblica sembra una missione quasi impossibile. Il caso ticinese ci insegna che se il popolo viene abituato a fare i conti con le proprie tasche può rappresentare un argine contro la spesa pubblica incontrollata. In Italia, per ora, ci siamo ridotti a confidare nell’austerità che ci impone l’Europa. Non è proprio una speranza da popolo sovrano, ma guai se non avessimo neanche quella.