Spending review o spending parade?
Come si dice spending review a Berlino? Forse kostenkontroll o forse, semplicemente, spending review. Ciò che sappiamo con certezza è che a Berlino il controllo dei costi pubblici è un dato di fatto, non un’intenzione sbandierata dal governo (in Italia da oltre un trentennio) verso l’opinione pubblica. Lo si può documentare con l’ausilio del Graf. 1 il quale riporta per Germania e Italia la spesa pubblica per consumi finali in rapporto al Pil dal 1995 ad oggi. La spesa per consumi finali è l’insieme delle voci di spesa che il settore pubblico sostiene ogni anno per produrre ed erogare i servizi pubblici non di mercato, siano essi a domanda collettiva (ad esempio giustizia, sicurezza, difesa) o a domanda individuale (ad esempio istruzione e sanità). Sono quindi escluse le erogazioni in denaro, quali quelle delle prestazioni previdenziali e assistenziali.
A metà degli anni ’90 la spesa pubblica per consumi finali era stabile in Italia attorno al 18% del Pil, quasi due punti al di sotto della Germania. Alla fine del decennio il dato tedesco era sceso al 19% e quello italiano cresciuto allo stesso valore. A metà del decennio 2000 il dato tedesco era ancora in discesa, sino a raggiungere il minimo del 17,9% nel 2007, mentre quello italiano era cresciuto sino a superare il 20% nel 2005. Solo nel biennio 2006-07, coincidente con l’ultimo governo Prodi, il dato italiano risulta in riduzione in maniera simile a quello francese. Negli anni successivi, coincidenti con la recessione economica, la spesa per consumi finali cresce in entrambi i paesi. Quale lezione si può trarre? Che la Germania, nonostante avesse nella seconda metà degli anni ’90 un debito pubblico inferiore al 60% del Pil, ha ritenuto di dover contenere la spesa pubblica per consumi finali e di abbassarne il peso mentre l’Italia non ha fatto altrettanto, almeno dalla fine del decennio ’90 in avanti, nonostante un debito pubblico su Pil quasi doppio di quello tedesco.
Poiché il rapporto tra spesa pubblica e Pil dipende ovviamente tanto della dinamiche della variabile al numeratore quanto di quella al denominatore, è opportuno integrare l’analisi precedente con un esame del solo numeratore, la spesa per consumi finali, espressa in termini reali (deflazionata col deflatore del Pil). Come si può osservare dal Graf. 2, la spesa pubblica per consumi finali è aumentata rapidamente in Germania negli anni recenti, sulla spinta della recessione, ma essa è rimasta stabile in tutto il periodo precedente, i dodici anni tra il 1995 e il 2007, nel quale è cresciuta in termini reali solo dello 0,8% medio all’anno.
Una dinamica del tutto differente si è invece realizzata in Italia. Mentre nel 1996-98, anni dell’esame di ammissione della lira all’euro, la spesa per consumi finali è rimasta stabile in termini reali, negli otto anni seguenti ha ripreso a crescere a tassi elevati: un aumento medio reale del 2,9% annuo nel periodo 1998-2006 e del 3,3% medio annuo nel sottoperiodo 1999-2005. Nella brevissima XV legislatura (2006-08) il governo Prodi ferma la crescita della spesa per consumi finali mentre anche nel triennio 2009-11 essa rimane stabile. Va dato atto a Tremonti di questo risultato ma il Graf. 2 documenta in maniera inequivocabile come si sia trattato di una scelta obbligata in conseguenza delle dinamiche che sono state consentite sia nell’ultima parte della XIII legislatura a guida centrosinistra (1999-2001) sia in tutta la XIV legislatura a guida centrodestra (2001-06), anni nei quali si sono spesi i risparmi che la ridenominazione del nostro debito in euro aveva permesso grazie ai minor tassi d’interesse.
Tremonti rigorista che abbiamo conosciuto negli ultimi anni non è altro che una conseguenza del Tremonti lassista della XIV legislatura. Il governo mani legate del 2009-11 non è che una conseguenza dei governi mani bucate del 1999-2006. Ne stiamo tuttora pagando le conseguenze sotto forma di tasse (e di molto altro: totale scomparsa della crescita, disoccupazione, assenza di prospettive, drammi umani). Il Graf. 2 ci permette di identificarne i responsabili, nascosti nei precedenti capitoli del libro di storia della nostra finanza pubblica.
Dott Giannino è l’ultima voce che ci è rimasta.
Solo un anno fa ascoltavo la sua trasmissione affascinato da tecnica e conoscenza, ritrovandomi in molti dei concetti che esprimeva. Oggi accolgo i Doors con apprensione, la sua è l’ultima voce che mi da la certezza che non sono impazzito: qualcuno la pensa come me. Continui più tenace che mai, e per senso del dovere si candidi. Non molli, noi ci siamo!
Prof. Arrigo, quanto questi numeri sono affidabili?
Perché da una parte Monti mi dice che le spese locali sono “fuori controllo”, dall’altra continuo a leggere di amministrazioni locali tedesche che sono praticamente in default.
A questo punto ho il sospetto che i numeri siano sempre sparati a caso, da parte di tutti. Che ne pensa lei?
Qui un bell’articolo sui comuni tedeschi in rosso:
http://www.lettera43.it/economia/macro/germania-mal-di-debito_4367549626.htm
Tutto giusto ma il problema di fondo rimane l’eccesso di peso pubblico in eurolandia. In europa si pensa di risolvere tutto attraverso la spesa pubblica, aumentandola o diminuendola all’occorrenza. Il problema è insito nella cronica inefficienza di questa gestione, particolarmente evidente nell’area mediterranea, Francia inclusa. Arrivati a questo punto la soluzione non può essere nè rapida e nè indolore. Dobbiamo snellire la struttura pubblica e trovare il modo di agevolare l’iniziativa privata ma non attraverso incentivi perché abbiamo visto che non funzionano e la Pac con le quote latte e via dicendo ne è la cartina tornasole. Quando è nata l’UE c’erano tanti giovani e pochi vecchi, la speranza di vita era diversa, le regole sono state scritte in un contesto socio economico completamente diverso. Dobbiamo prenderne atto e agire di conseguenza. Non sarà piacevole ma prima si fa e meglio è. Abbiamo già atteso troppo.
Io non capisco, dal punto di vista strettamente matematico, come si possa pensare che il rapporto DEBITO/PIL oggi al 120% diminuisca tagliando le spese statali.
Con una certa approssimazione potremmo dire che oggi abbiamo un debito pubblico di 2000 miliardi ed una spesa dello Stato di 800 miliardi, con un PIL di 1500 miliardi e con un rapporto debito/PIL pari a 133%.
E’ noto a tutti che nel calcolo del PIL viene incluso anche il “fatturato” dello Stato.
Se le spese dello stato rappresentano il 50% del PIL e noi le diminuiamo del 20% (160 miliardi in meno), arriviamo ad un debito pubblico di 1840 miliardi e ad un PIL di 1340 miliardi, con un nuovo rapporto DEBITO/PIL = 137%.
Se invece la spesa pubblica aumentasse del 20% (si spera in cose utili), avremmo un debito pubblico di 2160 miliardi ed un PIL di 1660 miliardi, con un rapporto debito/PIL pari a 130%.
Se, per assurdo, aumentassimo del 50% la spesa pubblica, passando da 800 miliardi a 1200 miliardi, avremmo un debito pubblico pari a 2400 miliardi e un PIL pari a 1900 miliardi, con un rapporto debito/PIL pari a 126%.
Se raddoppiassimo (+100%) la spesa pubblica, avremmo 2800/2300 = 122%.
Se al posto di queti numeri approssimati ci mettiamo la situazione attuale, nulla cambia sull’analisi che espongo, la quale dimostra che casomai sarebbe utile, matematicamente parlando, aumentare la spesa statale e non diminuirla, per diminuire il debito pubblico.
Qualcuno riesce a dare una spiegazione a questi dubbi matematici di base?
@Davide Gionco
Davide, penso che l’idea liberista sia dire “se taglio la spesa del X% e taglio le tasse dello stesso controvalore ottengo un vantaggio ben superiore del PIL perché l’iniziativa privata va in moltiplicazione”.
In realtà nel sistema attuale basato sul debito la moltiplicazione è debito privato, quindi anche a me questa cosa risulta un po’ strana. Nel senso che non capisco come il debito pubblico debba essere in qualche modo “sostenibile” mentre il debito privato possa essere grande quanto si vuole, anzi più grande è e meglio è.
Questo al di là della dimensione dello Stato perché, come più volte detto, la dimensione dell’apparato Statale nulla ha a che fare con le dimensione della spesa pubblica, è solo una questione di volontà politica: se metto in campo ammortizzatori sociali e sostegno al reddito gestiti da privati di certo non aumento l’apparato pubblico, ma aumento la spesa. Idem se taglio secche le tasse sul lavoro fregandomene della copertura.
Però da quel (poco, pochissimo) che si capisce la volontà politica oggi sembra essere quella di spostare il centro di spesa in Europa e mantenere un bilancio in pareggio nei singoli Stati, come avviene in USA. Che avrebbe senso.
Però non si capisce quale spesa spostare – le uniche che avrebbero un risultato certo sarebbero ancora pensioni, ammortizzatori sociali e sostegno al reddito – e soprattutto come finanziare questa spesa.
Se si finanziano non meglio precisati “investimenti infrastrutturali” potrebbe non servire assolutamente a nulla.
E comunque se non si usa moneta fresca di conio si crea un altro centro di debito.
Alla fine dei conti mi sembra ci sia in giro una gran confusione: si parla di riduzione del debito, ma nessuno spiega concretamente come andrebbe fatto.
E perché.
http://www.corriere.it/politica/12_maggio_07/referendum-sardo-quorum-raggiunto_350b4704-981c-11e1-b99c-a30fdbaea52f.shtml
Segnalo questo interessante articolo riguardante le elezioni di ieri, in Sardegna si è votato per la riduzione delle Provincie e per la riduzione del numero dei consiglieri regionali; quorum superato e provincie dimezzate. Mi domando e chiedo, non sono giurista, non è possibile farlo su scala nazionale?
azzo ho fatto a scrivere provincIe?, chiedo venia, province naturalmente
@Marco Tizzi
Marco, possiamo discuterne in privato?
dgionco@libero.it
Grazie
caro davide e caro marcop, scusate ma sbagliate. La maniera non recessiva di abbattere debito pubblico è cedendo attivi patrimoniali pubblici, NOn ricorrendo al conto economico. Il conto economico – spesa pubblica-entrate pubbliche – va affrontato invece perché, a pareggio di bilancio, avvenga col più basso livello di spesa pubblica compatibile con efficienza e diritti, rispetto a un parimenti basso livello di entrate per non disincentivare domanda e offerta di lavoro, consumi e investimenti nell’economia reale.
@oscar giannino
Buongiorno Oscar! Spero abbia tempo di rispondere a tre mie domande:
1- come si fa a cedere gli attivi patrimoniali pubblici senza che si svalutino e portino con se il resto del mercato?
2- cosa ne pensa dell’idea di inserire una doppia moneta?
3- perché si pone così tanta enfasi sul debito pubblico e poco o nulla su quello privato?
Grazie Oscar.
Davide risponderà sul resto.
P.S.
Io la voto anche se non sono completamente d’accordo con lei, me lo fa ‘sto movimento o no? 🙂
@Marco Tizzi
In attesa delle risposte del Dott. Giannino, mi permetto di inserirmi nel discorso e dire la mia:
1 – temo che questo sia esattamente il problema per cui il Governo Monti non ha ancora affrontato il tema. Considerando anche quanti valori immobiliari ci sono nei bilanci delle banche, un crollo del valore potrebbe causare una catena di default nelle banche e di conseguenza un ulteriore riduzione della disponibilità di credito per imprese e famiglie.
Ciò non toglie che, magari gradualmente, sarebbe molto auspicabile cominciare a dismettere il patrimonio immobiliare dello Stato.
In aggiunta, c’è da considerare che l’attivo patrimoniale pubblico non è composto solo da patrimonio immobiliare, ma anche da una lunga serie di società pubbliche che potrebbero essere privatizzate liberalizzando i relativi mercati.
2 – Come dovrebbe funzionare?
3 – Semplicemente perché in Italia, e più in generale in parte dell’Europa, è il debito pubblico ad essere fuori misura, mentre quello privato è relativamente contenuto. Situazione inversa, per dire, a quella Americana.
@Davide Gionco
Non è così.La spesa pubblica sono risorse sottratte all’economia privata quindi la riduzione del PIL che deriverebbe dal taglio della spesa pubblica (personalmente considero un assurdità che nel calcolo del PIL sia inclusa la componente relativa alla spesa statale) sarebbe compensato dall’aumento del PIL che sarebbe indotto dalla riduzione della pressione fiscale a favore dell’economia privata.Di più,come dice Marco Tizzi, la spesa dei privati è sempre molto più produttiva di quella dello stato (sia perchè gli scambi sono volontari e quindi soddisfano entrambe le parti,sia perchè non esiste l’intermediazione di un baraccone come quello statale che fà accrescere i costi del prodotto finale rendendolo meno soddisfacente) e questo crea un effetto moltiplicatore dei consumi e degli investimenti che fà crescere sensibilmente il prodotto interno lordo.Questo è il motivo per cui i paesi in cui lo stato è meno oppressivo, la spesa e la tassazione sono basse, sono anche quelli che crescono di più e dove la povertà e la disoccupazione sono più basse (vedi paesi come Australia,Svizzera
Hong Kong,Canada,ecc).
@Ricardo
La doppia moneta può funzionare un po’ come ti pare. Puoi anche introdurne una basata sulle commodity se pensiamo che sia quella la strada giusta.
Io (e credo Davide) penso che la cosa migliore sarebbe una sorta di tax-credit emessa dal tesoro (non a debito) e riassorbita tramite le tasse.
Ovviamente bisogna stabilire che percentuale di tasse si può pagare e quanta moneta secondaria emettere, se farla floatare o meno, se farla scambiare o meno con l’estero. Però consentirebbe di riflettere col suo valore più correttamente lo stato dell’economia dello specifico Paese, finché i mercati non si uniscono.
L’idea è, per esempio, qui spiegata da Richard Wood:
economonitor.com/blog/2012/05/austerity-is-not-working-how-to-restore-economic-growth/
economonitor.com/blog/2012/01/orthodoxy-has-failed-there-is-an-alternative-strategy/
Ed è stata proposta dalla Le Pen (nel silenzio generale).
Però, ripeto, il tipo di moneta può essere visto in diversi modi, l’idea buona, IMHO, è quella di adottare una moneta intraeuropea ed una nazionale contempraneamente.
E, volendo, anche un viatico ad una maggiore libertà in termini di moneta utilizzata. Alla fine se lo Stato accetta le tasse in più di una moneta poi si può anche scegliere.
Sul debito privato non sono affatto d’accordo: Olanda e Spagna stanno messi malissimo in termini di debito privato.
Purtroppo i dati sono molto pochi, questo è davvero sorprendente per come la vedo: ogni fonte è ben accetta.
@Marco Tizzi
I dati sui debiti privati dell’eurozona sono tanti, solo che non vengono sbandierati dai mezzi di informazione che così possono dare la colpa allo Stato, cattivo e ladro, dei disastri di questi ultimi due anni. Disastri che sono TUTTI ma TUTTI derivanti dal privato.
Pure il nostro disastrato paese non è nei casini per il debito pubblico di per sé, quello funziona da moltiplicatore (come tutte le leve finanziarie, sia pubbliche che private) ma per gli squilibri di partita commerciale che stanno sul 3% del PIL e passa e che quindi fanno venire il dubbio che non si sia in grado di pagare ulteriori punti di PIL (visto che cala) per pagare il debito verso l’estero.
In queste condizioni, con un risparmio interno in continuo calo da anni grazie alle lungimiranti idee sulla competività (quelle che bisogna pagare poco la gente così vendiamo ai Cinesi) mi spiegate a chi volete vendere gli assets pubblici? Perché se li vendete all’estero create comunque ulteriore debito verso l’estero (anche gli IDE vanno remunerati, mica ci sono degli allocchi all’estero che investono in assets che non danno profitti) ed aggravare l’ulteriore sbilancio delle CA.
Roubini nei suoi paper indicava il 4% di sbilancio della CA sul PIL come l’inizio del baratro verso il default, siamo pericolosamente vicini…
@oscar giannino
Giannino, una cosa è cedere, valorizzandole, alcune proprietà pubbliche che lo Stato non utilizza, un’altra cosa è un generico “TAGLIARE LA SPESA PUBBLICA”.
La spesa pubblica, se utile, rimane sempre nel sistema.
Fa salire il debito, ma fa anche salire il PIL.
E come la matematica ci insegna (ed io ho riferito), il rapporto alla fine diventa più vantaggioso.
Il disastro di Monti è che aumenta le tasse e taglia la spesa utile, facendo nel primo caso fallire le aziende e nel secondo caso diminuire il PIL.
La “via dell’austerità” secondo me è una balla che ci vendono per giustificare politiche mirate a favorire le élites finanziarie a spese dell’economia reale.
@Massimo74
Massimo, se fosse come dici tu, avresti ragione.
Ma Monti non sta facendo questo.
Se Monti taglia la spesa pubblica, lo fa per dare i soldi ai possessori del titoli di stato.
E se Monti aumenta le tasse, lo fa per dare i soldi ai possessori del titoli di stato.
Se invece, come dici tu, tagliasse la spesa e diminuisse le tasse, allora l’economia si rimetterebbe in moto.
Ma questo succederebbe anche se diminuisse le tasse lasciando invariata la spesa.
Il debito pubblico aumenterebbe, certo.
Ma la soluzione potrebbe essere, come dice Marco, una moneta parallela che non sia creata a debito.
Ad esempio dei crediti fiscali.
A questo proposito gradirei davvero avere l’opinione di Giannino.
Se lo Stato si mette a creare dei crediti fiscali, li usa per pagare i propri fornitori (e magari anche la parte fiscale degli stipendi degli statali) e li rende cedibili a terzi, lo stesso Stato potrebbe finanziare buona parte delle proprie attività senza aumentare il debito pubblico.
Anzi, a quel punto potrebbe essere lo Stato ad imporre un tasso di interesse basso sui titoli, magari lo 0.5%, in modo da rientrare gradualmente dal debito.
Se infatti lo Stato non avesse più bisogno di emettere nuovi titoli per pagare gli interessi sul debito e per pagare il funzionamento della macchina pubblica, l’attuale perversa spirale si arresterebbbe.
O no?
@Massimo74
E’ divertente e democratico iniziare con “Non è così”
Ed allora mi viene spontaneo chiedere:” Non è così cosa?
Conosci la seguente identità Keynesiana.( non servono libri di economia è sufficiente digitare PIL su Wikipedia):
Y=C+G+I+(X-M)
dove Y è il PIL, C sono i consumi finali, G è la spesa dello stato, I gli investimenti, X le esportazioni e M le importazioni;
Ti consiglio vivamente di iniziare a prendere confidenza anche con quest’altra formuletta:
( I-S )+(G-T)+(X-M)= 0
Dove I sta per investimenti privati, S sta per risparmio privato, G è la spesa pubblica e T sono le tasse infine X e M come sopra.
Ergo, quanto maggiore sarà la spesa del settore governativo, tanto maggiore sarà la ricchezza del settore privato.
TU affermi che la spesa dei privati è più produttiva, ma in realtà senza la spesa pubblica la spesa dei privati sarebbe tecnicamente impossibile. L’unica possibilità che avresti sarebbe quello di produrre un bene da vendersi in un paese estero,incassando moneta estera.
Al contrario mi sembra assai lungi dall’essere dimostrabile il principio virtuoso per il quale si metterebbe in moto il supposto moltiplicatore dei consumi e degli investimenti.
Infine citi come modelli di questo falso assioma Stati come l’ Australia e il Canada e la stessa Svizzera che hanno fatto esattamente l’opposto che limitare la spesa pubblica.
L’Australia ha aumentato la propria spesa pubblica da 140.000 del 2002 a 254.000 nel 2010 ( quasi raddoppiando ); Il Canada ha fatto lo stesso passando da 224.000 del 2002 a 353.000 nel 2010. Persino la “brava/bella” Germania è passata da 410.000 nel 2002 a 503.000 nel 2011. Ed ora…udite …udite.. l’Italia è passata da 248.000 del 2002 a 324.000 del 2011. Meno della Germania e come il Canada???????? Ma stiamo scherzando???
@Davide Gionco
La spesa pubblica anche quando è utile è spesso inefficiente.
Purtroppo quando uno spende soldi non suoi non vi mette la stessa attenzione ne selezionare i fornitori e negoziare le condizioni di chi tratta con il proprio portafoglio.
Inoltre la discrezionalità di spesa nelle aziende pubbliche si presta ad infinite piccole e grandi malversazioni.
Organici non ottimizzati, personale assunto con criteri discutibili, concessione compiacente di consulenze…
Nel nostro PIL c’è anche tanto sperco e tanta malversazione. Molti percepiscono redditi che non corrispondono ad un valore prodotto, sono amortizzatori sociali occulti quando va bene, altrimenti sono truffe ai danni di tutti.
Il problema è che per far fronte a tutto questo lo STATO non può che continuare a prelevare una quota di reddito imponente per “redistribuirla” con queste modalità assurde, poco trasparenti se non affatto criminali.
Il risultato netto è che l’Italia come paese non è più competitiva e produrre in Italia non conviene.
Ma visto che l’Italia è una repubblica basata sul lavoro, giacchè non è basata sul petrolio o altre risorse minerarie ne sulla finanaza, se non produciamo cosa mangiamo ?
Chiamo superbluff di Palazzo Chigi. Cito dal Fatto:
Da Palazzo Chigi la notizia è accolta con piacere: “La partecipazione degli italiani al progetto di revisione della spesa pubblica è stata particolarmente elevata e dalle numerose mail giunte vi è un sollecito al governo a intervenire in modo tempestivo per cancellare le inefficienze”. Poi nel comunicato dell’esecutivo si passa a una analisi sui suggeritori: ”A scrivere sono in prevalenza cittadini, e tra questi molti giovani, ma anche dipendenti delle pubbliche amministrazioni e liberi professionisti, ricercatori, professori universitari, oltre a imprenditori, associazioni di categoria, enti no-profit, think-tanks”.
Peccato che nel modulo non ci fosse la data di nascita… come fanno a sapere che molti sono giovani?
Monti è forse Silvan?
Mandrake?
O la solita prevedibile presa per i fondelli (e gli addetti stampa meriterebbero qualche calcio nel popò).
@Fra74
Le tue sono le solite teorie di stampo keynesiano che la storia ha già ampiamente dimostrato essere del tutto fallimentari.Forse ti sfugge un particolare fondamentale e cioè il fatto che lo stato non produce nulla di suo, tutto ciò che possiede lo ha estorto obtorto-collo al settore privato,quindi la spesa pubblica non può che essere improduttiva per definizione visto che essa essendo finanziata dalle tasse (o dal debito che comunque sono tasse future) sottrae inevitabilmente risorse all’economia privata.Questa cosa poi per cui senza la spesa governativa non ci sarebbe spesa privata me la devi proprio spiegare.Se tu ed io decidiamo di scambiarci beni e servizi cosa ce lo impedirebbe?Perchè per far ciò avremmo bisogno dell’intermediazione di un politico o di un burocrate?
Comunque i dati relativi alla spesa pubblica che hai postato mi sembrano totalmente sballati (l’italia nel 2011 aveva una spesa pubblica di quasi 800 miliardi di euro non 324 come dici tu, a meno che tu non stia utilizzando un diverso metodo di calcolo), ma in ogni caso ha ben poco senso paragonare l’aumento della spesa come dato a sè stante senza metterlo in relazione con il PIL e con il tasso di inflazione.
La verità è che tra i paesi che ti ho citato nessuno ha una spesa pubblica superiore al 40% del PIL (il Canada è il paese con il livello più alto al 39,5%, mentre Honk Kong è quello con la minore spesa pubblica al 19%) a differenza dell’italia dove abbiamo ormai raggiunto e superato il 50%.
Questo è il motivo per cui quei paesi hanno un economia in crescita,bassa disoccupazione,minore povertà, mentre l’italia è un paese in declino ormai da anni con un PIL in caduta libera e l’aumento costante della povertà di fasce sempre maggiori della popolazione.
Mi dispiace per te, ma l’assioma meno stato,meno tasse,meno spesa = più crescita,meno disoccupazione,più sviluppo è dimostrato empiricamente.
Comunque se vuoi una spiegazione esauriente del perchè le teorie e i modelli keynesiani sono fallati alla loro base leggiti questo articolo:
http://gongoro.blogspot.it/2008/05/riflettore-sulleconomia-keynesiana.html
Ugo Arrigo, è in grado di farci avere gli stessi grafici dell’andamento della spesa pubblica, ma al netto degli interessi pagati sul debito pubblico?
Grazie