Socialismo municipale, una follia da smontare
Stamane il ministro Zanonato, intervistato dal Corriere, si dice contrario a dismissioni pubbliche. La presenza pubblica è naturalmente “strategica”, anzi bisogna estenderla tramite CDP nelle società delle reti. Ieri il viceministro dell’Economia Stefano Fassina ha spiegato al Mattino che, per trovare la copertura adeguata ad eliminare stabilmente l’aumento dell’IVA e l’IMU prima casa, occorre riprendere la strada dei tagli di spesa, e ha indicato in questo ambito le società controllate da Comuni, Province e Regioni. Viene da battere le mani, fosse vero, perché la via della riduzione “mirata” di una spesa pubblica che supera gli 800 miliardi era da anni e resta oggi la via maestra, per abbattere un prelievo fiscale e contributivo da suicidio. Oltre che negli 8 punti di Pil spesi ogni anno in forniture della PA senza che riesca se non in piccola parte il tentativo di accentrarne la selezione su piattaforme elettroniche centralizzate e trasparenti, uno dei capitoli essenziali dove la spesa pubblica si può ridurre senza effetti recessivi è proprio quello citato da Fassina, l’eterogeneo ed estesissimo mondo delle società controllate e partecipate dagli Enti Locali, Comuni, Province e Regioni.
I suoi sostenitori lo chiamano “capitalismo municipale”, riandando con la memoria all’inizio del 900, quando il fiorire delle società municipalizzate divenne una specie di “terza via” italiana per l’offerta di servizi pubblici. In realtà, da anni è più corretto chiamarlo “socialismo municipale”, nel senso che agisce al di fuori di ogni compatibilità economica e finisce per collassare su se stesso come i vecchi regimi dell’Est.
Ma quanto è vasta, la realtà di cui stiamo parlando? Lo Stato, tanto per cambiare, come non ha una contabilità affidabile e precisa di quanto deve alle imprese e ai suoi fornitori, allo stesso modo non ha alcun registro aggiornato della miriade di società partecipate e controllate dalla mano pubblica a livello territoriale. Viene da piangere, ma i poteri pubblici non hanno idea di dove hanno le mani. Dobbiamo affidarci ai rapporti periodici che su questo vengono realizzati da Nomisma, da Unioncamere, dall’ANCI, e dall’osservatorio sulle privatizzazioni creato da alcuni anni dalla Fondazione Mattei dell’Eni insieme a KPMG. E’ dal 2009 che il legislatore nazionale chiede alle Autonomie di dare al Tesoro un quadro preciso delle società partecipate e controllate, e di quelle che offrono servizi pubblici affidati in house, cioè in gestione diretta, senza gara, con vastissimo spazio garantito a criteri di discrezionalità politica e di diseconomicità di prezzi-tariffe rispetto a standard di servizio offerti.
Ma, purtroppo – e Fassina lo sa benissimo – ancora nel recentissimo “decreto del fare” varato dal governi Letta 10 giorni fa è stata adottata una nuova proroga, di altri 6 mesi,rispetto ai termini previsti dal governo precedente per lo scioglimento delle società controllate dalle PA e l’esternalizzazione dei servizi da esse prestate. Gli enti titolari di queste società multiservizi, se fatturano fino al 90% delle loro prestazioni all’ente controllante, erano tenuti ad alienare le relative partecipazioni entro il 30 giugno 2013. E contestualmente avrebbero dovuto riassegnare il servizio prestato per 5 anni a decorrere dal 1° gennaio 2014. Invece, si continuerà come prima. In ballo, secondo dati di Unioncamere, ci sono circa 3.400 società, con un fatturato superiore ai 30 miliardi di euro, per oltre un terzo in perdita. Con un debito commerciale stimato in fino a una quarantina di miliardi, e almeno 240mila dipendenti. Un anno fa era stato previsto che entro lo scorso aprile si sarebbe dovuto emanare un Dpr per definire i criteri con cui procedere all’individuazione degli enti e degli organismi da razionalizzare, creando un’anagrafe nazionale per selezionare quelle prestatrici di servizi da affidare a gara e quelle invece da chiudere, con la conseguente scelta di affidare all’esterno il servizio prestato nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale. Non se ne è fatto nulla. Solo noi contribuenti, siamo tenuti a pagare spaccando il minuto quanto ci chiede lo Stato, e quanto ci chiede in aumento. Quando si tratta di sé, invece, lo Stato proroga per anni.
I numeri, dicevamo. Incrociando le stime Unioncamere e Anci, al 2010 erano 7.723 i Comuni azionisti e 3.662 le imprese partecipate comunali in attività. Mentre le società attive alla fine del 2009 partecipate da una o più Regioni erano 4.108, di cui 363 con partecipazione diretta e più di 3.000 a partecipazione indiretta. Poiché le partecipazioni spesso si sovrappongono, i pareri divergono. Per la Fondazione Mattei e KPMG nel corso del decennio alle nostre spalle il socialismo municipale è cresciuto di almeno il 10%. Secondo una ricerca coordinata l’anno scorso dal professor Giulio Napolitano per l’IRPA, al contrario, di fronte alle difficoltà della crisi i Comuni hanno iniziato a mettere un freno, alla giungla delle proprie partecipazioni. In realtà, non lo sa nessuno.
Altro che proroghe, occorreva serrare i tempi. Proprio i casi di Napoli – e di Palermo – dimostrano che di tempo non ce n’è più. Le società controllate e partecipate, oltre a non pagare i propri fornitori, si vedono negare i pagamenti proprio dal Comune controllante con l’acqua alla gola. Da questo nacque la recente interruzione del servizio di trasporto urbano a Napoli, che curiosamente ha scatenato le proteste, ma non sul pagamento del dovuto da parte del Comune. O, ancora, le continue contestazioni dei dipendenti delle aziende di comuni come Reggio Calabria o Palermo, che non ricevono lo stipendio.
Ma il punto di fondo non è solo l’emergenza da dissesto finanziario. L’ondata delle grandi fusioni, annunciata da anni nelle public utilities pubbliche per farnascere qualcosa di simile alla tedesca RWe, è puntualmente mancata. IREN, HERA, A2A e tante altre restano agglomerati nei quali la politica locale combatte per poltrone e strapuntini in una governance aflitta da elefantiasi, grazie al proliferare del sistema duale a ogni livello. Oltre 5mila Comuni affidano servizi idrici, di trasporto locale ed energetici per oltre 3 punti di Pil di fatturato non avendo la possibilità di investire quanto queste utilities essenziali richiedono – si stima servano 62 miliardi solo nel settore dell’acqua, per ridurre le perdite record nella distribuzione e per chiudere il ciclo completo del trattamento ambientale del refluo e scarichi civili e industriali – con conseguenze esiziali sulla bassa produttività del Paese. Con aumenti tariffari che, in questi anni, hanno addirittura sopravanzato la componente energetica come maggiore fattore di accelerazione dell’inflazione al consumo. E con una quotidiana ferita profondissima a ogni mimnimale logica di efficienza, trasparenza e concorrenza, visto che un servizio “pubblico” non dopvrebbe essere automaticament essere gestito dal pubblico per essere tale, ma molto più efficacemente affidato a privati, con la ano pubblica che si limita a fare da regolatore e controllore di standard di servizi, investimenti, e criteri di tariffe. Conoscere, razionalizzare e smontare il socialismo municipale secondo logiche di efficienza è un dovere per rispettare le tasche degli italiani come contribuenti, le loro aspettative come consumatori, e per evitare che il necessario rialzo della produttività pesi solo sul settore privato, mentre il pubblico alza le spalle.
Pochi giorni fa Letta annunciava tronfio che “le imprese non hanno più scuse per non assumere”.
Il nostro ultra sgangherato stato di scuse invece ne ha sempre a volontà per rinviare qualsiasi taglio alla montagna di sprechi e di inefficienza che gestisce in questa maniera indegna.
Anche i bambini sanno che le società controllate o comunque partecipate dagli enti territoriali sono da da sempre utilizzate per eludere i vari vincoli imposti dalla legge e da ultimo quelli derivanti dal patto di stabilità interno (per es. : divieto di assunzione di nuovo personale; divieto di avvalersi di consulenti esterni; ecc.). Quindi, non bisogna farsi alcuna illusione. Le resistenze al cambiamento sono e saranno fortissime.
“tentativo di accentrarne la selezione su piattaforme elettroniche centralizzate e trasparenti, uno dei capitoli essenziali dove la spesa pubblica si può ridurre senza effetti recessivi” Dopo l’analisi di Cantieri (Si finanziano e non si ascoltano) http://www.magellanopa.it/kms/files/Proposte.pdf non è stato fatto molto. Esiste https://secure.avaaz.org/it/peti… Quando? Potrebbe, iniziando, risolvere il problema delle PMI 18M di lavoratori. Si avrebbe risolto compiutamente il problema della trasparenza. Non solo risparmi ,ora così necessari per indirizzarli al rilancio produttivo, nell’organizzazione delle strutture Statali e Private. Così come per le PMI questa è una strada percorribile per le partecipate.
Caro Giannino chiedere ai vecchi apparatnik come Zanonato di liquidare le società controllate è come chiedere al condannato all’impiccagione di comperarsi la corda e mettersela intorno al collo . Il ministro pare abbia piazzato nel consiglio di amministrazione o dentro ACEGAS ( controllata che gestisce gas acqua e mi pare raccolta rifiuti a Padova) il figlio . Vista l’età di quest’ultimo è difficile credere che ciò sia dovuto a capacità lavorative/menageriali precedenti . Ecco perchè la mano pubblica è “strategica”.
Mi dispiace che si sia fatto un avvicinamento arbitrario e a parere mio ingiustificato tra quelle che sono da considerare delle partecipazioni strategiche, messe in rilievo dal ministro Zanonato e quella che invece è la situazione delle municipalizzate e della partecipazione pubblica nella fornitura dei servizi locali ai cittadini. A ben vedere non sono la stessa cosa. Perfettamente d’accordo con l’appaltare i servizi locali ad imprese private che attraverso la competizione siano portate a fornire servizi con standards migliori e riducano inefficienze e situazioni di clientelismo. Assolutamente contrario a dismettere e cedere il controllo di imprese che per la loro rilevanza strategica siano un vero patrimonio della nazione e non soltanto meri fornitori di servizi. ENI, Finmeccanica, Ferrovie dello Stato, Alitalia, Telecom, sono risorse di patrimonio pubblico sulle quali poter fare affidamento per lo sviluppo, la crescita, la difesa del nostro paese, sulle quali è necessario mantenere una presa per poterle indirizzare in funzione di non solo interessi economici ma anche politici in senso ampio. Per assurdo si potrebbe considerare anche la difesa nazionale un servizio ai cittadini, da poter appaltare a coloro che offrissero le condizioni più vantaggiose…cosa succederebbe poi nel caso in cui le esigenze dell’azienda non dovessero più collimare con quelle del committente? Il paragone non è perfetto ma rende bene l’idea di quella che può essere una “partecipazione strategica”.
Naturalmente mi saranno obbiettate le inefficienze e il malfunzionamento dei nostri national champions, è vero e sono a favore di una revisione dei sistemi di governance e accountability interni, ma non trovo funzionale buttare tutto il cesto quando trovo qualche mela marcia.
Credo che ormai sia marcio anche il cesto!
I cittadini sono stufi di sacrificarsi in nome di una eticità falsa di ciò che è pubblico contro il demoniaco privato! Dobbiamo portarci sulle spalle strutture arroganti e voraci per ottenere servizi miserabili, che non rendono conto a nessuno di come spendono i soldi nostri (oops! ho detto nostri! scusate se lavorando guadagno dei soldi)
Vorrei limitarmi a cogliere una sua affermazione che sappiamo bene essere corretta.
“Lo Stato, tanto per cambiare, come non ha una contabilità affidabile e precisa di quanto deve alle imprese e ai suoi fornitori, allo stesso modo non ha alcun registro aggiornato della miriade di società partecipate e controllate dalla mano pubblica a livello territoriale”.
Perchè lo stato non dispone di una mappatura analitica e dettagliata con queste informazioni? dobbiamo ancora accettare queste carenze come se facessero parte della normalità? sara vero o è un messaggio deviante come spesso siamo obbligati a sentirci dire? Vanno a controllare dove spende i propri soldi ogni cittadino incrociando miliardi di dati bancari e altro e non conoscono il numero delle società pubbliche o del debito verso i fornitori? E’ il controsenso all’Italiana questo è il vero problema siamo un popolo di pecore che non pensano non riflettono e accettano in silenzio le assurdità e i paradossi. Abbiamo perso il senso della realtà come facciamo quindi a mantenere il giusto equilibrio nelle valutazioni e decisioni?
Quest’articolo mette il dito in una delle piaghe più purulente del sistema Italia: la diffusione capillare del clientelismo e dell’inefficienza grazie alle partecipazioni pubbliche. Purtroppo la maggioranza dei cittadini, anche quelli di elevata cultura, percepisce lo sfavorevole rapporto tra tassazione e qualità dei servizi, ma non si rende conto dell’importanza del principio della creazione di un conflitto di interessi fra il richiedente del servizio (l’amministrazione locale) ed il fornitore. Questo conflitto d’interessi si può realizzare solo in un libero mercato in cui non esistano attori privilegiati come le municipalizzate.
Peraltro tutta la finanza locale ha bisogno di trasparenza. Se persino la Corte dei Conti ha difficoltà a ricostruire la situazione contabile degli enti locali, figuriamoci i cittadini. In questo marasma di cortine fumogene s’annida una fetta consistente del conservatorismo e del lobbismo malsano ed occulto di cui i partiti si fanno portavoce.
Io ritengo che sia importante riuscire a far conoscere ad un pubblico sempre più vasto la battaglia per la trasparenza e per le liberalizzazioni. Altrimenti sarà sempre possibile vincere referendum masochisti come quelli per l’acqua (che gioia per i mafiosi fu la vittoria del sì all’abrogazione!).
2 considerazioni:
-@ Giannino: è ovvio, ma si ricorda di quando nel giugno 2011 LA MAGGIORANZA ASSOLUTA DEGLI ITALIANI, non dei semplici elettori, votò per mantenere questo stato di cose ? Ad un convegno io le chiesi un commento, ma trovai la sua risposta fumosa: può qui chiarirmela ? Grazie.
– @Giovannioh: cosa vuol dire strategico ? Io direi che è molto più strategica la produzione di farmaci antiblastici: li vogliamo nazionalizzare ? La strategicità è in primis un concetto troppo sfumato, ed in secundis una scusa per lottizzare tutto: nel passato erano diventati strategici persino i panettoni Motta; in USA ci sono società, tipo Grumman, Lockheed, etc. etc. che (alcune) addirittura fabbricano bombe H, e nessuno pensa lontanamente a nazionalizzarle: non sono strategici i missili strategici ? Semplicemente, visto che lo stato deve senz’ altro controllare, rifuggiamo dal concetto di fargli fare le cose, oppure smettiamola di stigmatizzare solo il conflitto di interessi di B. E direi questo anche se stessi parlando dello stato svedese (che, infatti, si è auto imposto una bellissima cura dimagrante), figuriamoci di questa satrapia proto-mafiosa che infetta lo Stivale.
Sono veramente disgustato dal profluvio di parole che politici e politicanti vomitano giornalmente nei vari talk show con una faccia da schiaffi che nessuno riesce a contestare. Da più di venti anni ho sopportato promesse di mirabolanti interventi tesi a sanare lo stato miserevole in cui le solite facce hanno ridotto questa povera Italia ma soprattutto una buona parte di noi italiani. Dico buona parte perchè, visti i risultati delle votazioni, una grossa fetta di questi ci sguazza e ci vive (alle volte anche molto bene) vedi baby pensionati, politici obsoleti (pochi), prestanomi, pensionati fasulli, impiegati statali inefficienti o non necessari (forestali, falsi invalidi, ecc…..). Ho sperato che voi sareste riusciti a smuovere questa morchia, ci spero ancora ma incomincio a disperare. Coraggio avanti e speriamo per il futuro