Il sindaco di Padova contro la libertà d’impresa – di Piero Cecchinato
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Piero Cecchinato.
La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re e non si rende conto che in realtà è il re che è Re perché essi sono sudditi.
(Karl Marx)
Le ordinanze dei Sindaci come strumento liberticida
Le ordinanze dei Sindaci sono una brutta bestia. Contemplate all’art. 54 del Testo Unico degli Enti Locali, che legittima il primo cittadino ad emanare provvedimenti contingibili ed urgenti contro gravi pericoli che minaccino l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, si tratta di strumenti dal notevole potenziale liberticida. Si tratta, però, anche di strumenti piuttosto efficaci per soddisfare una certa fame di consenso politico. E l’appetito, come sappiamo, viene mangiando.
Lucia Quaglino l’ha evidenziato molto bene nel volume D’amore, di morte e di altri divieti. Le ordinanze dei sindaci e la libertà individuale: “Le ordinanze sindacali si potrebbero paragonare a delle ciliegie: una tira l’altra. Nel caso delle ciliegie, però, il singolo individuo può smettere di mangiarle quando vuole. Quando si tratta di ordinanze, sembra invece non esserci un limite”.
Il Sindaco di Padova deve gran parte della sua fama a questo genere di ordinanze. Il giorno dopo la vittoria, lui che a Padova nemmeno ci risiede, disse: «Può essere che un domani, quando l’avremo ripulita, verrò a vivere in questa città». E allora via con i provvedimenti.
I precedenti del Sindaco Bitonci
Massimo Bitonci si fece le ossa come Sindaco dei divieti nel Comune di Cittadella, ad una trentina di chilometri da Padova.
La prima ordinanza che fece molto discutere fu emanata nel 2007. Venne definita “anti-sbandati” perché imponeva ai cittadini l’obbligo di dimostrare un reddito minimo ed un’abitazione idonea per poter richiedere l’iscrizione alle liste dei residenti. L’ordinanza prendeva le mosse, tra l’altro, dalla considerazione che la “condizione abitativa sia il termometro che misura il grado di integrazione di ogni persona nella collettività”.
Nel 2008 fu la volta dell’ordinanza “anti-borsoni”, che vietava ”il transito con trasporto senza giustificato motivo di mercanzia in grandi sacchi di plastica o grandi borse all’interno del centro storico”.
Poco dopo arrivò quella contro i manifesti osceni, che, constatando la “diffusa percezione di incuria e degrado”, mirava a “ripristinare il normale stato delle cose”.
L’ordinanza anti-degrado del 2009 prendeva invece le mosse dalla considerazione che “occorre mantenere in perfetto stato di conservazione, manutenzione e pulizia le pavimentazioni e tutte le aree pubbliche ed aperte al pubblico del territorio comunale”. Si noti l’uso dell’aggettivo “perfetto”.
Nell’estate 2011 Cittadella divenne anche il primo comune del Veneto “dekebabizzato”. Non si trattava, per il Sindaco, di “alimenti che fanno parte della nostra tradizione e della nostra identità”.
L’appetito vien mangiando
Con l’arrivo di Bitonci anche Padova ha iniziato ad avere il suo buon numero di ordinanze.
Si è vietato, ad esempio, di “utilizzare in modo improprio le panchine”. Il fine dichiarato è stato quello di scoraggiare i vagabondi in cerca di giaciglio, ma è rimasto il dubbio su cosa possa intendersi davvero per uso improprio di una panchina.
Un’altra ordinanza ha vietato di “soddisfare le esigenze fisiologiche fuori dai luoghi destinati allo scopo”. Un divieto già contemplato all’art. 726 del codice penale.
Contro i bagni nelle pubbliche fontane (non così frequenti, a dire la verità) è stato vietato di “bagnarsi o nuotare fuori dai luoghi destinati allo scopo”. Ancora ci si chiede se un simile divieto contempli anche la condotta di chi si bagna la testa con una bottiglia d’acqua in un luogo non destinato allo scopo.
È stato poi vietato di “fissare o appoggiare bici o motorini agli arredi urbani, agli alberi, ai pali, ai monumenti e a altri manufatti pubblici non destinati allo scopo”, mentre i proprietari di costruzioni disabitate sono stati obbligati ad impedire ogni forma di occupazione.
Anche Padova ha poi avuto la propria ordinanza anti-borsoni e pure un divieto di mostrarsi in pubblico in abiti che offendano il comune senso del pudore.
Cattiva sorte anche per i papiri di laurea, non più affiggibili ai tronchi degli alberi, con buona pace delle tradizioni universitarie locali.
Di quest’estate è l’ordinanza anti-movida, che ha impedito l’accesso al centro storico alle auto. Peccato che il provvedimento abbia riguardato anche le biciclette, il che ha gettato un certo scompiglio fra utenti ed esercenti.
Quando le ordinanze toccano la libertà di impresa
Dove le ordinanze diventano davvero dannose ed evidenziano tutto il loro potenziale paternalistico è rispetto alla libertà di impresa.
Nel settembre dell’anno scorso aveva fatto molto discutere l’ordinanza con cui il Sindaco di Padova, a seguito di una rissa in piazza fra stranieri di origine africana, ordinò la chiusura anticipata alle ore 14.00 per un rivenditore di kebab. Peccato che quell’attività commerciale con la rissa non c’entrasse proprio nulla. Ma davvero nulla.
Un palese attentato alla libertà d’impresa poi bocciato dal TAR con tanto di condanna del Comune a rifondere le spese legali.
Oggi il Sindaco è ancora oggetto di critiche per un’ordinanza che anticipa alle 20.00, rispetto all’orario delle 22.00, la chiusura di una serie di attività commerciali site in un’area adiacente al comparto stazione.
Esercitare un’attività in loco diventa, così, anche una questione di fortuna. Te ne stai entro la zona contingentata? Chiudi alle 20.00. Te ne stai dall’altra parte della strada? Puoi chiudere alle 22.00. L’ordinanza, che si inserisce nella categoria delle ordinanze anti-degrado, ufficialmente mira ad assicurare condizioni di migliore “vivibilità” alla zona.
C’è però un passaggio del provvedimento che sembra tradire i suoi veri intenti. Nella esemplificazione delle attività che si intendono “commerciali non alimentari”, anch’esse colpite dall’ordine di chiusura anticipata, fra parentesi vengono citati “acconciatori ed estetisti, phone center, internet point”. Insomma, le attività che vedono sempre più spesso gli immigrati farsi imprenditori (in Italia, eroi sol per questo!).
Fra parentesi, quindi, l’obiettivo principale della Giunta: rendere la vita difficile ad una certa imprenditoria straniera.
Fatto sta che l’ordinanza ha colpito anche una libreria gestita da due giovani ragazze italiane. Libreria che, posta vicina ad un cinema, registrava il maggior numero di affari proprio nella fascia oraria colpita dall’ordine di chiusura.
Scoppiata la polemica, la Giunta sta meditando adesso delle forme di deroga. Sarà ora interessante vedere come verranno giustificate, perché il rischio di qualcosa che suoni come concessione privilegiata del sovrano è forte.
La discrezionalità del sovrano
La discrezionalità del governante si muove sempre fra due estremi opposti e richiede perciò una buona dose di equilibrio.
Da una parte vi è l’estremo che potremmo definire della pesca a strascico. Si dice che la pesca a strascico dei gamberetti porti in media a gettare fuoribordo l’ottanta-novanta per cento del pescato, morto o morente, in quanto cattura di scarto. Il divieto “a strascico” può così risultare dannoso e controproducente, proprio come, ad esempio, per il caso della chiusura imposta ad una libreria in una zona ritenuta degradata.
Dall’altra parte vi è l’estremo della selettività discriminante. Frederich Hayek affermava che le imposizioni “selettive” sono preoccupanti perché i governi possono attuarle senza temere troppo di doverne pagare le conseguenze. Rispetto a simili politiche, infatti, è più difficile che si organizzi un’azione collettiva di protesta.
Rispetto alle imposizioni generali, invece, è più facile che si attivino meccanismi di salvaguardia democratica. Si tratta di quel dominio della legge (rule of law) che richiede generalità e rifugge dalla selettività.
La generalità è un correttivo contro l’abuso. La selettività dell’ordine e della concessione, invece, sono alla base di ogni politica discriminatoria.
Fare scelte non è facile e l’equilibrio in politica è un po’ un’arte. Quando si tratta di libera impresa, però, la scelta migliore che un governante possa fare è quella di non fare nulla.