Sindaci per il federalismo? Solo chiacchiere se i tributi non sono “manovrabili”
Mentre da più parti (ieri ne parlava su “MF” Roberto Sommella) trapela qualche notizia in merito ai piani di Giulio Tremonti per una riforma delle aliquote Irpef (che l’anno prossimo potrebbero ridursi di numero, ma scendendo solo a 4 e nella migliore delle ipotesi a 3), al tempo stesso in Veneto, Lombardia e Piemonte sta iniziando a prendere quota un’iniziativa di sindaci – leghisti, ma non solo – volta a premere sull’acceleratore della riforma fiscale in senso federale.
Come ha spiegato Franco Adriano su “Italia Oggi”, il prossimo 2 dicembre a Padova vi sarà un appuntamento organizzato dal leader dei sindaci veneti, Antonio Guadagnini (Udc), e pare stia pure emergendo l’ipotesi di una proposta di legge di iniziativa popolare orientata a chiedere che i comuni trattengano, per il loro bilancio municipale, il 20% dell’Irpef in sostituzione dei trasferimenti.
Diciamo le cose come stanno: non sarebbe una rivoluzione. E anzi è la dimostrazione di come nel Paese per vent’anni si sia parlato a lungo di federalismo senza essere riusciti a capirne nulla.
Il vantaggio di una tale riforma starebbe nel fatto che si porrebbe fine all’opaco sistema dei trasferimenti e che si premierebbero le amministrazioni dei territori in cui si produce di più. (Questo però comporterebbe anche un problema per quelle medesime aree. Al Nord, per intenderci, probabilmente la popolazione potrebbe ottenere più servizi, ma al tempo stesso vedrebbe crescere la greppia dei politici locali e, di conseguenza, la dipendenza della società e dell’economia dal potere.) Anche se può apparire controintuitivo, chi certamente ne trarrebbe vantaggio è il Sud, che vedrebbe ridimensionati i loschi affari di politicanti e criminali vari.
Bisognerebbe però comprendere che le conseguenze più positive di un ordine federale e anche di un una finanza pubblica orientata in questo senso sta nello sviluppare una competizione tra territori. Invece che lasciare all’amministrazione comunale di Treviglio il 20% dell’Irpef che i trevigliesi versano a Roma, bisognerebbe dare al comune di Treviglio la facoltà di decidere il livello delle aliquote (quanto deve pesare la tassazione) dopo avere garantito al comune che terrà per sé, ad esempio, il 20% di quel gettito.
In tal modo, a Treviglio potremmo avere una pressione fiscale più alta e a Caravaggio, invece, una inferiore (qualora decidesse di accontentarsi di entrate modeste). In questo modo vi sarebbe un forte incentivo – per imprese, capitali e famiglie – a spostarsi dove il rapporto tra servizi e oneri fiscali è migliore, e questo spingerebbe tutti a operare bene. Ma perché questo succeda è necessario che i tributi siano “manovrabili”, e quindi che il sindaco possa scegliere tra una politica ad alta, moderata o bassa tassazione.
Come Piercamillo Falasca e io abbiamo cercato di spiegare, un anno fa, in un volume scritto a quattro mani (“Come il federalismo fiscale può salvare il Mezzogiorno”, edito da Rubbettino), se faremo un federalismo senza concorrenza e quindi se i tributi continueranno ad essere fissati nelle forme e nella loro entità da Roma, avremo un federalismo solo di nome.
La competizione istituzionale ha il grande merito di costringere i politici a tenere in considerazione i comportamenti degli attori sociali (aziende e individui) e, di conseguenza, a fare tutto il possibile per andare incontro alle loro esigenze. È per questo che in un sistema federale è molto più difficile che le imposte possano salire e, anzi, la logica quasi di mercato della concorrenza tra agenzie territoriali tende a farle scendere.
I sindaci sul piede di guerra sembrano bene intenzionati e hanno ragione ad avversare la redistribuzione attuale basata sui trasferimenti dal centro. Se non capiranno però il senso autentico del federalismo, finiranno fatalmente per piazzarsi su un binario morto.
Scusi, probabilmente non ho capito bene.
Dovrebbero essere i comuni a stabilire le aliquote Irpef? E la gestione del debito pubblico, così come le spese dello stato centrale, come e da chi verrebbero gestiti?
Quello di trattenere il 20% delle aliquote Irpef per i Comuni è una battaglia “vecchia” (mi ricordo di un manipolo di sindaci del nord – con tanto di fascia tricolore – calati a Roma qualche tempo addietro) che non porta da nessuna parte: non è certo questo il progetto COMPLESSIVO di federalismo fiscale che ha in mente la Lega (con Tremonti). E poi quei Sindaci erano PD, PDL e UDC non certo leghisti….
Detto ciò, ieri sera ad Annozero Tremonti ha chiaramente detto che – al momento – nelle casse del Tesoro non c’è trippa per gatti….- Inutile quindi fare voli pindarici (come quelli di Bersani, Baldassarri e Brunetta), la realtà è che l’Europa ci controlla a vista come sorvegliati speciali e che non possiamo fare nessuna manovra (per quanto piccola) “a debito” e senza una copertura credibile.- Punto.- Fine della fiera…..
Non sarebbe più utile garantire allo stato le entrate e poi lasciare ai comuni libertà impositiva con cui coprire le proprie spese?
Forse molti non sanno che così funziona i Svezia, le tasse statali sono meno della metà del’imposizione , così non esisterebbe il problema del bilancio statale ( garantito ) e assoluta libertà di non far pagare tassa, la storia dell’Eropa che ci impedisce di diminuire le tasse è ridicola, signifca ammetter che la classe poltica attuale è incapace o assolutamente contraria ad una diminuizione della spesa pubblica, l’idea di diminuirle a debito ci ha già portato a pagare un mare di interessi agli investitori stranieri, si consideri che almeno 40 miliardi di euro all’anno varcano le frontiere per finire nelle tasche di investitori esteri….
Questa “alla svedese” – tassazione locale per gli enti più vicini al cittadino più tassazione nazionale per lo Stato – potrebbe essere una soluzione ragionevole, certo, e molto migliore rispetto al pasticcio simil-trentino proposto dai sindaci: che in sostanza riprende la vecchia proposta della regione Lombardia.
Ma il modello che ho suggerito nel post – e che è stato ideato, nella sostanza, dall’economista Dwight Lee – ha almeno due vantaggi:
in primo luogo, comporta una concorrenza fiscale al 100%, dato che spostandosi da Treviglio a Caravaggio non cambierebbe solo la fiscalità locale, ma l’intera fiscalità, e questo indurrebbe entrambi i comuni a tenere assai basso il prelievo;
in secondo luogo, il meccanismo “affamerebbe la bestia” e costringerebbe lo Stato – a questo punto totalmente dipendente dalle scelte delle comunità locali – a privatizzare gli enti di Stato (altro che Banca del Sud!) e a ridurre le spese per personale e tutto il resto.
In questo senso, e qui rispondo a Bill, lo Stato centrale si troverebbe nella condizione di definire i propri programmi e i bilanci per gli anni a venire “dipendendo” dalle scelte altrui (nello specifico, gli enti locali): così come ogni impresa deve dipendere dai propri consumatori.
Questo è vero sempre, in un certo senso. Quando Tremonti prepara il bilancio 2010 spera che l’Italia regga, e che le imprese continuino a lavorare, magari crescano dell’1% e non smettano di versare le imposte. Deve poi augurarsi che le molte agenzie di Stato, spesso dotate di larga autonomia, non gestiscano in maniera dissennata le loro risorse.
Con il federalismo, però, la piramide si rovescia del tutto: e il centro diventa funzionale alle esigenze e alle decisioni della periferia.
Solo in questa maniera il federalismo è una rivoluzione, e in senso liberale.
E’ ovvio, al tempo stesso, che si può anche andare avanti così, con una struttura politica ad alta irresposnabilità, e nessuna concortrenza tra territori. Ed è egualmente chiaro che si tratta dell’ipotesi più probabile. Con uno Stato centrale che spende sempre di più, gestisce tutto e male, costruisce un debito destinato a dilatarsi in maniera indefinita. Probabilmente è una strada da cui è difficile allontanarsi. Insomma, quale che sia il governo, moriremo democristiani.
Ma siamo impazziti? I tributi vanno considerati manovrabili solo se verso il basso, al di sotto di un limite massimo convenientemente basso, altrimenti e’ ovvio come andra’ a finire. Lo stato deve proteggere i cittadini oltre che da se stesso, anche e soprattutto dalle vessazioni delle amministrazioni locali, che agiscono in modo monopolistico sul loro territorio.
Vado fuori tema, ma non più di tanto..
Abito a Bologna, devo traslocare, il che implica cambiare quartiere.
Mi sono informato, siccome si tratta del centro storico ed è tutto un parcheggio a pagamento, presso i due quartieri per come consentire la sosta al camion dei facchini.
Dunque, nel nuovo quartiere, a fronte di domanda scritta in una settimana danno il permesso; se l’operazione dura meno di sei ore il tutto è gratuito, altrimenti c’è un obolo di dieci euro. Punto.
Nel vecchio, il rilascio del permesso richiede un’attesa di almeno trenta giorni; la domanda va accompagnata da un versamento di 14 e rotti euro, bisogna comprare segnali stradali e nastri per delimitare il parcheggio presso un preciso negozio di Borgo Panigale (se non si prendono lì, multa!), e comunque segue un altro obolo di una ventina di euro a permesso ottenuto.
Ora, appurato che sono felice di cambiare quartiere, e che non so se il proprietario di quel negozio sia lo zio di qualche consigliere e che ho deciso di fare il tutto senza permessi…Alla faccia del decentramento!