Settis, Nannipieri e il futuro dei beni culturali
Nonostante numerosi convegni e pubblicazioni, le riflessioni sui beni culturali non offrono spunti di grande originalità. Una eccezione è rappresentata da Luca Nannipieri, che in questi giorni ha mandato in libreria il suo ultimo libro: La bellezza inutile. I monumenti sconosciuti e il futuro della società (Jaca Book, 2011).
Nannipieri è l’autore di un breve saggio che, solamente per come l’ha intitolato, merita pieno sostegno: Salvatore Settis. La bellezza ingabbiata dallo Stato (Edizioni ETS, 2011). Per Nannipieri, “Settis divulga un pensiero insidiosissimo quando parla della nostra identità, del nostro paesaggio, del nostro patrimonio artistico, della bellezza dei nostri borghi e di molte nostre città”. Semplicemente, il pensiero di Settis ignora la persona. Gli individui scompaiono inghiottiti dalla “struttura”. La tutela e la conservazione (strettamente connesse alla valorizzazione) dei beni culturali sono una questione che riguarda la legislazione, le procedure amministrative, le soprintendenze, lo Stato. Quello di Settis è un pensiero essenzialmente elitario, che vede nei vertici della pubblica amministrazione i custodi del bene comune. Solamente un’azione dall’alto, guidata dallo Stato, può farsi carico della salvaguardia del nostro patrimonio. È lo Stato che decide cosa fa parte del nostro patrimonio artistico-culturale, cosa merita di essere tutelato e come deve essere salvaguardato. Ed è lo Stato che deve svolgere questo ruolo perché le sue finalità sono intrinsecamente legate al perseguimento del bene della collettività. Dietro la trinità dell’Identità, dell’Unità e del Patrimonio Settis fonda dunque il suo pensiero. Tre concetti intesi come tre grandi astrazioni, utili per dare legittimità all’operato dello Stato. La nostra ricchezza è rappresentata dalla nostra storia, la quale dà un senso di coesione e di appartenenza. Le testimonianze della nostra civiltà rappresentano un percorso che si è stratificato nei secoli, e che, abbracciato nella sua unitarietà, non può che dare espressione alla nostra identità. A certificare e a cristallizzare questa identità serve lo Stato, che con il suo operato costituisce il guardiano, il custode della Nazione.
Da questo discorso, come appare chiaro, gli individui, con le loro scelte e le loro esperienze, non esistono. Ma se un luogo, un bene culturale, non è “vissuto” dalle persone, si riduce a un ammasso di pietre, a qualcosa che non ci appartiene. Il culto della conservazione si riduce a un esercizio inutile, senza significato, l’unico senso che può acquisire è quello della conservazione in sé e per sé. La conservazione dei beni culturali come valore, giusto a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Conservazione per la quale l’intervento dello Stato si rende indispensabile, in quanto unico soggetto ad avere nel proprio dna certi valori. Ma, come scrive Nannipieri, “se, per paradosso, venisse musealizzato tutto il passato, il mondo si bloccherebbe nella nevrosi dei propri passi trascorsi”.
È questo il punto di partenza, la critica al pensiero di Settis, da cui parte Nannipieri per sviluppare il suo ragionamento, articolato in maniera più efficace in questo suo ultimo saggio. Settis rappresenta l’emblema di un certo modo di intendere il nostro patrimonio culturale. Non è un caso che in una quantità indefinita di suoi interventi magnifichi il sistema di tutela che nel corso del Novecento si è venuto a realizzare in Italia. E che si rammarichi della situazione attuale, caratterizzata da un sistema organizzativo e normativo in potenza ottimale (incentrato sul controllo del territorio attraverso le ramificazioni dello Stato centrale e su una legislazione che sottrae le scelte agli individui per delegarle al settore pubblico) ma che deve scontare un esercizio timido delle sue funzioni aggravato da scarse risorse economiche a disposizione. I due pilastri di tale concezione (che va per la maggiore) sono rappresentati dall’articolo 9 della Costituzione e da quello 0,1/0,2% di Pil destinato alla cultura: il grande ideale sancito nella Costituzione di uno Stato tutore della cultura e del nostro patrimonio, la mortificante situazione di un Ministero per i Beni e le Attività Culturali senza soldi e in mano ai barbari.
Ed eccoci arrivati ai barbari, termine che Nannipieri prende in prestito da un saggio di Alessandro Baricco. Costruttori avidi e senza scrupoli, individui insensibili al bello, politicanti locali corrotti e collusi con i costruttori edili e le grandi imprese in generale. Così si chiude il cerchio. Un cerchio fatto di interessi privati e di ignoranza. A cui occorre contrapporre una élite colta e dedita al bene comune. Siamo alla bipartizione della società: da una parte i demoni nichilisti e avidi, dall’altra gli angeli altruisti. Ma non è che, per caso, siamo tutti, solamente, persone?
E invece no, la società capitalista è il luogo in cui possono emergere solamente gli istinti egoistici dell’uomo (con Adam Smith a rappresentare il profeta di un sistema che massimizza l’egoismo). Una società libera deve allora essere guidata da chi, al bene personale, antepone il bene collettivo. Ma tale pensiero è una macchietta, che non tiene affatto conto della complessità della realtà. Basterebbe prendersi la briga di leggere le prime righe della Teoria dei sentimenti morali, dove Adam Smith afferma: “Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe delle fortune altrui, e che rendono per lui necessaria l’altrui felicità, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla”. La “simpatia” di Smith non è molto distante dalla fraternitas di cui parla Nannipieri. Gli uomini lasciati liberi di scegliere possono optare per gesti disinteressati, non per forza lucrativi. Sembrerà incredibile ma è così…
L’egoismo/altruismo degli individui è ben rappresentato da due esempi presentati in La bellezza inutile. Da una parte Nannipieri afferma che “il rilancio economico di un’opera non prefigura per necessità il suo svilimento”. Anzi, “i vecchi cascinali di collina o di campagna […] sarebbero andati in rovina […] se non fossero stati trasformati in confortevoli e ben tenuti agriturismi. La loro trasformazione è stata la loro salvezza”. Un processo non guidato dall’alto ha fatto sì che questi cascinali non diventassero ruderi. L’adeguamento alle necessità economiche e sociali di oggi non porta allo svilimento della bellezza: “il dato mercantile non ha cancellato la memoria del luogo: al contrario l’ha resa possibile e fruibile per i nostri giorni”.
L’altro esempio, che per Nannipieri rappresenta il centro del suo discorso, è incentrato su quelle “comunità di persone che, non volendosi rassegnare a che il loro monumento sia destinato alla cancellazione e all’oblio, si adopera e si impegna affinché quella bellezza, per loro così centrale, non venga perduta nel tempo”. I beni culturali “minori”, ovvero quelli che non sono posizionati all’interno dei tradizionali percorsi turistici e che non godono dei riflettori dei media, rappresentano i beni più esposti “al degrado e all’incuranza”. Se per il Colosseo è possibile trovare un Della Valle disponibile a finanziare copiosamente i lavori di restauro, per la Certosa di Calci il discorso è differente. Se la sponsorizzazione si caratterizza per la ricerca di un ritorno economico e d’immagine per l’impresa, a volte però sono altre le finalità che portano soggetti privati a farsi carico di parte dei lavori di restauro e di valorizzazione del nostro patrimonio. Ad esempio, seppur la propensione al mecenatismo, alla donazione, in Italia sia deficitaria, il più delle volte si manifesta in ambito locale. È più facile che le persone donino il proprio denaro per qualcosa che geograficamente è vicino a loro, piuttosto che il contrario.
Sul territorio si realizzano così esperienze che sfuggono al controllo del “centro” e che vedono una pluralità di soggetti coinvolti. Se il nostro sistema è incardinato su un forte potere dello Stato, è però impensabile – e non è nemmeno auspicabile – che esso riesca a farsi carico degli obiettivi che si è prefissato. Come ha scritto recentemente Gian Antonio Stella, riportando alcune affermazioni di Alberto Ronchey, nel nostro paese si possono trovare “tante opere d’arte, una sedimentazione stratificata per ventotto secoli. Dall’VIII secolo a. C. ai tempi nostri, non si ricorda un’era che non abbia lasciato la propria eredità in Italia: Etruschi, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanno-Svevi, Medioevo comunale, Rinascimento, Barocco, Neoclassicismo fino al Modernismo”. Come può lo Stato salvaguardare tutte queste testimonianze? E poi, è giusto che vengano tutte salvaguardate? Lo Stato “non deve” (per non mummificare un paese) e “non può” (per non intralciare la strada a esperienze che si consumano sul territorio, e che possono dare un senso ai beni culturali, mettendo in relazione individui e soggetti vari). Come scrive Nannipieri, “una tradizione non si tramanda per convincimento giuridico”. Un bene culturale non acquista un senso con l’intervento dello Stato a sua difesa.
La bellezza è per chi sa vederla. Nannipieri sa vederla? Vorrebbe che tutti sapessero vederla? Dopo l’avvento della società di massa, Nannipieri idolizza la bellezza di massa, il bene culturale a portata di mano (sudata). Guai a quelle elìte fastidiose, di persone che hanno dedicato la loro esistenza a studiarli i beni culturali, che soffrono quotidianamente l’affronto dei viventi di Nannipieri, che vogliono una villa romana nel loro giardino, una vetrina con il vasellame preistorico nel soggiorno o una bella fognatura o un allargamento stradale sopra la via Cavona o ancora una bella residenza sopra il Mitreo di Marino. E lo sa Nannipieri che questi aristocratici che si contrappongono alla distruzione/predazione di questi beni culturali devono farlo in una assoluta mancanza di fondi per la tutela? Logica la sua conclusione: poichè non ci sono fondi per salvaguardarle tutte, disconosciamo il ruolo dello Stato nella tutela del Bene Culturale e affidiamoci ai mecenati di turno (Della Valle??). Mi spiace non sono d’accordo. Soldi e cultura non sono mai andati d’accordo e non vedo perchè ci debbano andare adesso. Nannipieri si consoli ad un MacDonald!
@Stainer
Scusi ma non ho capito la ragione della sua vena polemica. Non mi sembra di rilevare nell’articolo una posizione “contro” gli studiosi accademici che si sono occupati e si occupano di beni culturali. Semplicemente mi sembra si ponga una problematica interessante: se lo Stato non è in grado di finanziare adeguatamente il lavoro di individuazione e salvaguardia dei beni culturali perchè non coinvolgere di più i soggetti privati? Non vedo cosa ci sia di così odioso. Mi perdoni ma lei dice che soldi e cultura non sono mai andati d’accordo. Guardi che se ci pensa bene è esattamente il contrario. L’intero Rinascimento si è basato sull’apporto del mecenatismo da parte di famiglie nobili e borghesi,ancora da parte dei papi, il tutto prima ancora che esistesse un concetto di Stato a cui affidare la responsabilità di questo tipo di sviluppo. Lo stesso vale per il passato più remoto con la Roma Imperiale dei Cesari dove si lo Stato interveniva con soldi pubblici per finanziare le grandi opere ma si ricorreva al mecenatismo nel campo delle arti. Più recentemente, quanti musei sono nati (uno su tutti lo Smithsonian) grazie al lascito di uno o più soggetti privati? Certo i musei comprano anche delle opere dai privati, spendendo a volte soldi pubblici. Che male c’è in questo? Allora il problema non è di togliere allo Stato il patrocinio o l’autorità di controllo e tutela ma di coinvolgere negli investimenti i privati studiando, anche soluzioni fiscali ma anche di rivalutazione commerciale del territorio che renda più appetibile questo tipo di investimento. Certo questa logica non potrà essere applicata ovunque e per chiunque ma allora discutiamo sui criteri da utilizzare per effettuare delle scelte. La sua polemica al contrario mi pare semplice pregiudizio. Cosa propone in alternativa? Di lasciare che le mura di Pompei continuino a crollare? Di spendere più soldi pubblici che non ci sono per assumere nuovi sovraintendenti raccomandati ed incompetenti? Lo so, a questo punto si potrà considerare anche la mia polemica viziata da un pizzico di pregiudizio ed in parte è così. Infatti è facile fare demagogia, più difficile proporre soluzioni serie. E mandare un interlocutore da Macdonald forse non è un gran bel modo di porsi seriamente certi problemi. Cordialmente.
@Armadillo
Infatti, mentre è sicuramente un segno dei tempi nominare l’ex AD di Macdonald come consulente per i BBCC (con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti). Comunque per spiegarle la mia vena polemica, mentre sono consapevole che non tutti i dipendenti dello stato operino con la dovuta correttezza, favorendo in questo modo lo sperpero di risorse, non condivido la critica a Settis, che potrà anche avere un atteggiamento elitario, ma sicuramente rappresenta l’ultima bandiera di chi ha a cuore la tutela del bene culturale.
Credo che anche lei segua questo mondo e penso che sia consapevole che l’atteggiamento dei privati, in questo momento storico, è ben lontano dal mecenatismo. Il bene culturale, spesso, intralcia la realizzazione di un’opera civile o pubblica e, dunque, viene vissuto come un disturbo o una maggiorazione di costi da parte dei privati. Se poi è un bene di valore, non ho ancora mai conosciuto un privato che abbia la sensibilità e lo spessore culturale per tutelarlo e favorirne la fruizione da parte delle “persone” che stanno a cuore a Nannipieri. Per questo credo che il futuro dei beni culturali sia nelle fondazioni, ad es. quella Italia Nostra che tanto fastidio procura al buon Nannipieri, veda ad es. http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=12275. Ave atque vale