Sergio Ricossa, 95 anni dalla sua nascita. Un ricordo
Il 6 giugno 1927 nasceva Sergio Ricossa. Fra i maggiori economisti italiani del secondo Novecento, accademico dei Lincei, ha insegnato Economia politica all’Università di Torino. Scrittore brillantissimo, è stato editorialista de La Stampa e poi de Il Giornale. Per lunghi anni è stato l’alfiere solitario, nel nostro Paese, di quelle stesse idee che oggi l’Istituto Bruno Leoni fa proprie e cerca di far crescere. Al momento della fondazione dell’IBL accettò di esserne Presidente onorario.
Un ricordo completo di Sergio Ricossa, venuto a mancare nel 2016, è disponibile cliccando qui. In occasione del novantacinquesimo anniversario della nascita, lo ricordiamo con un’interessante intervista da lui realizzata nel 1980, a pochi mesi dalla vittoria elettorale della signora Thatcher, con Ralph Harris (1924-2006), fondatore dell’Institute of Economic Affairs.
Se il cittadino fosse un gatto.
Lord Harris parla di tasse, evasori e burocrati
Il signore che mi sta di fronte e alterna la pipa al sigaro è inconfondibilmente inglese a prima vista. Le parole gli escono di sotto i baffi cariche di nicotina e di humour. È Lord Harris di High Cross, uno dei principali consulenti economici della signora Thatcher e direttore dell’Institute of Economic Affairs: per gli amici è Ralph. Nominato pari d’Inghilterra, dovette scegliersi, secondo l’uso, un nome addizionale che avesse attinenza con la sua vita e la sua opera: scelse appunto High Cross, che è un mercato di Londra. Lui è londinese di Tottenham, e grande difensore dell’economia di mercato: tutto quadra.
È in Italia avendo partecipato ad un convegno del Centro Italiano di Documentazione Azione e Studi (Cidas). Gli pongo la prima domanda sul convegno, che riguardò la materia fiscale.
I lamenti del contribuente italiano sono gli stessi del contribuente inglese?
Mi è parso di capire che siano gli stessi. Le imposte sono troppe e troppo ingiuste sia qui sia là. Sono le stesse anche le cause di questi eccessi fiscali: i politici sottraggono libertà alle famiglie, si sostituiscono ai privati e spendono i soldi dei privati con grande gusto. Chi non proverebbe gusto a spendere i soldi degli altri?
Perché i privati non si oppongono?
Cresce il dissenso, ma ormai occorre niente meno che una riforma della democrazia per essere governati meglio. Come scrisse l’Economist, “nei paesi di lingua inglese il sistema di governo sta andando in pezzi”. Entriamo in una libreria a Londra, e leggiamo titoli di questo genere: “Democrazia in deficit”, “La malattia statale”, “Il futuro che non funziona”, “Morte della democrazia britannica”. Gli autori non sono brigatisti rossi, ma sono cittadini leali amanti della libertà, insoddisfatti di limitarsi a dare un voto ogni tre o quattro anni, scegliendo tra due o tre partiti che fanno a gara nel promettere cose mirabolanti, senza indicarne il costo, senza l’obbligo di indennizzare i cittadini qualora, come spesso accade, i politici facciano fiasco.
La diagnosi vale anche per l’Italia?
Vale per quasi tutto l’Occidente. L’Italia, per esempio, ha copiato il nostro servizio sanitario pubblico, che è un disastro. I nostri malati talvolta rimpiangono di essere uomini e donne, non bestie. Se fossero cani e gatti sarebbero curati da veterinari privati, e cioè con la superiorità che i servizi privati hanno immancabilmente su quelli pubblici. Ecco il punto al quale siamo ridotti.
Ci sono evasori fiscali anche in Gran Bretagna?
Da noi l’evasione è ufficialmente stimata pari al 7 o 8 per cento del reddito nazionale. Ma attenzione: una ricerca econometrica ha rivelato che il costo marginale di una sterlina di entrate pubbliche è circa tre sterline in termini di effetti disincentivanti. Ne consegue che l’evasione fiscale può essere meno dannosa all’economia e perfino alla pubblica amministrazione di quanto si presume comunemente. Per questo il governo Thatcher ha deciso di ridurre le aliquote dell’imposta progressiva sul reddito. Ma simultaneamente bisogna ridurre le spese pubbliche, se si vuole essere sicuri che i contribuenti siano meno spremuti.
Qual è il principale ostacolo?
È che molti si sono abituati a vivere a spese dello Stato, contando forse di ricevere più di quanto pagano. È anche l’opinione (errata) che i poveri ne soffrirebbero. Ma questo non è vero. Se una sterlina di servizi pubblici (solo apparentemente “gratuiti”) costa in effetti più di una sterlina e fornisce alle famiglie una soddisfazione interiore a quella ottenibile spendendo una sterlina sul libero mercato dei beni di consumo, vi è spazio per una profonda revisione dell’attività statale senza offendere i poveri, anzi soccorrendoli meglio.
Qual è dunque la proposta?
Per cominciare, è semplice: non dare aiuti in natura, ma in denaro, e che la gente lo spenda sul mercato come vuole. Se lo Stato o il comune fornisce a tutti i bambini il trasporto “gratuito” tra casa e scuola, lo “regala” anche ai bambini ricchi. Se invece lo Stato o il comune si limita a dare un sussidio alle famiglie povere, spende meno, lascia che il trasporto avvenga in concorrenza fra imprenditori privati desiderosi di servire bene la clientela, rende gli autobus meno affollati, e permette alle famiglie di spendere il loro denaro come meglio credono.
Perché una proposta tanto semplice non trova applicazione immediata?
Non sottovalutiamo gli ostacoli. C’è la resistenza dei burocrati, che temono di perdere il posto e i privilegi. C’è la resistenza dei politici, che temono di non potere più fare il presidente dell’ente per i trasporti scolastici. C’è la fobia dei socialisti per il mercato. Ora in Gran Bretagna è al governo il partito conservatore: ma anche questo partito ha ciò che in Italia chiamate le “correnti”. Voglio dire che ha un’ala sinistra, la quale raggruppa politici che non saprei chiamare se non “conservatori socialisti”.
Farà in tempo la signora Thatcher, il cui esperimento seguiamo in Italia con molta attenzione, a realizzare i suoi programmi?
Credo di non sbagliarmi e di non essere indelicato rivelando che la signora ha poco più di cinquant’anni, e che quindi ha decenni di tempo fino a ben oltre i settant’anni. È una donna piena di determinazione, intrepida. Nessuno meglio di lei potrebbe riuscire. Ma capisco che la domanda voleva dire: la Thatcher sarà rieletta? I suoi peggiori nemici non sono uomini cattivi, ma uomini pieni di buone intenzioni, i cui fini possiamo anche condividere, non i mezzi che usarono dalla fine della guerra in poi. Quei mezzi furono fallimentari, e gl’inglesi lo sanno. La Thatcher è alla ricerca di mezzi diversi e nuovi: non si può presumere che trovarli, applicarli e averne gli effetti sia cosa immediata. Essa tuttavia è dalla parte del futuro, è già fra i “liberisti del secolo XXI”, come li chiama il premio Nobel Milton Friedman.
Dunque, niente ritorno al XIX secolo.
Tutt’altro, sebbene il secolo scorso non meriti la cattiva fama che lo circonda. Ebbe anche il merito di prevedere esattamente molti dei nostri guai presenti. Cent’anni fa un economista tedesco poco noto, Adolf Wagner, formulava la legge della spesa pubblica crescente quando i governi spendevano appena il 5 o 10 per cento del reddito nazionale. Ora siamo al 50 o 60 per cento: Wagner aveva ragione. Ma c’è un limite: neanche nell’Unione Sovietica il governo riesce a spendere più del 100 per cento del reddito nazionale. O forse sì? Non vorrei che i prestiti concessigli stupidamente dai paesi capitalisti glielo permettessero.
L’intervista è terminata. Sul cappello di Lord Harris il distintivo di un clan scozzese col motto: “Pro libertate”. Guarda dove è andato a finire il latino. Mi ricordo che anni fa, per scherzo, egli pose lo stesso cappello sulla testa di Adam Smith, o meglio sulla statua che raffigura il grande economista nella sua città natale di Kirkaldy, in Scozia. Sono sicuro che l’anima di Adam Smith, se lo vide, non si offese.
(20 maggio 1980)
La casa editrice dell’Istituto Bruno Leoni, IBL Libri, ha ripubblicato due importanti saggi di Sergio Ricossa: Straborghese e I fuochisti della vaporiera. IBL ha inoltre di recente promosso la traduzione in lingua spagnola del capolavoro di Ricossa, La fine dell’economia: El fin de la economía (Unión Editorial, 2022)