Senti “Neapolitan Contamination” e poi vivi
Confesso che non ho mai avuto grande passione per la canzone napoletana, ma la canzone napoletana contaminata da altre sonorità… oh, yeah!
“Neapolitan Contamination” è l’ultimo cd degli Arthéteca Project, il gruppo nato nel 2008 dall’intuizione di Pino Azzardo e Stefano Mecca con un obiettivo particolare assai: quella di reinterpretare la musica tradizionale napoletana in modo tale da restituirle una vitalità arricchita dal confronto, dal miscelamento, con altre culture e tradizioni. E’ in questa prospettiva che nasce “Neapolitan Contamination”, il concerto ideato da Luigi Carbone (che si distingue per i suoi virtuosismi all’Hammond), di cui qui potete trovare un assaggio.
Qual è il senso dell’opera? E’ riscoprire una verità evidente se si guarda al mondo attorno a noi, ma spesso dimenticata nel dibattito nel quale siamo immersi. Una verità che la città di Napoli in qualche modo incarna, attraverso la sua vitalità, la sua storia, il meglio e il peggio di sé così come il meglio e il peggio dello stereotipo che la accompagna. “Napoli – si legge nell’introduzione al libretto che accompagna il Cd – è un luogo dove la contaminazione ha potuto operare con particolare vivacità… La città assorbe questa contaminazione come una spugna, se ne nutre, la metabolizza, poi la libera e la diffonde, esportando ‘napoletanità’ in tutto il mondo e in qualche modo restituendo, arricchito, a ciascuno il messaggio di una civiltà che ciascuno ha contribuito, in parte, a creare”.
Nel ragionamento di Carbone (autore del libretto) e nell’interpretazione di Arthéteca Project civiltà e contaminazione sono sinonimi: perché la civiltà è sviluppo, crescita, miglioramento, e nessuna di queste cose può prescindere dalla socialità, dalla cooperazione (la competizione è cooperazione, nell’ordine esteso di Hayek), dal confronto, dal “meticciamento” tra individui, culture, popoli e pensieri (per dare un significato positivo a un termine spesso, e a torto, usato negativamente). Anche la musica è oggetto, protagonista e strumento di civiltà e contaminazione.
In che modo avviene questa “Neapolitan Contamination”? La scelta del complesso è originale e coraggiosa: vengono riproposte quindici canzoni, che ripercorrono 5 secoli di storia della musica napoletana (la canzone più antica, Michelemmà, risale al Seicento, forse prima). Ciascun pezzo viene ibridato secondo un’influenza diversa, cercando punti di contatto o di contrasto: “si parte dall’America del Nord (dal più antico genere gospel fino al funky, passando per lo swing, il jazz, il blues, il 5/4 di Take Five); si scende ai Caraibi, in Giamaica e a Cuba (con un trio di pezzi calypso, reggae e salsa) e poi in Argentina con il tango; si attraversa l’Atlantico e, sempre restando nell’emisfero australe si arriva in Africa; infine si approda in Europa, prima in Spagna (con il flamenco) e poi finalmente nell’Italia moderna (con un omaggio allo stile di Fred Buscaglione)”. L’accostamento deriva ora dal ritmo, ora dal significato, ma è sempre istruttivo e orientato all’arricchimento reciproco. I testi stessi delle canzoni vengono riprodotti, ricostruiti e commentati, per restituire un’immagine aperta del futuro, visto come serbatoio di opportunità. Come nella celeberrima “Funiculì funiculà” (reinterpretata attraverso gli echi del Kilimangiaro), che alla fine dell’Ottocento celebrava la funicolare del Vesuvio, disinnescando le loro paure: “lo ffuoco cicem na su fuje, e nun te corre appriesso e nun te struje sulo a guardà”.
Il risultato è uno straordinario matrimonio di suoni, di ambienti e di atmosfere, dove il contrasto già implicito nella canzone napoletana – la profondità struggente dell’amore, la nostalgia che attraversa ogni nota, la leggerezza, l’ironia, il peso del male sempre in agguato, la paura e la spensieratezza – risulta amplificata dagli stili e dalle sonorità che vi vengono innestate. E’ il nome stesso del gruppo a fornire un’interpretazione di questo fenomeno, che spinge ogni battuta a vibrare assieme a chi ascolta: “La parola artéteca (noi abbiamo aggiunto solo l’acca) in napoletano descrive uno stato si irrequietezza, di movimento continuo… Da qui l’idea di muovere le cose, di stimolare il cambiamento, sviluppo, civiltà attraverso l’arte, grazie al lievito della contaminazione. Per un’energia che viene generata dalla curiosità e dalla tolleranza”. Un futuro, quello racchiuso in queste canzoni del passato mescolate con altri ritmi antichi e recenti nel nome di una modernità rivendicata, verso il quale bisogna muoversi con la voglia di fare le cose perbene.
Oh, yeah. Anzi, Jammo, jammo, ‘ncoppa jammo ja’…