6
Feb
2012

Se la crisi è nella testa – di Antonio Masala

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Antonio Masala.

Una delle caratteristiche della presente ossessione riguardo la crisi economica è la fissazione per i numeri. Intendiamoci, un po’ è logico essere ossessionati dalla crisi, e certamente i numeri sono imprescindibili per capirla e risolverla. Tuttavia concentrarsi solo sugli indicatori numerici, sulle macro analisi, sullo spread e i punti di Pil ci fa correre il rischio di pensare che l’economia si risolva nella finanza, e che i debiti degli stati siano gli unici componenti rilevanti per l’economia. Rischia insomma di farci dimenticare una verità semplice che gli economisti del passato sapevano, ma che oggi molti sembrano aver dimenticato: l’economia reale, la crescita economica, la fanno le persone. E l’essere umano, per definizione, è una creatura che sa reagire e adattarsi alle opportunità come alle difficoltà. Ecco perché non è inutile guardare all’aspetto umano per leggere le cause e le possibili vie d’uscita dalla crisi.

Riguardo le cause. Si è parlato tanto degli speculatori, delle banche che immettono titoli “tossici” ecc.

La solita litania sul mercato senza etica e senza regole, e sulla immancabile necessità di introdurre più regole e più etica. Ma cosa c’è davvero dietro la crisi, in termini di attitudine umana? C’è l’avidità degli operatori economici che deve essere “regolamentata”? Il dato storico innegabile è che il processo di regolamentazione dell’economia cresce ininterrottamente da ben oltre un secolo, e le (rare) parentesi liberali sono state soltanto un rallentamento di quella crescita. Questa economia regolamentata ha indotto a credere che, con lo stato al nostro fianco, il sistema non potesse fallire. Così facendo ha deresponsabilizzato un po’ tutti, inducendo ad esempio le banche a immettere titoli spazzatura e prestare soldi a chi non poteva restituirli. Tanto poi la ricchezza si moltiplica e nessuno se ne accorge, o se malauguratamente qualcuno lo comprende interviene lo stato a salvare la situazione. Pur senza voler negare la cattiva fede di alcuni operatori economici non si può altresì negare che uno stato interventista e iper-regolatore alteri la percezione e il calcolo del rischio, che come si sa è la componente (umana) fondamentale nel processo di crescita economica.

Riguardo le vie d’uscita. È evidente che con la crisi economica c’è pessimismo e meno voglia di rischiare e intraprendere, e dunque la crisi esiste nella testa delle persone prima e più che nei dati economici. Tuttavia gli operatori economici, nonostante la crisi, non hanno dimenticato che un prodotto innovativo può avere successo, o che un miglioramento nel processo produttivo può consentire di fornire lo stesso prodotto a un prezzo più basso. Insomma sanno che, anche in tempi di magra, se fanno bene il loro lavoro, in qualche modo le cose si possono sistemare. Non ci sono solo i macro fattori, ma anche le scelte imprevedibili degli uomini. L’essere umano si sa adattare alle difficoltà, e proprio da questa sua capacità di adattarsi possono venire fuori, imprevedibilmente, i benefici collettivi. Se alle persone si dice in modo chiaro che devono pensare da sole a risolvere i loro problemi personali, e se vengono lasciate libere di farlo perché il fardello statale non è troppo pesante, ci sono ottime possibilità che ci riescano.

Ecco perché per superare la crisi bisogna smettere di pensare solo a come aggiustare i numeri e avere invece più fiducia negli uomini, creando le condizioni perché possano uscirne con le proprie gambe. Cosa che si può fare in un modo soltanto: lasciandoli liberi.

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10 Responses

  1. Andrea

    Purtroppo, però, gli statalisti sono anche paternalisti. E, soprattutto, dei pessimisti. Non hanno alcuna fiducia nel prossimo. E, convinti come sono di avere in testa la soluzione giusta per il bene di tutti, si comportano come genitori oppressivi. A molti, va anche detto, va benissimo così. Meno libertà significa anche meno responsabilità. E molti Italiani non vogliono altro. Ahimè!

  2. lionello ruggieri

    Due citazioni dal brano pubblicato rendono inutile ogni altro commento: 1) “in qualche modo”. un valido e chiaro programma; 2) “possono venire fuori, impreveddibilmente,….” Una concreta visione su basi concrete. Queesto non è liberismo, né null’altro è una fideistica speranza basata sul nulla. FGorse io non ho capito, ma credevo si stesse parlando di economia e di gestione dlla cosa pubblica.

  3. Concordo pienamente… la crisi si supera innanzitutto partendo dall’uomo, ahime’, nel bene e nel male… è sempre stato cosi’ nella storia, e sara’ sempre cosi’ !!! sicuramente quello di Masala è un punto di vista assolutamente condivisibile. Da dove partire, dunque ?? Ognuno cominci a fare bene quello che deve fare…. e vedrete che incremento di PIL …..

  4. Vincenzo

    @Lionello Ruggeri
    Una delle caratteristiche del liberale è proprio quella di non avere certezze, perché sa che ogni essere umano è unico e completamente soggettive le sue scelte.
    La regola del liberale è quidni quella di non intralciare il percorso di ricerca di ognuno, ponendo l’unico limite che la libertà di uno non vada a discapito della libertà dell’altro.
    Ecco perché “in qualche modo” e “possono venire fuori, imprevedibilmente”.

  5. Sergio

    La libertà produce anche debito pubblico di 3 milioni di miliardi di Lire. Nel 1988 circa, era di 1 milione di miliardi. La libertà s’è rivelata indisciplina, in quel caso contabile; ma anche l’indisciplina è cosa auspicabile: 1) indisciplinati verso gli obblighi della Nato; 2) indisciplinati verso i rituali del consenso (Vespa, De Bortoli, Santoro, Gad L., Ballarotto, Scalfari) 3) indisciplinati verso l’obbligo di pagare il petrolio in dollari 4) indisciplinati al momento di pagare stipendi e finanziamenti a circa un milione di italiani.

  6. Tony64

    Concordo su tutto. Preciso però che un largo substrato dell’economia reale italiana è formato da aziende micro o piccole (come la mia, 5 mln € di fatturato, 35 persone, elettronica per automazioni) che fanno innovazione, che continuano a credere nella produzione fatta al 100% sul territorio (le Marche), che hanno superato la tempesta 2008/2009 continuando ad investire e che:
    1. Non hanno ricevuto 1 € da nessuno
    2. Hanno un carico fiscale/costo del lavoro insostenibile
    3. Combattono tutti i giorni con la complicatezza delle norme (certificazioni di prodotto, di processo etc.)
    4. E devono vedersi sfilare davanti i balletti rosa del Sistema Italia basato su sprechi, ruberie, inefficienze, collusioni tra poteri (politici, mafiosi, economici).
    A questo punto chiedo:
    1. Meno carico fiscale sulle aziende: in questo modo, a valori costanti, potremmo avere più risorse da dedicare all’innovazione di prodotto, unica risorsa che abbiamo contro lo strapotere di aziende del far east dove il costo del lavoro è 1/10 e dove nessuno si preoccupa di certificare nulla…e forse più soldi da mettere nelle buste paga dei dipendenti.
    2. Abbattimento del costo dell macchina pubblica. Recupero di efficienza della stessa.
    3. Più servizi: infrastrutture (sia reali, come strade, aeroporti, treni; che virtuali, la banda larga).
    Insomma, un livello di vita simile ai Paesi civili del nord Europa (Germania, Svezia, Danimarca)…non la Luna…

  7. Marco Tizzi

    Mi dispiace, ma non condivido affatto questa visione “psicologica” della crisi in atto. La crisi è e resta una crisi di sistemi monetari che stanno prendendo direzioni opposte: mentre USA, U.K. e Giappone, quest’ultimo ormai sistemicamente, hanno deciso di curare una recessione con il deficit, la zona Euro ha deciso di curarla con l’austerità.
    Non ci voleva un genio per capire che non può funzionare. La Grecia ce lo mostra, ma il Portogallo ancor di più, perché dire che avesse responsabilità mi pare davvero una presa in giro. Così come non serviva un genio per capire che una moneta “fiat” ha bisogno di un prestatore di ultima istanza per funzionare.

    Ci stanno chiedendo, a noi cittadini, di pagare il debito pubblico. Bisognerebbe chiedersi innanzitutto: questo ha senso?
    E’ ovvio che in USA, U.K. e Giappone nessun cittadino pagherà mai il debito pubblico: si cercherà di crescere, a costo di stampare moneta a tonnellate. Ora, questa può essere una buona soluzione oppure un suicidio, a seconda delle visioni (sia chiaro che l’una o l’altra hanno grosse schiere di fan), ma dobbiamo chiederci: se davvero è un suicidio, siamo certi che l’austerità Europea possa salvarci? Cioè: se davvero saltano in aria dollaro, yen e sterlina, noi possiamo sopravvivere serenamente perché abbiamo fatto austerità? Io credo che il solo pensare una cosa del genere sia una follia.

    L’Europa dovrebbe sostituire la spending review ai tagli alla spesa e un sistema di premi al sistema delle multe, che tanto non funziona. E l’euro dovrebbe scegliere definitivamente se essere una moneta “hard”, quindi con un controvalore reale e senza riserva frazionaria, o una moneta “fiat”, quindi con un prestatore di ultima istanza.
    Gli ibridi non funzionano, soprattutto se si prende solo il peggio da tutti i sistemi possibili.

    Quando leggo che si dovrebbe fare come “Germania, Svezia o Danimarca”, mi salta subito all’occhio che stiamo parlando di tre Stati che hanno la propria moneta. Perché l’Euro è una moneta tedesca, non ci prendiamo in giro: se la Germania dovesse pagare il 5% sui suoi bond state sicuri che uscirebbe all’istante dall’euro.
    Non credo sia un caso che per funzionare uno Stato debba avere una moneta. Quindi o si fa lo Stato Europa o è ora di tornare alle nostre monete: a quel punto starà a noi costruirci intorno un sistema funzionante, gestito da persone oneste e competenti. Non ci siamo riusciti in 150 anni, è giunta l’ora.

    Solo una notazione: si parla tanto di debito pubblico, per motivi più politici che reali. Guardiamo il debito nella sua complessità, valutiamo il debito esterno (detenuto da stranieri) nella complessità (pubblico + privato).

    L’Irlanda ha 520 000 dollari di debito esterno pro capite.
    U.K. 145 000 dollari di debito esterno pro capite.
    Olanda 226 500.
    Norvegia 130 000.
    Danimarca 101 000.
    Svezia 91 000.
    Svizzera 154 000.
    Francia 74 000.
    Germania 57 000.

    “Pro capite” include vecchi e bambini. Vi sembrano cifre che possano in qualche modo essere ripagate?

    Ah, dimenticavo: Italia 37 000. Giusto per capire che i numeri, a seconda di come li guardi, son capaci di regale sorprese.

  8. Sergio

    Dimenticate tutti che c’è un Signore della guerra, che da 40 investe in armamenti e che grazie al Pentagono obbliga tutti ad inginocchiarsi al Dollaro e che può spendere a deficit e mandarti a bombardare la Libia e tra poco la Siria e l’Iran. E noi stiamo qui a fare i replicanti via email delle ciance di economisti che una ne indovinano e cento ne sbagliano!

  9. pietro27

    ottimo intervento Marco, però voci come questa sono voci nel deserto… l’articolo è cominciato bene poi non ho capito cosa proponeva… partire dall’uomo significa riconoscere cose importanti: vitto, alloggio, cultura, salute, comunicazione ecc. cioè la vita di un uomo che senza libertà economica non può esistere e questa libertà economica si ha solo con il reddito di cittadinanza, come oggi esistono le pensioni, domani può esistere uno stipendio per tutti che comporta un’economia più equilibrata. Se viceversa per mantenere i banchieri dobbiamo morire di fame… beh questa visione di tipo nazista la lascio ai tanti economisti che ci stanno rompendo dalla mattina alla sera con lo spread, i titoli, i future, l’altalena della borsa e via dicendo…

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