Se anche il Burkina-Faso gioca al dumping fiscale
Incontro George in treno (dove trascorro una parte rilevante della mia esistenza) e mi racconta la sua vita di emigrato ghanese finito a lavorare nella Bergamasca. È operaio presso un’azione che commercia sabbia: “lavoro da questo padrone ormai da nove anni e mi vuole tanto bene”.
Ogni cinque mesi, mi racconta, torna a Kumasi (“è la seconda città, un po’ quello che Milano è in Italia…”) e approfitta del viaggio per fare un po’ di commercio e pagarsi il biglietto aereo. Infatti, ogni volta prende a nolo un container che riempie di beni che poi vende nel suo Paese.
Recentemente – mi spiega – ha comprato da noi anche una vettura usata (costo: 2.600 euro), ma quando il container spedito a Genova è arrivato ad Accra egli ha dovuto pagare ben 2.000 euro alla dogana.
Che fare, quindi?
George è ingegnoso, conosce tanta gente, si definisce un buon cristiano (è un evangelico pentecostale) e quindi ha grande facilità nel raccogliere informazioni. Così è riuscito a sapere che in Burkina Faso lo stesso sdoganamento costa assai meno: solo 200 euro. La volta prossima, confida, il container si limiterà a passare nel porto di Accra, in transito, e arriverà a destinazione invece solo nel paese confinante a Nord. Da lì egli troverà sicuramente il modo di smistare a piacere la merce di provenienza italiana.
Ora mi sorge un dubbio.
Da mesi ci sentiamo ripetere che il più grave problema del mondo sono i “paradisi fiscali”, ossia quei sistemi legali che adottano una pressione fiscale e anche regolamentare inferiore. Paesi che fanno dumping fiscale e sono abitati da gnomi cattivi (che sono cattivi per definizione), i quali affamano la gente e rendono impossibile la sopravvivenza dei nostri amati welfare State.
La vicenda che mi riferisce George, mio compagno di viaggio nelle carrozze di Trenitalia, ci presenta invece un povero immigrato di colore che finisce per sbattere la testa contro la persecuzione fiscale del dispotismo africano e, per evitare tutto questo, trae beneficio dalla bassa fiscalità del Burkina Faso: che non è certo la Svizzera d’Africa, dato che il reddito medio pro-capite è soltanto di 100 dollari al mese.
Il Burkina Faso adotta tasse doganali assai inferiori rispetto al Ghana e in questo modo dà una mano a George. Ma quest’ultimo, con la sua “defezione” dal sistema fiscale ghanese, manda un segnale importante ai governanti di Accra, e se molti lo seguiranno (se molti salteranno il porto ghanese per sdoganare i loro container altrove) in Ghana si sarà presto costretti a ridurre questa forma feroce di tassazione: in modo tale da ricuperare la propria base imponibile.
In conclusione, alla luce di tale racconto di vita vissuta ha ancora senso prendere sul serio le tesi anti-mercatiste gridate ai quattro venti dai nemici della globalizzazione e dei paradisi fiscali (una lista in cui, di recente, sono state inserire perfino il Regno Unito e l’Austria)? Per quello che vale, io sto dalla parte di George, piccolo grande eroe del capitalismo selvaggio.