20
Lug
2023

Scuola, il nodo dell’alta formazione degli insegnanti come motore della riforma

di Giovanni Cominelli

L’articolo è stato originariamente pubblicato sul sito Santalessandro.org, settimanale della diocesi di Bergamo

La Gazzetta ufficiale del 30 aprile 2022 annunciava l’istituzione della Scuola di Alta formazione del sistema nazionale pubblico di istruzione, posta sotto la vigilanza del Ministero dell’Istruzione. L’istituzione della Scuola era stata progettata “a norma di PNRR “, all’epoca del Governo Draghi.

Che cosa fa la Scuola di Alta formazione?

a) Promuove e coordina la formazione in servizio dei docenti di ruolo, in coerenza e continuità con la formazione iniziale… nel rispetto dei principi, del pluralismo e dell’autonomia didattica del docente;

b) dirige e indirizza le attività formative dei dirigenti scolastici, dei direttori dei servizi amministrativi generali, del personale amministrativo, tecnico e ausiliario;

c) assolve alle funzioni correlate al sistema di incentivo alla formazione continua degli insegnanti.

Il 28 giugno di quest’anno è stato firmato dal Sottosegretario Alfredo Mantovano il Decreto che, su proposta del Ministro Valditara, nomina Giuseppe Bertagna quale Presidente dell’Alta scuola. Si tratta di una figura nota nell’universo dell’istruzione degli ultimi quarant’anni.

Già coinvolto nella Commissione Brocca, negli anni ’90, è stato Direttore del Dipartimento di Scienze umane e sociali dell’Università di Bergamo, ispiratore della Riforma Moratti, quale è condensata nella Legge n. 53 del 28 marzo 2003 e nella Legge n. 230 del 4 novembre 2005, n. 230. Di formazione pedagogica cattolico-personalista, di area cattolico-liberale, da sempre vicino a Forza Italia, senza tessera.

L’idea di partire dalla formazione degli insegnanti per avviare la riforma del sistema di istruzione, i progetti della quale riempiono gli archivi del Parlamento, è ottima. Nella complessa architettura del sistema di istruzione, i suoi quattro pilastri – Curriculum, Governance, Ordinamenti, Personale – sono tutti necessari allo stesso modo. Ma ce n’è uno “più necessario degli altri”: è quello del Personale.

Formazione, reclutamento, carriera dei docenti determinano la qualità del sistema di istruzione. Da esso dipendono la quantità di sapere di civiltà trasmesso ai nostri ragazzi e la formazione del loro carattere, la qualità civile della società civile e della classe dirigente del Paese, politica, economica, amministrativa.

Il sistema di educazione/istruzione è la spina dorsale della società civile. E gli insegnanti ne sono il midollo. Che i docenti svolgano una funzione civile e politica decisiva è difficile negare. L’intero modello di educazione/istruzione, a partire dalla Ratio Studiorum dei Gesuiti del 1599, affida al docente una centralità assoluta.

Lo aveva ben compreso Giovanni Gentile, quando all’indomani della Prima guerra mondiale e dell’ingresso di vaste masse nell’arena sociale e politica del Paese, volendo costruire una statualità più larga di quella liberale – obiettivo comune di Popolari, Socialisti e Nazional-fascisti – per poter conferire una forte identità e ruolo alla Nazione, assegnò all’insegnante la missione, nientedimeno, che del “farsi Spirito” e del “costruire lo Spirito” – cioè Stato/Nazione – nel rapporto educativo con l’allievo. La regolamentazione ministeriale-amministrativa del ruolo era solo l’involucro protettivo di questo nucleo profondo. Il rapporto educativo era definito come “un’unione spirituale che lega insieme due spiriti”.

Una conseguenza di questa posizione era che “non si insegna ad insegnare”, giacché “il metodo è il maestro”. Insegnare era “una vocazione”: o ce l’hai o non ce l’hai.

Caduta la metafisica gentiliana, che il personalismo e il deweysmo hanno messo in crisi, e disciolto anche il suo corollario pedagogico autoritario – se lo “spirito” del Maestro è superiore rispetto a quello dell’allievo, a costui non resta altro che identificarsi con il Maestro – è rimasto il fatto che a insegnare non si è mai insegnato. L’accesso massiccio all’istruzione e la domanda repentina e imprevista di insegnanti hanno portato al reclutamento altrettanto massiccio di insegnanti e di decine di migliaia di precari ai quali nessuno ha mai insegnato a insegnare.

L’art. 27 del Contratto collettivo nazionale – CCNL – del 2016 indica ben 10 competenze-chiave del profilo professionale del docente: disciplinari, informatiche, linguistiche, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di orientamento, di ricerca, di documentazione, di valutazione.

La Laurea magistrale le può forse fornire tutte, eccetto quella decisiva: la capacità di stare in classe.

Ben venga, dunque, una Scuola di Alta formazione. Quanto questa complessa macchina, quale delineata nel Decreto, anch’essa ennesima articolazione interna dell’apparato ministeriale, sarà in grado di entrare in contatto con le domande e con le necessità del sistema di istruzione resta da vedere.

Perché un interrogativo resta cruciale: dove accade questo miracolo di San Gennaro dell’apprendimento a insegnare? Che cosa trasforma un semplice laureato in un insegnante? Non si può dire che questo accada nelle Facoltà di Pedagogia e di Scienze della Formazione, le quali, nell’ipotesi migliore, offrono buone teorie sulla personalizzazione, sulle tappe dell’età evolutiva ecc…, sulle tecniche e sulle nuove tecnologie didattiche, ma, inevitabilmente, “la grammatica” e “la pratica” restano due dimensioni diverse.

Il fatto dal quale partire è che l’insegnante impara ad insegnare sul campo, cioè a scuola. Ogni insegnante è un apprendista nella bottega artigiana, nel laboratorio professionale scolastico, dove ci sono insegnanti che si sono fatti le ossa, hanno imparato a insegnare sulla pelle propria e su quella dei loro alunni.

Ci sono insegnanti iniziali, insegnanti di lunga marcia e insegnanti esperti. Gli ultimi e i penultimi sono in grado di insegnare ai primi i passi, gli ostacoli, le “furbizie” del mestiere.

Si chiamano tutor, formatori dei formatori. La figura del “tutor scolastico” è comparsa nella Legge 107 del 13 luglio 2015 – la Buona scuola -, agli articoli 117 e 129, e nel DM 850 del 27 ottobre 2015 e nel Dlgs 59 del 13 aprile 2017. È da questa esperienza reale, carsica e preziosissima, che occorre partire per impiantare una Scuola di Alta formazione, che non si riduca all’ennesima Direzione generale del Ministero.

Tuttavia le condizioni per una sua implementazione stanno tutte all’esterno del “sistema ministeriale”. La prima condizione consiste nel conferire il potere alle autonomie scolastiche di assumere provvisoriamente, di sottoporre a tirocinio, di valutare e di assumere definitivamente solo l’insegnante che ritengano capace e di licenziare quello già in servizio rivelatosi incapace.

Senza questo potere, è impresa disperata quella di un Dirigente che voglia dirigere effettivamente una scuola, dovendo disporre di personale che gli viene assegnato dalla lotteria burocratica.

La seconda condizione è quella del riconoscimento per via politico-legislativa di funzioni, carriere e stipendi differenziati dei docenti.

La terza è l’abolizione dei concorsi centrali ministeriali. Non va in questa direzione il nuovo Contratto Collettivo firmato in questi giorni al Ministero con i Sindacati. Contiene aumenti di stipendio e molte novità, politically correct, compresi i bagni neutri e le identità alias per i docenti trans, ma le tre condizioni sopra elencate mancano. I sindacati della scuola si confermano ormai come una potente corporazione conservatrice del veto.

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