Sarà ripresa lenta, avara di occupati, e Letta ha le sue colpe
Ieri il presidente del Consiglio ha detto un’assoluta verità, parlando dell’ipotesi di un autunno caldo perché non ci sarà ripresa dell’occupazione. Lo ha fatto anche per ragioni politiche, dovendo tenere alta l’insostituibilità dell’attuale esecutivo, poiché la mattinata di ieri era cominciata con un nuovo ultimatum di Berlusconi sull’abrogazione dell’IMU, e di fatto la pausa politica estiva avviene mentre resta pesantissima l’incognita di che cosa avverrà a settembre, dopo la condanna di Berlusconi. Non a caso, ieri Letta ha esplicitamente previsto che, anche in caso di voto anticipato, si tornerebbe con ogni probabilità a larghe intese. Come a dire che sarebbe inutile votare, visto che il pallino tornerebbe a lui più che a ogni altro esponente del Pd che, come Renzi, parla invece esplicitamente della convergenza col Pdl come di una parentesi obbligata ma assolutamente da non ripetere.
Ma torniamo all’occupazione. Non è prudenza ma amara verità, mettere le mani avanti e dire agli italiani che non ci sono le premesse per un rilancio a breve del lavoro. Ma allora, che ripresa è quella di cui molti parlano, Letta e Saccomanni compresi?
La ripresa che si annuncia è fatta attualmente di un miglioramento degli indici di ordinativi e fiducia delle imprese europee e anche italiane. I tassi di caduta reale delle attività sono diminuiti in Italia come in Spagna, mentre la Francia è risalita sopra quota zero. La Cina, che molto fa preoccupare, oltre che per l’attendibilità delle sue statistiche soprattutto per indicatori da mesi in caduta del suo tasso di crescita verso “solo” il 7% annuo, in questi giorni ha diffuso nuovamente buoni dati sull’export, domanda di metalli e produzione industriale, che nel mese di luglio è tornata a un +9,7% su base tendenziale annuale. In più, sia la FED americana sia la Bank of England hanno posto l’abbassamento della disoccupazione nei loro rispettivi paesi sotto il 7% come condizione prima del cui raggiungimento non muteranno le attuali politiche monetarie iperlasche e condotte al ritmo non solo di tassi d’interesse reali negativi, ma anche di pesanti acquisti di titoli sui mercati. Anche il Giappone va meglio, per effetto di analoghe manovre monetarie iper espansive. I mercati finanziari americani sono al massimo storico, tanto da far temere – giustamente – nuove bolle nei prezzi.
Che grandi banche centrali vincolino ormai la loro forward guidance a espliciti obiettivi di occupazione è un’ulteriore manifestazione delle opllitiche “non ortodosse” dell’innovazione monetria sotola linea zero dei tassi d’interesse. Apparentemente è cosa buona, ma per chi la pensa come noi – l’offerta monetaria deve tenersi lontana da influenze politiche, e guardare ai prezzi da una parte e all’output potenziale dall’altro – è mossa molto rischiosa: aumenta ancora l’influenza della politica sulle auorità monetarie; costituirà precedente per tenere più bassi i tassi rispetto a quelli naturali tutte le volte che la politica dirà che gli occupati da ragiungere non sono ancora stati conseguiti nella giusta misura; infine fa passare l’idea che gli occupati dipendano dall’offerta monetaria, mentre intensità e qualità dell’occupazione dipendono assai più da mix delle imprese, specializzazioni produttive, qualità del capitale umano, apertura ali mercati esteri, regole del mercato del lavoro, impatto quantitativo e qualitativo delle politiche di bilancio e fiscali, e via proseguendo.
In ogni caso quel che sta avvenendo di fatto è che dollaro, sterlina e yen, forti della loro sovranità monetaria alla quale noi abbiamo rinunciato, giocano a svalutazioni delle monete per trainare l’export. Noi invece nell’area euro abbiamo dovuto svalutare sui diversi mercati nazionali i redditi e i salari, e ciascuno lo ha dovuto fare con più durezza – Grecia, Italia, Spagna, Portogallo – a seconda di quanto maggiore fosse il gap di produttività e bilancia dei pagamenti nei confronti del Paese leader, la Germania.
Il risultato di questa somma di interventi straordinari ha fatto tornare a livello mondiale note di ottimismo. Mentre da inizio anno il Fondo Monetario Internazionale aveva ritoccato tre volte al ribasso la stima del commercio mondiale e della crescita planetaria, oggi potremmo tornare in questo 2013 a una crescita complessiva più vicina al 3,3 o 3,4% che al 3%.
Ma se dagli indicatori di fiducia e finanziari passiamo all’occupazione, il mondo avanzato resterà diviso da barriere molto nette.
Il quadro ce lo ha dato pochi giorni fa l’Ocse nel suo Outlook sull’occupazione. Nei Paesi avanzati, i disoccupati sono oggi 48 milioni, di cui 16 dovuti ai 5 ultimi anni di crisi. Nei Paesi Ocse il picco si raggiunse nel 2009 con un tasso di disoccupazione dell’8,5%, oggi siamo all’8% e a fine 2014 si prevede non scenderà sotto il 7,8%. Ma a questa media si giunge per il fatto che alcuni Paesi come Germania, Cile, Turchia e Israele hanno oggi meno disoccupati di 5 anni fa. Altri, come Austria, Giappone, Corea del Sud, Norvegia e Svizzera, restano sotto il 5%. Altri ancora, come Italia, Spagna e Grecia, sono e resteranno invece fuori linea. Per l’Italia l’Ocse prevede un ulteriore aumento dell’1% dei disoccupati nel 2014 rispetto al 12,6% a cui si dovrebbe chiudere il 2013, di poco superiore alla media europea. A realizzare peggioramenti dell’1% malgrado un possibile ritorno a frazioni di punto di crescita nel 2014, oltre all’Italia, sono Grecia, Spagna, Portogallo, Olanda e Polonia. Queste amare previsioni, per concludere, possono vedere a fine 2014 la disoccupazione giovanile passare dal 35% attuale italiano sino al 38-39%, mentre la Grecia, che già ha raggiunto la paurosa percentuale del 67%, sfonderà quota 70-75%.
E’ da una parte fisiologico, che la ripresa dell’occupazione segua a distanza di diversi trimestri la ripresa delle attività reali, perché bisogna scontare che la recessione esercita una selezione durissima tra migliaia di imprese che spariscono, e altre che razionalizzano negli anni di maggior difficoltà anche gli organici di occupati, oltre che struttura del debito e ogni altro fattore della produzione. Ma ci sono anche ragioni non fisiologiche, per le quali in Italia la possibile ripresa dell’occupazione andrà parecchio a rilento. Ragioni che sono profondamente connesse ai venti anni di mancate riforme alle nostre spalle, per le quali già prima della crisi avevamo tassi di crescita tra un terzo e la metà di quelli dei nostri partner. Da allora, abbiamo continuato a perdere competitività.
In sintesi estrema, pesano almeno quattro fattori. La percentuale elevatissima di imprese tra 3 e 5 occupati. Il cattivo andamento dei grandi gruppi, confermato dall’indagine Mediobanca rilasciata l’altro ieri sugli andamenti 2012. Terzo elemento, se l’export va bene e supererà i 500 miliardi nel 2013, non esportiamo certo il 45-46% del Pil come in Germania, e di conseguenza il calo terribile della domanda interna, dovuto alla perdita di reddito reale di famiglie e consumatori, si riverbera in cali del fatturato, della produzione e dei margini del più del Pil italiano, quello determinato dai servizi alle imprese e alle persone. Quarto, infine, ciò che di fatto ha determinato il calo tanto pesante della domanda interna, e cioè il mix di finanza pubblica seguito dal 2000 ad oggi, composto di circa 230 miliardi di aggravi d’imposta, di maggior gettito su lavoro e impresa, di aumenti di entrata tanto sui redditi che sui patrimoni, che infine attraverso l’imposizione indiretta sui consumi.
Era e resta questo ultimo, il punto sul quale attendere il governo Letta a una svolta vera, che consenta di accelerare la ripresa occupazionale. Mentre infatti per modificare mix, specializzazioni e patrimonializzazione delle imprese italiane occorrono tempi lunghi, liberalizzazioni decise nei servizi e abbattimenti d’imposta su lavoro e impresa attraverso tagli di spesa pubblica sono la vera cura per ottenere a breve più occupati. Molto più dei 18 mesi di incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato appena approvate nel cosiddetto “decreto del fare”.
In caso contrario, è inutile illudersi. Resteremo ancora per anni un paese che penalizza giovani e capaci. Letta lo sa benissimo. E un governo di grande convergenza doveva servire per fare questo, come accadde in Germania nei primi anni Duemila. Non per litigare su Imu e sentenze.
E corretto il titolo “ripresa” ? …. io starei sul ” tentativo di recupero lento ”
Saluti zara
D’accordo su tutto, ma mi sembra utile proporre due precisazioni/obiezioni che sono due facce della stessa medaglia:
1) innanzitutto cosa ha a che fare il lassismo delle politiche monetarie con l’occupazione?
Sembra averlo eccome, dal momento che sono gli investimenti tecnologici, produttivi e infrastrutturali i principali motori dell’occupazione e, senza quattrini in circolo, questi non si effettuano (come succede in Italia oggi).
Si potrebbe obiettare che ci sono altri modi di far affluire più direttamente il denaro alle imprese e alle grandi opere invece che alle banche e agli altri intermediari finanziari, ma dobbiamo ricordarci che il denaro affluisce a questi ultimi innanzitutto per permettere loro di comperare titoli pubblici (in tutto il mondo c’è lo stesso problema).
2) in secondo luogo quali sono le riforme necessarie perché anche da noi soffi il vento della ripresa?
Probabilmente di nuovo la scarsità di nuovi investimenti (penalizzati dalla ristrettezza del mercato nostrano dei capitali, da politiche fiscali vessatorie e dalla scarsità del credito disponibile) può essere annoverata tra le prime cause della debolezza del nostro tessuto economico, ferito tra l’altro da un’eccessiva frammentazione delle imprese (come viene giustamente fatto notare) ma che ha interrotto il processo aggregativo proprio per la fuga dei capitali dal nostro Paese!
Il fenomeno potrebbe forse in futuro essere mitigato da maggiori investimenti degli stranieri in Italia, ma questi ultimi puntano più che altro ad acquisire marchi del made in Italy e a non sottostare al gioco al massacro di un mercato del lavoro bloccato da eccesso di welfare (e di costi per sostenerlo).
Tra l’altro -da molte indagini- i problemi principali che frenano gli stranieri dall’investire nel nostro Paese sembrano risultare nella sfiducia nella nostra burocrazia e nell’inefficienza della macchina giudiziaria!
Perciò le mie due precisazioni portano a non sottovalutare l’importanza degli strumenti che possono ampliare la massa monetaria disponibile per l’economia reale (al netto di quella che ci viene sottratta per la monetizzazione del debito pubblico): senza di essi staremmo ancora peggio!!!
In teoria è possibile che l’Italia possa agganciarsi alla “ripresina mondiale” che coinvolgerà anche l’Europa. In fondo l’economia italiana può essere paragonata ad un treno merci in cui la locomotiva da 90 tonnellate (l’export) traina una massa di 1200 tonnellate di carri merce (il mercato interno). Purtroppo la nostra locomotiva oggi deve trainare altre centinaia di tonnellate di zavorra di spesa pubblica, burocrazia, ecc., cosa che le rende difficile far viaggiare il treno. Ovvio che riducendo la zavorra, le nuove condizioni dell’economia globale potrebbero favorire la “ripresina” anche in Italia.
E in pratica?
Dipende molto dalla stabilità politica. Ma il PD è in preda a convulsioni precongressuali e, molto probabilmente continuerà ad esserlo anche dopo il Congresso. Ormai mira ad elezioni anticipate a inizio 2014, pensando ad un centro destra messo fuori gioco da una discutibile sentenza emessa da una discussa corte. Elezioni significano due mesi di blocco per la campagna elettorale ed altri due in cerca di una nuova soluzione di governo. Significano anche l’ennesimo fallimento delle riforme costituzionali per cui ci terremo 630 deputati e 315 senatori che fanno le stesse cose (in rapporto con la popolazione USA dovremmo avere 87 deputati e 20 senatori), ci terremo un CSM autoreferenziale, ci dovremmo tenere le Provincie ed altre schifezze del genere. Inoltre, andando inevitabilmente verso elezioni anticipate, sarà difficile ridurre la spesa pubblica e ci dovremo tenere un sistema di tassazione recessivo.
Non escludo che Forza Italia possa giocare d’anticipo, anche perché l’aggressività del PD nei suoi confronti rende difficile proseguire il cammino; inoltre le convulsioni precongressuali del PD rappresentano un’opportunità tattica.
Purtroppo chi è felice che l’Italia non cambi, ovvero le n-corporazioni, continuerà a godere sul nostro impoverimento.
Tanto per girarle il coltello nella piaga : http://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2013/08/CS-governo-cade.pdf
Il governo letta è un male, ma è di gran lunga il male minore. Però si sta facendo di tutto per farlo cadere, soprattutto dal suo stesso partito che non vuole certo perdere l’appoggio dei boiardi che vogliono che nulla cambi.
Lei non sarà d’accordo, caro Giannino, ma per me il pessimismo resta assolutamente d’obbligo. Temo che la ripresa sia una pura illusione e che diventeremo tutti sempre più poveri, anche grazie all’imposta patrimoniale progressiva che, obtorto collo, verrà prossimamente introdotta, magari con il pretesto di dover far fronte ai vincoli derivanti dal fiscal compact. Eccettuati, naturalmente, i soliti noti, per i quali verrà sempre in soccorso una sentenza della Corte costituzionale. Si salvi davvero chi può.
Letta farebbe bene a stare zitto.
Dal momento che è convinto che ci sarà un autunno caldo, come intende risolvere?
Dandosi una bella svegliata, oppure scagliandoci addosso la Polizia?
Sarebbe meglio che si rendesse conto della sua “mosceria”. E passasse la mano a Renzi.
Oggetto
Risparmio di Scopo e Crescita dell’ITALIA
Alla presente mail si allega la Nota (12 Settembre 2012) dal titolo:
Risparmio di Scopo e Crescita dell’ITALIA
Si intende dare un contributo per avviare un processo di crescita nel nostro Paese.
Come strumento viene illustrato il “Risparmio di Scopo” (RdS; “il lavoro finanzia il lavoro”), nonché le Finalità di Politica Industriale a cui destinarlo ed il Trattamento Fiscale ad esso riservato.
Si riflette anche sulla Società/Veicolo da utilizzare per la raccolta ed allocazione del RdS.
Il bilancio del Veicolo non deve essere consolidato nel Bilancio Pubblico (vincoli di Maastricht).
Il primo compito della Società Veicolo è quello di raccogliere il RdS (sia capitale obbligazionario che azionario) per finanziare la realizzazione di Infrastrutture che rendano più competitivo il Paese.
Il RdS verrebbe premiato con una Fiscalità di vantaggio, proprio per differenziare il trattamento rispetto ad investimenti meramente “speculativi”.
Si ritiene inoltre che un tale strumento possa risultare utile per allungare la durata del Debito (quello sano fatto solo per finanziare Investimenti Infrastrutturali, Crescita e Lavoro, e non certo il Deficit Corrente).
Da questo punto di vista potrebbe essere utilizzato anche nella Zona Euro e nella UE in generale (attraverso la BEI o altre Entità consimili già esistenti).
Il secondo compito operativo è quello di gestire il ciclo Progettazione, Appalto, Realizzazione, Concessione, servendosi di Operatori privati.
Le infrastrutture realizzate restano di proprietà del Veicolo. La costruzione dell’Asset e la successiva gestione e manutenzione è affidata agli operatori privati in regime di concessione pluriennale.
Nella nota vengono fatti alcuni esempi circa la tipologia di investimenti in infrastrutture da finanziare con il RdS per rendere più competitivo ed efficiente il Paese, innescando un virtuoso meccanismo di crescita.
Si evidenzia come un simile modello possa essere adottato anche in Europa (in tutta l’Unione e non solo nell’Area Euro) per aumentarne la competitività, far decollare lo sviluppo economico, diminuire la disoccupazione, innescare un meccanismo virtuoso di crescita a beneficio dei Popoli e dei bilanci delle Nazioni.
La nota viene distribuita ai policy maker (Ministeri, Forze Politiche, Economisti, Sindacati, Stampa).
Chi valuta il presente contributo propositivo, costruttivo e degno di nota, è pregato di diffonderne i concetti condivisi.
Con i più distinti saluti.
16 Settembre 2013
Dott. Francesco MICCI