Sanità. The first cut isn’t the deepest
La “spending review” è uno strumento di importanza cruciale, se pensiamo che anche la spesa pubblica non sfugga alla regola del conoscere per deliberare: è necessario capire dove e come effettivamente lo Stato spende, per potere tagliare con efficacia.
L’obiettivo di lungo periodo dovrebbe essere quello di una spesa più leggera e quindi più sostenibile, coerente con una riduzione del raggio d’azione del pubblico. L’obiettivo di breve del governo è mostrare risultati tangibili nei prossimi mesi. I due collidono.
Nel caso della sanità, la parte del leone nei tagli la fanno gli acquisti. Governo ed esponenti politici paiono convinti che spendendo di meno si possano garantire le stesse prestazioni. Da una parte, si fa leva sul potere di mercato del monopsonista pubblico: dal momento che sono il tuo unico compratore, fai i prezzi che ti dico io.
Dall’altra, l’idea curiosa è che beni simili di prezzi diversi siano in realtà identici. Pare che in sanità una Porsche e una 500 valgano solo in quanto l’una e l’altra sono automobili. Ci siamo spesso sentiti dire, per esempio quando chiedevamo l’ampliamento del circuito distributivo per i farmaci non rimborsati dallo Stato, che la salute delle persone non può essere lasciata in balia delle forze del mercato. Vietato “mercificare” la sanità. L’alternativa alla mercificazione, in tutta evidenza, è il socialismo: cioè il rifiuto dogmatico dell’idea che i prezzi dicano qualcosa. Secondo logica, invece, il prezzo trasferisce informazioni – anche sulla “qualità” di un certo prodotto. Abbassandolo artificiosamente, si obbligano i produttori a fare economie. Qualcuno potrà pensare di stare “espropriando gli espropriatori”: ma è improbabile che chi incassa di meno produca come se stesse incassando quanto prima.
L’ostilità al motivo del profitto segna puntualmente le “manovre” dei governi italiani in tema di sanità. I giornali scrivono che si pensa anche a tagliare del 2% le prestazioni erogate dalle strutture di diritto privato che operano all’interno dell’SSN. Queste strutture curano il 25% dei malati, costando il 15% della spesa ospedaliera.
Non è che tagliando del 2% ci sarà il 2% di malati in meno. Quelle stesse persone dovranno andare a farsi curare nei nosocomi pubblici. I quali costano di più al servizio sanitario nazionale. Questo è particolarmente evidente in Lombardia, dove fra erogatori di diritto privato ed erogatori di diritto pubblico c’è la concorrenza (relativamente) più aperta e trasparente. Laddove il privato regge economicamente in virtù delle prestazioni che svolge e gli vengono pagate, il pubblico ha costantemente bisogno di essere ripianato a pie’ di lista. Non serve Sherlock Holmes per capire chi dei due contribuisca al dissesto delle finanze regionali.
La sanità è un tema complesso, ma proprio per questo solo interventi lungimiranti ed ambiziosi possono avere impatto nel lungo periodo.
L’Olanda ha scelto di canalizzare la spesa attraverso una intercapedine fatta da assicurazioni private in concorrenza: le assicurazioni sono probabilmente pagatori più accorti (ed esigenti) delle amministrazioni dello Stato. La Germania ha visto una diminuzione degli ospedali pubblici ed un aumento importante di quelli privati, non per amor di mercato ma semplicemente perché questi ultimi assicurano maggiore efficienza gestionale e, quindi, minori costi.
Il vero costo è la rendita politica che si annida nella sanità, ma non è estirpabile immaginando che le migliori meningi della nazione vengano spremute a dovere per decretare quanto deve costare il servizio-mensa, a Milano o a Reggio Calabria. La stessa polemica contro i piccoli ospedali è stucchevole: chiama le leadership nazionali ad un impossibile sforzo di volontà, contro atteggiamenti ben radicati nelle loro constituencies, che nell’ospedale manifestamente inefficiente magari non ci vanno ma si beano al pensiero di averlo sotto casa.
L’unica via sensata è smetterla di essere presuntuosi. Smetterla ad esempio di pensare che possa essere Roma a “sapere” quale è il numero e la dimensione ottima degli ospedali in Italia. La rete va “razionalizzata”? Certo, ma non per arrivare a una pianificazione diversa, potenzialmente altrettanto errata dell’attuale.
Si lascino fallire, se non le Regioni, almeno gli ospedali i cui conti non tornano – grandi e piccoli. Si lascino fallire: non ne si decreti l’estinzione. In qualsiasi processo fallimentare, un compratore può farsi avanti: sia una libera cooperativa di cittadini, un privato, un privato sociale. Se alla porta non bussa nessuno, sarà chiaro che l’offerta era insostenibile.
Ridurre la spesa implica, come tutte le cose nella vita, un processo di apprendimento. Anche da parte degli elettori-pazienti. La scorciatoia del dettato degli illuminati ci porterà semplicemente a doverci porre di nuovo gli stessi problemi, tempo di un paio di vertici europei.
L’esempio della Lombardia lo lascerei un attimo da parte: posto che penso sia la miglior sanità del mondo, è un dato di fatto che le strutture private svolgano solo le prestazioni il cui rimborso rende utile certo.
Non si fanno trapianti, per esempio.
E poi c’è quel piccolo buchino del San Raffaele che mi fa molto dubitare sul fatto che “il privato regge economicamente in virtù delle prestazioni che svolge e gli vengono pagate”. Santa Rita same-same.
Metterei anche da parte l’Olanda, sia perché prima o poi la voce “debito privato” esploderà, sia perché ha un’aspettativa di vita più bassa della nostra. Idem Germania.
E sul discorso delle assicurazioni ci sarebbe davvero tanto da dire: è un dato di fatto che un malato grave costa tantissimi soldi, tendenti all’infinito, e che quindi se non si regolano i premi appena se ne ha bisogno l’assicurazione alza il premio fino a diventare insostenibile, soprattutto per chi ha dovuto rinunciare al lavoro causa malattia.
Non mi convince molto.
Piuttosto, invece, porrei l’attenzione sul fatto che i medici sono fatti per fare i medici e non i manager, mentre si trovano a svolgere compiti che non competono a loro in materie, come la logistica e l’organizzazione dei processi, su cui non hanno (giustamente) alcuna preparazione.
Forse il male sta lì.
” le assicurazioni sono probabilmente pagatori più accorti (ed esigenti) delle amministrazioni dello Stato.”
Gli USA sono l’esempio che invece succede il contrario e i dati della spesa sanitaria sul loro PIL, per avere risultati peggiori che i nostri in termini di aspettativa di vita, sta lì a dimostrarlo. Credo che la sanità sia uno dei casi dove il pubblico sia veramente necessario perché quando c’è di mezzo la saluto il potere contrattuale della controparte diventa preponderante.
Poi il discorso è ovvio sotto il profilo economico. L’assicurazione abbassa il rischio maggiore come numero è la platea assicurata. E’ il motivo per cui le assicurazioni collettive aziendali costano meno che quelle individuali e hanno anche di solito delle percentuali minime di adesione.
Ma sotto al rischio dell’assicurazione “forzosa” dello Stato è quindi economicamente impossibile andare e per forza ci saranno costi maggiori.
Gli sprechi e la corruzione sono invece un altro discorso ovviamente ma per i primi ci vorrebbero semplicemente dei “revisori dei conti” con poteri di commisariamento, per i secondi la galera come da c.p.
È necessario tagliare gli sprechi e non i servizi.
Purtroppo oltre a quello che ha detto giustamente nell’articolo, la logica che si sta seguendo è quella di ridurre le prestazioni che prevedono il ricovero ordinario a fronte di un aumento di quelle ambulatoriali che costano meno.
Un qualcosa di assurdo, in quanto si trasformano interventi che richiedono obbligatoriamente il ricovero, in procedure che dopo due ore dall’esecuzioni indicano di mandare il pazente a casa (nessun chirurgo farà più un ernia se non potrà tenere sotto osservazione almeno una notte il paziente in ospedale).
A ciò si aggiunga che la riduzione dei Drg di riferimento che spettano per le prestazioni sanitarie comporta solo la riduzione della qualità dei materiali e del servizio offerto!
Tutto a discapito dei pazienti e a vantaggio delle aziende che offrono prodotti di primo prezzo tendenzialmente prodotti in aree del mondo che non brillano in quanto a qualità (mettendo in difficoltà interi distretti italiani all’avanguardia!)
Se il Drg di una cataratta (attualmente pari a 980 euro) viene ridotto a 500 (questa sembra l’indicazione), la prestazione che sarà eseguita avrà una qualità del 50% in meno su materiali, organizzazione e trattamento dei pazienti.
@Marco Tizzi
Il San Raffaele è un caso emblematico. Ha sempre offerto un servizio di elevata qualità ed è finito nella bufera non per i soldi spesi per i pazienti, bensì per la megalomania del suo fondatore e le follie finanziarie per coprire i buchi derivanti da iniziative come quella del Brasile; le strane vie della Provvidenza! Se la Lombarda sta male le altre Regioni stanno peggio. Solo che nessun magistrato va a guardare le carte perché non c’è da fare elezioni anticipate per gestire i soldi dell’Expo. Così con il cambio di giunta (e di contratti) l’Italia farà la figuraccia di non essere pronta per il 2015. Expo è una delle pochissime aree in cui ci sono ancora soldi pubblici ed è per questo che i partiti litigano come cani che si contendono l’ultimo osso rimasto.
La centralizzazione degli acquisti rappresenta un male minore rispetto all’attuale giungla per cui lo stesso farmaco o lo stesso dispositivo (non 500 contro Porsche) vengo acquistati a prezzi significativamente differenti. Il rischio è che il sistema burocratico non sia in grado di far giungere i prodotti necessari in tempo utile. Se nell’ospedale X si presenta un bambino affetto da meningite che ha necessità di un farmaco specifico da reperire presso il fornitore, quale sarà la procedura? Le procedure d’acquisto urgente saranno possibili solo in orario d’ufficio o saranno disponibili h 24? Saranno necessarie 10 firme di autorizzazione o basterà mettersi a terminale per vedersi recapitare in poche ore il farmaco? Potrà il responsabile della farmacia dell’ospedale mettersi a terminale e fare la richiesta direttamente alla casa farmaceutica facendo riferimento ad un contratto nazionale (troppo semplice per i burosauri)? E quando saranno pagate le case farmaceutiche se la PP.AA. accumula mesi e mesi di ritardi su ogni pagamento?
Anche lei, carissimo Marco, avrà visto come sia facile fare pasticci in un’impresa che pensa di affrontare il controllo dei costi senza affrontare i dettagli dei flussi operativi, soprattutto quando si presentano varianti rispetto al flusso principale del processo. Figuriamoci in una macchina pubblica dominata da interessi particolari, spesso innominabili!
A me piacerebbe che si evitassero i sofismi e che si avesse il coraggio di dire: “Chi ha i soldi, tanti, si cura. Chi non li ha si tiene la malattia, le sofferenze e, se è il caso, muore.”
@Davide
Più o meno l’attuale situazione italiana, l’altro giorno ho fissato un appuntamento per una visita data 06/03/2013, crede che se avessi i soldi non me la farei prima? E pensare che vivo nel ricco Veneto!
Bravo! Facciamo fallire gli ospedali inefficienti: son d’acccordo! Però a patto che la stessa politica si applichi all’intera sistema finanziario e creditizio mondiale, che teniamo in piedi con iniezioni masicce di denaro pubblico! Ho un sospetto: non è che lo stato ci costa tanto perché tanto costa allo stato mantenere alti i profitti dei privati? Tout se tient, amici cari, smettela di fare ideologia senza fondamento scientifico!
Bella citazione, signor Mingardi. E bella canzone.
La teoria che il prezzo indica la qualità sinceramente non mi convince. Questo può essere vero solo nei casi in cui prodotti hanno costi minori della soglia ragionevole. Nel caso dei medicinali, vi racconto una mia esperienza personale: in giro con mia madre, che assume una quantità industriale di medicine, ho dovuto constatare che le stesse medicine in Francia e in Spagna costano in media il 50% rispetto all’Italia e la cosa assurda è che ne ho trovate alcune prodotte in Italia. Quindi credo che le aziende farmaceutiche ci raccontino balle e il governo faccia bene a tagliare.
Alcune, necessariamente veloci, considerazioni in ordine sparso:
– il caso San Raffaele è molto interessante, per motivi un po’ diversi da quelli fatti notare dal lettore. Il San Raffaele era retto dalla Fondazione Monte Tabor, che ha potuto (come ha scritto molto bene Massimo Mucchetti qualche mese fa: http://archiviostorico.corriere.it/2011/luglio/26/Sacro_Profano_nei_Conti_del_co_8_110726010.shtml) operare dietro una coltre di opacità garantitale dal suo essere un ente non profit. A questo si salda un’altra questione, ovvero la cecità dei creditori rispetto al bubbone creato (come è stato ben evidenziato) dalla megalomania di don Verzé, che potrebbe lasciar presagire la convinzione, da parte dei medesimi, che l’ospedale fosse too big to fail, in virtù di una qualche protezione politica;
– in Lombardia gli erogatori di diritto privato sono molto integrati nell’SSN. Basti vedere l’indice di case mix (che dà conto della complessità della casistica trattata) e l’elevata partecipazione del privato all’urgenza/emergenza;
– la riforma olandese ha il merito di sciogliere il matrimonio fra sanità e politica. E’ una riforma recente (2006), per verificarne gli effetti serve del tempo. E’ stata introdotta dopo un processo di negoziazione pluriennale, con l’intenzione di utilizzare meccanismi almeno parzialmente di mercato per disciplinare i costi senza introdurre misure top down di razionamento;
– il prezzo dei farmaci non è libero: nasce da una negoziazione fra imprese produttrici e regolatore (sul sito dell’Aifa viene spiegato per sommi capi come funziona il processo: http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/il-prezzo-dei-farmaci). E’ una soluzione tutto fuorché ottimale, e c’è un conflitto d’interesse grave (l’agenzia che decide della sicurezza di un medicinale è la stessa che decide se deve essere rimborsato, e a che prezzo). Ma, quando discutiamo di provvedimenti emergenziali su questo tema, discutiamo della stessa questione di sempre: cioè la credibilità di uno Stato che prima ti dice quanto ti paga, poi rinvia il pagamento per mesi, poi pretende uno sconto ulteriore;
– ricondurre l’aspettativa di vita _solo_ all’efficienza del sistema sanitario mi sembra un salto logico impegnativo;
– il caso americano è interessante e complesso. IBL ha pubblicato qualche anno fa un bel paper di Grace-Marie Turner per sfatare alcuni ‘miti’. Per risparmiare tempo, si può guardare questo intervento di Michele Boldrin a Ballarò: http://www.youtube.com/watch?v=nQZOzpnTymU
Un paio di considerazioni veloci e necessariamente sommarie: (1) gli americani spendono sostanzialmente quanto noi, in spesa pubblica (non era un sistema di laissez faire, anche prima di Obamacare). Il loro schema di assicurazione medica legata al posto di lavoro è molto discutibile: ma attenzione a guardare il dito (il fatto che le assicurazioni sono private) anziché la luna (la concorrenza è artificialmente limitata, i costi del sistema legale); (2) le statistiche sull’aspettativa di vita americana sono fortemente influenzate dal tasso di mortalità infantile, che è sensibilmente più alto che in Europa. Non sono un demografo, ma, secondo Nick Eberstadt che è il mio demografo di riferimento, pare che parte del problema pare stia nella definizione di mortalità infantile stessa (gli Usa includono nella mortalità infantile la mortalità neonatale). Se però guardiamo a una malattia come il cancro, negli Stati Uniti gli outcomes sono migliori che in Europa. Sul sistema sanitario Usa, IBL Libri ha pubblicato un bel libro di Arnold Kling, La sanità in bancarotta, che ne fa una critica serrata e argomentata.
Caro Andrea,
a me la sanità privata non ha mai convinto del tutto e le racconto una piccola esperienza.
Visita di routine presso uno specialista che individua, sicuramente in buona fede, un problema con potenziali effetti negativi gravissimi, la soluzione consiste in un “semplice intervento” presso una clinica privata.
La mia fiducia nella scienza medica è molto bassa, per cui passo una visita nella ASL locale, dove mi spiegano che non c’è nessun problema e basta una visita standard di controllo ogni due anni.
Ci sarà anche il giuramento di Ippocrate, ma essere visitato da qualcuno che ci guadagna sulle mie cure eventuali mi preoccupa, e non poco.
Caro Alberto (sorry)
@Alberto Mingardi, FrancescoP
Resta il fatto che in Lombardia il privato sceglie quali prestazioni fornire e quali no e ovviamente sceglie quelle che rendono.
Il pubblico non può scegliere, o meglio, PER FORTUNA non sceglie, altrimenti dovremmo fare i “viaggi della speranza” in giro per il mondo per qualunque problema serio.
Per quanto riguarda il San Raffaele, che conosco benissimo essendo a un paio di Km da casa mia, conoscendo molto bene gente che ci lavora e, purtroppo, avendo sperimentato in prima persona:
– alcuni reparti del San Raffaele sono all’avanguardia, ma sono pochi e – ancora una volta – i più convenienti (per il San Raffaele) e quindi i più costosi (per la Regione);
– è vero che si tratta di megalomania di un folle che quando i suoi adepti gli chiedevano “sua santità (ha rischiato la scomunica perché si faceva chiamare così), ma dove troviamo il denaro?” lui rispondeva “ci penserà la provvidenza”, ma è anche vero che fino ad un paio d’anni fa la provvidenza ci ha in effetti sempre pensato. I soldi in un modo o nell’altro son sempre arrivati e le “garanzie politiche” sicuramente rassicuravano i fornitori e i dipendenti tutti (che tutto sapevano, tutto vedevano, tutto sentivano).
Ricordiamoci come nasce il San Raffaele: uno scambio tra Vaticano, Berlusconi e Craxi che coinvolgeva una ex discarica resa edificabile che diventa Milano 2 in cambio di un ospedale.
Insomma la vicenda tutta rappresenta il peggio dell’intreccio “capitalismo nostrano”-“politicuccia di quart’ordine” che è stato il filo conduttore della Milano da bere.
Restano comunque due fatti:
– il dubbio sulla gestione privata della sanità in Italia, almeno in termini economici, deve sorgere e rimanere lì finché non sono tutti chiari gli intrecci;
– comunque vada penso che la sanità lombarda fosse fotocopiata in 20 regioni non ci sarebbe da lamentarsi: poi, per carità, spazi per migliorare ce n’è sempre, ma direi che in questo Paese c’è talmente tanto da tagliare che potremmo anche accontentarci, no?
– resto anche dell’idea che se tutte le procure lavorassero come quella ultra-politicizzata, penosamente rossa, di Milano questo Paese sarebbe un Paese migliore: vi pare abbia un senso che la spesa sanitaria della regione Lazio, per dirne una, non abbia mai portato nemmeno ad uno stracci di inchiesta?
Ricordo a Monti e Napolitano (che dicesi garante della Carta), quanto segue:
Come era facile prevedere l’accenno di un riduzione degli sprechi in un settore come la sanità , ha scatenato subito le reazioni di una quantità numerosissima di italiani .
Premesso che si tratta di piccolissime cose – le previsioni sono di una percentuale dell’1% sulla mostruosa spesa pubblica – e poi secondo me sarà ancora tutta una manfrina che finirà nel nulla , tutti fanno finta di dimenticare che il cosidetto welfare italiano e non solo ha un piccolissimo problema : NON CI SONO PIU’ I SOLDI PR PERMETTERCELO . Perfino l’afroamericano Barack Hussein Obama , idolo della sinistra , lo ha ricordato . E anche i comunisti cinesi hanno detto che il mondo occidentale dvrà ridurre il tenore di vita perchè non ha più le risorse per pagarlo. Difatti naviga in un mare di debiti. .Per prolungare l’agonia si inventerà di tutto : eurobond , imposte patrimoniali, scudi antispread e altri tentativi di imbrogliare le carte , ma la verità avrà il sopravvento , lamenti o no.
Questi sono i risultati di Bondi?
E Giavazzi, potrà ancora permettersi di scrivere quelle cose sul Corriere?
Per gli altri, un velo pietoso. E la certezza che la Storia li ignorerà.
….e infatti i medici poco o nulla impattano nella gestione degli ospedali….forse li e’il problema…..@Marco Tizzi
Non ci credo @Andrea Maniero
Amen!@Claudio Di Croce
P.S. La sanità italiana, secondo graduatorie opinabili, ma pur sempre graduatorie, è al secondo posto al mondo come rapporto costo/beneficio, dopo quella Francese (che costa molto di più, però). Visto che il costo degli acquisti beni e servizi è ormai globalizzato, il risparmio della sanità italiana è esclusivamente sul costo del personale. Ricordiamoci che stime del Ministero dicono come fra 5 anni mancheranno in Italia 80000 medici. L’ultimo test di ammissione a Medicina a Brescia c’erano 2.352 richieste per 190 posti. Un bel giorno, fra qualche anno, accadrà che a curarti l’infarto non sarà un medico, ma un infermiere che, senza nulla togliere agli infermieri, è un’altra cosa. Tutto questo per risparmiare.
@Giordano
Mi risultavano cifre diverse, e sono andato un pò a scartabellare, senza la pretesa di aver trovato dati incontestabili. Che tra l’altro sono contraddittori.
Una fonte parla di 220 medici ogni centomila abitanti, e sarebbe la percentuale attualmente più alta in Europa. Si dice anche che, a causa di un’errata pianificazione del numero chiuso, mancherebbero fra pochi anni 20.000 medici in alcuni ben precisi settori. Poi c’è un’altra analisi, graficamente accattivante ed immediata (fonte Ue, credo) di cui allego il link.
http://www.statistiques-mondiales.com/medecins.htm
Ma questi dati collidono con i primi.
Comunque, niente a che vedere col fatto che dice Lei, che mancherebbero 80.000 medici. A questo punto è legittimo chiedersi se sia meglio morire di malattia o di fame per campare i medici.
Caro Mingardi, da buon giornalista lei dovrebbe verificare le sue fonti. Anche prima di citarle.
Il video di Boldrin racconta balle. Mi basta copiare la replica di un utente che ha smontato la tesi del Boldrin (su un altro forum):
Boldrin dice una marea di idiozie.
Medicare: assistenza sanitaria agli ultra65enni “fino alle medic…ine”. Medicare ha vari livelli di assistenza e prevede (quasi in tutti) una compartecipazione dell’ammalato alle spese e/o dei limiti di ricovero (es: 100 giorni massimo consecutivi, primi 20 giorni di degenza gratuiti, successivi 80 “co-payment”). La fornitura di medicine non è automatica per tutti gli ultrasessantacinquenni: è volontaria, e comporta il versamento di un premio mensile. Fonte: memorandum in lingua italiana del social security USA. (Link: http://www.ssa.gov/multilanguage/Italian/10043-IT.pdf
Medicaid: “Le dò la definizione di povero? Sessantamila dollari all’anno per famiglia”
La bugia è clamorosa e così colossale da non poter essere in buona fede. La tabella di calcolo del livello massimo di retribuzione per avere assistenza Medicaid la trovate sul sito del Medicaid gov.
Ci sono due dati: il FPL (federal poverty level) una specie del nostro ISEE: se sei sotto il 100% di quel reddito paghi solo un ticket di 3.80$, se sei fra il 100% e il 150% paghi il 10-20% circa, se superi il 150% del FPL paghi il 20% delle cure di emergenza (e il 50% del primo giorno di ricovero) e paghi tutto il “non emergenza”.
Ah: se non paghi il tuo contributo Medicaid ti viene sospesa finchè non saldi.
Quale è il livello di FPL? Ha due eccezioni (Alaska e Hawaii) ma è uguale negli altri 48 stati. Quanto è il 100% di reddito che ti consente di pagare solo il ticket?
Una persona 11.170 dollari (compresi i redditi da fabbricati): 700 euro al mese;
Famiglia di 4 persone: 23050 dollari (idem): 1439 euro al mese.
Ma, direte… lordi o netti? E qui viene il bello: a seconda delle prestazioni. Il sito governativo da cui ho preso la tabella:
http://coverageforall.org/pdf/FHCE_FedPovertyLevel.pdf
Nelle FAQ “chiarisce”: Are the poverty guidelines before-tax or after-tax? There is no simple answer to these questions. When determining program eligibility, some agencies compare before-tax income to the poverty guidelines, while other agencies compare after-tax income.
Sapete come si arriva ai 60.000 dollari di Boldrin? Famiglia di 4 persone con reddito pari al 300% del FPL che dà diritto ad un “contributo” sulle spese sanitarie: circa il 10%…
—
e ho detto tutto. Leggo spesso il vostro sito, ma quando leggo queste bugie la vostra credibilità cade sotto zero.
La sanità pubblica in Italia, (come il Welfare come sotto specificato) costa meno che altrove tranne la Spagna ed in Germania e Francia costa circa 1 % in meno. Ora che ci siano sprechi nel settore degli acquisti di beno e servizi non ci piove e li vanno fatti i tagli, ma qui si sta smontando un giocattolo che funziona bene e Monti e Compagni farebbero bene a riflettere; non solo io mi son rotto i coglioni di vedere sempre tagli al Welfare, che costa ed è costato meno di Germania e Francia tanto per dire. Inoltre nel 2018, la nostra spesa pensionistica costerà circa 2 puntii percentuali di PIL in meno e quindi anche lì ci attesteremo ai valori degli altri.
Allora ben venga l’ efficienza nel Pubblico impiego ed i tagli relativi, ma altri tagli vanno fatti negli sprechi della pubblica amministrazione, nella corruzione ed è questo che qualsiasi governo dovrà fare; vedo che Monti non sa fare.
Signori qui è arrivato il momento, numeri alla mano di smetterla di fare i pecoroni e ribellarsi, andare a chiedere conto a questa classe politica di inetti e ladri, e includo anche questo esecutivo nel numero, perchè taglia taglia, la carne, il muscolo, il corpo vivo del paese sta avviandosi alla decomposizione.
Molte volte ho pubblicato questi dati.
@Giordano
In Germania e Francia costa circa l’ 1% in più non in meno!@Alberto
@Davide
CONDIVIDO IN PIENO
Ribadisco che gli sprechi ci sono anche nella Sanità, ma non riguardano (o perlomeno non prevalentemente) quello che genericamente si ritiene “sanitario”. Gli sprechi sono ben occultati nelle pieghe amministrative e (anche) in aspetti tecnici (leggesi algoritmi diagnostico-terapeutici) molto meno ovvi del medico che fa libera professione o dell’infermiere “infrattato”. Se si guardano queste cose si indica la luna e si vede il dito. Costa di più mezz’ora di (pur deprecabile) non lavoro di un infermiere o medico o terapie costose (ormai i farmaci costano anche 50-60-100000 euro a ciclo) e soprattutto spesso inutili reiterate enne volte? @Alberto
Ho avuto i dato dall’Ordine dei Medici. E poi nessuno si arrabbia per il fatto che per una sanità di un certo tipo, i lavoratori hanno GIA, pagato (a mezzo trattenute sulla busta paga) e CONTINUERANNO a pagare in futuro per un servizio peggiore….. riducono i medici e gli infermieri? riducano anche le trattenute in busta, allora……
@giuseppe 1
Rapporto OCSE 2012- In Europa, a guidare la riduzione della spesa sono state Irlanda, meno 7,6%, Islanda, meno 7,5% (con un meno 9,3% della parte pubblica), Estonia e Grecia, con un meno 6% complessivo. In questo quadro, l’Italia non rientra certo tra le cicale: nel 2010 la spesa (pubblica e privata) si è collocata al 9,3% del PIL, quindi leggermente al di sotto della media Ocse e significativamente inferiore a quella di Olanda (12%), Francia e Germania (11,6%) ma anche della Gran Bretagna (9,6%).
Stiamo parlando di sanità? Se si, significa che 9,3-6,6= 2,7% PIL la quota pagata dai privati. Il giocattolo sanità va bene così, bisogna soltanto andare a guardare cosa c’ è in termini di differenze sul territorio, come costi unitari e lavorare solo su quello. Ma soprattutto i recuperi vanno reinvestiti nella sanità per migliorarla ulteriormente. E basta con la demagogia e con il traferimento al settore privato, che fa schifo in generale e mangia solo soldi pubblici ed in linea con quanto voluto nella nostra carta costituzionale.@Giordano
Boldrin più volte ha dimostrato di essere un personaggio pieno di idee fasulle e di preconcetti, lo lasci perdere è un quaquaraquà!@Lorenzo Romani
Noto che è circa pari al 40% della spesa pubblica; mi sembra che ormai siamo vicini ai massimi OCSE!!! Ragazzi qui bisogna organizzare una protesta memorabile. Mi meraviglio del vegliardo sul Colle; cosa fa dorme invece di vigilare sul rispetto della Costituzione?@Alberto
Solo alcune considerazioni un po’ frettolose (sono molto grato per i commenti, mi scuso per la fretta):
– le osservazioni di @Giordano sono pertinenti, in particolare quelle che riguardano gli effetti perversi del numero chiuso a medicina. La spesa sanitaria in Italia è in linea con i valori medi OCSE e EU27, è stata relativamente più “sotto controllo” di altre voci di spesa, in virtù delle riforme poste in essere negli anni Novanta. Questo purtroppo non significa che (a) i denari che spendiamo li spendiamo _tutti_ bene (fra parentesi, è più difficile trovare dati che consentano una scomposizione dettagliata della spesa sanitaria per l’Italia, che per altri Paesi OCSE) né che (b) non ci sarà una pressione all’aumento della spesa negli anni a venire. Il nostro è un Paese “vecchio” e che invecchia: questo avrà conseguenze sulla domanda di servizi sanitari. Pensare di cambiare i meccanismi di finanziamento significa cercare alternative alla strategia che in quel frangente mettono in campo tradizionalmente i sistemi pubblici: cioè il razionamento delle cure;
– l’osservazione di @Roberto51 è condivisa da molti: c’è un vero e proprio tabù circa il motivo del profitto, rispetto alle cure mediche. Su un piano generale: (a) la sanità pubblica non è “gratuita” (i medici del Galeazzi non sono vampiri assetati di sangue, i medici di Niguarda non sono Madre Teresa), si tratta semplicemente di servizi pagati attraverso le tasse; (b) “non dalla benevolenza del birraio” eccetera eccetera. Ci sono dei vantaggi nell’essere “cliente” piuttosto che “beneficiario”: il più rilevante è che il beneficiario deve ringraziare e basta, il cliente contratta. Essere “cliente” direttamente è molto diverso che esserlo in quanto “contribuente”: sul piano psicologico, sul piano del rapporto con la realtà da cui acquistiamo servizi. Ci sono, beninteso, ottime ragioni per cui i servizi sanitari sono tipicamente pagati da un terzo (la situazione di disagio in cui ci troviamo ad usufruirne, in primis) – ma anche problemi che discendono da questo fatto;
– sanità Usa: rimando di nuovo al Paper di Grace-Marie Turner che trovate sul sito dell’Istituto Bruno Leoni. Ci sono differenze fra stato e stato (per Medicaid). Il fatto che la sanità sia “pubblica” non significa necessariamente che debba essere finanziata attraverso la fiscalità generale e non attraverso specifici (con)tributi (non sempre la sanità pubblica coincide con un Servizio Sanitario Nazionale);
– sanità lombarda: per il 2006 perlomeno, l’indice di case-mix della rete lombarda degli erogatori di diritto privato era 1,26, quello degli operatori di diritto pubblico 1,06. I posti letto di terapia intensiva erano il 2,74% dei posti letto per acuti: nella rete pubblica il 2,56%. Beninteso: stiamo parlando di _ospedali_ di diritto privato. Certo, il volume di attività della rete pubblica è maggiore (65%) sul complesso delle prestazioni, erogate. Questo non significa che la sanità lombarda sia né perfetta né perfettamente collimante con un modello “liberale” (anzi): ma in Lombardia il privato non si limita a gestire casi di bassa complessità in “cliniche”, è parte integrante della rete ospedaliera;
– la Costituzione. L’art.32 sicuramente dice che la Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti, e stabilisce il “diritto alla salute” (sul quale non è opportuno entrare in questa sede). Ma non mi sembra dica che la Repubblica deve offrire in monopolio cure mediche a tutti, indigenti e no.
Nessuno dice questo, ma testualmente:
Secondo lei, Mingardi, cosa abbiamo fatto fin’ ora e cosa stiamo facendo se il 40% della spesa è oggi a carico dei privati? Il problema è che il confine tra il fondamentale diritto dell’ individuo ed il conseguente ed inscindibile interesse collettivo, ed in particolare degli indigenti colpiti da patologie importanti e non quello di pochi fortunati con i soldi, sta lentamente franando verso il monopolio privato e la tendenza è quella. Ribadisco il giocattolo funziona, costa meno che altrove, garantisce esattamente il dettame costituzionale e non va scassato ed il garante sul Colle deve vigilare.
Mingardi ha letto i dati OCSE che ho esposto? La spesa pubblica (Public health spending, % of GDP) sanitaria in Italia è una delle più basse tra quelle dei paesi avanzati e di poco superiore (0,8%) alla media OCSE. Dal 2007 al 2010 la spesa privata è salita di 0,5 punti % ed è arrivata al 2,7% del totale, come dicevo prima, pari al 40%; purtroppo è impossibile fare il calcolo preciso aggiornato al 2010, e dei confronti con altri paesi OCSE, dato che i dati della spesa totale sono aggiornati al 2010 (Dati completi) mentre i dati della Phs in % PIL sono aggiornati al 2007. Dato che come ci è riconosciuto da vari organismi internazionali, in questa particolare graduatoria siamo stati in pole position da anni, e forse ancora siamo messi bene, ma mi sembra invece che in questi ultimi due anni la sensazione è che stiamo franando verso posizioni oggettivamente peggiori, credo sia stupido, e masochistico, continuare a smontare il giocattolo ben funzionante. Quindi smettiamola di assecondare stupidaggini e nell’ interesse del paese, come debbo riconoscere in questo articolo lei ha fatto, cerchiamo di migliorare il servizio ed i recuperi ottenuti che vengano usati tutti per questo scopo.
@Alberto
Già. Migliorare il servizio. Dal momento che i tagli non sono stati fatti, almeno quello si poteva fare. Le duecento piccole strutture da chiudere potevano essere trasformate in parte in efficienti poliambulatori diurni e in parte in centri attrezzati per la lunga degenza (cose che mancano)
Ma andate a dirlo ai dipendenti della Sanità. Difesa corporativa su tutta la linea. Altro mito da sfatare è che i dipendenti decidano “quale sanità”. Questa prerogativa deve tornare ai cittadini, se e quando ci concederanno di eleggere rappresentanti che sono veramente tali.
D’ accordo con lei; conosco cosa è accaduto al S. Giacomo a Roma, di giorno è un ottimo poliambulatorio e non ci sono problemi con eventuale pronto soccorso in zona, che può essere svolto ad esempio dal Fatebenefratelli dell’ isola Tiberina che è a due passi. @giuseppe 1
privatizzare del tutto la sanita’ e’ assurdo, e’ una follia ideologica.Privato e pubblico devono convivere, anche perche’ lo slogan “privato e’ bello” e’ solo uno slogan, basti vedere certe tariffe e l’evasione fiscale nella sanita’ privata,e anche le assicurazioni tipo quelle in vigore negli USA non sono quella realta’ idilliaca come tanti credono.Migliorare e ridurre sprechi si puo’ e si deve,la sanita’ statale italiana non e’ male, mediamente parlando.Anzi in alcuni settori specialistici quasi completamente in mano al privato come quello dei dentisti,servono interventi tipo convenzioni con lo Stato tipo Germania ad esempio.
Il lettore Davide ha ragione, purtroppo tanti in Europa ragionano cosi’, chi ha i soldi si curi, chi non li ha vada al diavolo , voglio vedere pero’ gli stessi un domani che non avessero i soldi per curare una certa malattia , se avrebbero la stessa disinvoltura e la stessa baldanza.Badare solo ai cazzi del proprio orticello non’ e la strada giusta.
Una precisazione. La spesa privata cui viene fatto riferimento rispetto ai dati OCSE non ha nulla a che vedere con ciò di cui si parla in questo post: ovvero con gli erogatori di diritto privato, che fanno parte del servizio sanitario nazionale e che sono spesa pubblica (le prestazioni che erogano vengono rimborsate dall’SSN).
La spesa privata è quella ‘fuori’ dal servizio sanitario nazionale.
In Italia la spesa privata è essenzialmente spesa “out of pocket” (meno del 20% è intermediata da assicurazioni).
Due considerazioni:
(a) se un contribuente-paziente-cliente “esce” dal servizio sanitario nazionale, in realtà fa un regalo al sistema: contribuisce a diminuire la domanda che le strutture pubbliche devono gestire e dunque lascia spazio a chi non si può permettere di “uscire”;
(b) se l’aumento della spesa privata segnala qualcosa, è l’insoddisfazione dei contribuenti-pazienti per le prestazioni erogate dall’SSN.
Non so se il sistema sanitario nazionale sia un “giocattolo”, ma in Italia esso è talmente arlecchinato che non mi azzarderei a dire che “funziona” (nel senso: tutto). Esistono regioni relativamente efficienti (Lombardia, Emilia, Toscana) e regioni in cui la sanità fa accapponare la pelle anche in quanto tradizionale ricettacolo della peggiore spesa clientelare. Pure nelle regioni relativamente efficienti, ci sono sprechi e malversazioni.
Per questi motivi ha poco senso guardare al dato aggregato sulla spesa sanitaria pubblica e sostenere che tutto possa essere lasciato così com’è. Proprio perché gli sprechi sono tanto diversi da regione a regione, nel momento in cui si decida di affrontarli occorre adottare il metodo giusto: meglio evitare una politica di tagli lineari (che tratta allo stesso modo chi in passato si è già impegnato a razionalizzare la spesa e chi no) decisi centralmente a Roma. Per questo motivo nel post sostenevo che, se si vuole razionalizzare la rete ospedaliera, meglio sarebbe fare assegnamento sulla “libertà di fallire” piuttosto che decidere a livello centrale quali debbono chiudere.
In un Paese nel quale la quota di over65 supererà 1/3 della popolazione in capo a pochi decenni, e nel quale i vincoli di finanza pubblica saranno anch’essi sempre più stringenti, porsi il problema di come garantire le medesime prestazioni non è roba da pazzi: e fa bene il governo a farlo. Il problema è che come sempre il fine non giustifica qualsiasi mezzo.
Intanto debbo riconoscerle intelligenza, moderazione ed equilibrio e non arroganza, per il fatto che dialoghi con i commentatori; cosa normale ma che da la misura della signorilità di una persona..
Interessante la sua precisazione che comunque non modifica appunto la realtà che vede un 40% di spesa che ormai pagano direttamente i cittadini rispetto alla spesa dello stato. Mi farebbe piacere avere il documento che descrive l’ intermediazione delle compagnie e quanto di questa spesa privata ritorni per effettive prestazioni, divise tra aziende sanitarie private e pubbliche (sarebbe interessante sapere in quali percentuali chi paga premi assicurativi, poi si rivolge al pubblico).
Per quanto concerne poi le differenze di qualità e di costi unitari, sul territorio, del SSN e non solo, lei sfonda una porta aperta, ed io più volte ho stigmatizzato con dati di costo specifici la grande differenza esistente fra questi, per la verità non solo nel campo della sanità. Proprio a queste differenze è necessari ed utile, rivolgersi per fare gradualmente razionalizzazioni, mediante taglio graduale dei trasferimenti erariali, visibili sul sito del MINISTERO DELL’ INTERNO. Inoltre sarebbe opportuno dare pubblicità immediata sul web, del lavoro di Bondi e di altri ed in particolare dei dati di spesa sul territorio di cui parlavo prima, così tutti conosceremo e ci renderemo conto degli sprechi, senza che si debba andare in giro a catturare in modo fortunoso qualche dato occasionale. La trasparenza, che altri paesi praticano, sarebbe una ottima cosa anche da noi.