Romanzo d’evasione — di Antonio de Rinaldis
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Antonio De Rinaldis.
Il Corriere della Sera di ieri nell’edizione on-line ha pubblicato l’ennesima notizia di un imprenditore assolto dal GUP dal delitto previsto dall’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 “omesso versamento di IVA” (“Evade l’Iva per 180 mila euro, assolto «È stato costretto per via della crisi»”).
Al di là della semplificazione giornalistica che evidenzia l’inadeguatezza terminologia già nel titolo, di cui diremo subito dopo, la notizia ci consente di fare luce su un delitto che oramai colpisce molti imprenditori come effetto collaterale della crisi in atto ma anche su un aspetto giurisprudenziale disomogeneo.
Andiamo con ordine.
Innanzitutto, il delitto contestato non è l’evasione, bensì il mancato versamento di un’imposta dichiarata. L’imputato quindi non ha evaso nulla. Il titolo dell’articolo, come in molti casi simili, abiura alla verità, poi, in vero, meglio descritta infra.
In secondo luogo, il delitto come molti ricorderanno venne concepito dall’ultimo governo Prodi sull’asse Visco-Bersani, in un momento di breve e seppur striminzita “crescita” dell’economia nazionale, quando ancora la crisi che ci ha investito era solo nelle profezie di Nostradamus.
In terzo luogo, come quasi sempre accade, la nuova previsione ha avuto un certo effetto retroattivo in quanto si applicava già al periodo d’imposta di entrata in vigore (ossia il 2006 anche per l’IVA non versata relativa nel 2005). Effetto non riconosciuto come tale dalla Corte Costituzionale e di recente dalle Sezioni Unite della Cassazione.
Cerco di spiegarlo atecnicamente per renderlo comprensibile.
La disposizione – similmente a quanto già previsto per il delitto gemello di “omesso versamento di ritenute” – stabilisce attraverso un rimando ed in sintesi che “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.
Facciamo un esempio, se nel 2013 non si è provveduto a versare € 70.000,00 di IVA, il delitto si configura qualora entro il termine per il versamento dell’acconto IVA dell’anno successivo – ossia entro il 27 dicembre 2014 – non si provvede a versare almeno €20.000,00.
Poiché appunto il delitto si consuma il 27 dicembre dell’anno successivo, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la nuova previsione non avesse effetti retroattivi.
Infine, questo è l’aspetto più rilevante, sono molte le sentenze dei giudici di prima istanza che vanno nel segno della non punibilità di fattispecie in cui il mancato versamento nei termini è dipeso dalla crisi o meglio in cui mancasse l’intenzione (il dolo) di commettere il reato.
Il legislatore – nell’introdurre la fattispecie in esame – non si è preoccupato di disciplinare la questione del trattamento da riservare al contribuente che, versando in una situazione di grave crisi di liquidità, ometta il versamento dell’IVA per importi superiori a 50.000,00 euro. Neanche quando magari l’imprenditore si trova ad essere creditore della Pubblica Amministrazione.
Tuttavia, di diverso avviso è la Suprema Corte di Cassazione, che continua a ritenere sempre punibile – qualunque sia il fondamento, la ragione e la causa – il mancato versamento acuendo ancor di più la difficoltà attuale delle imprese.
Sono comunque passati sette anni dall’introduzione di quella norma e che io ricordi nessuno tra coloro che hanno iniziativa legislativa ha proposto una sua revisione che dia certezza all’orientamento della giurisprudenza ordinaria.
In un paese civile l’ imprenditore dovrebbe poter dire: mi devi i soldi per la fornitura, ti devo i soldi per l’ IVA, guarda qui che bella compensazione che ti faccio”; in un paese civile l’ imprenditore dovrebbe poter massacrare esecutivamente i suoi debitori, privati o pubblici che siano: voilà ti ho sequestrato il saldo del conto del ministero alle poste e sarà Sarni che mi paga al posto tuo, facciamo finta che io sia l’ Alitalia; in un paese civile l’ imprenditore che non riesce a pagare dovrebbe chiedere per sé una procedura concorsuale, ma figurarsi, piuttosto facciamo quella furbata di chiedere i soldi a strozzo, perché qua spesso ci dimentichiamo l’ infima qualità dell’ impresa media in Italia, quella ad esempio che vede il titolare lavorare a margine operativo negativo, ma continuare ad andare in giro con lo Z5. In un paese civile lo stato dovrebbe essere un creditore chirografario qualunque. In un paese decente.
Michele, chapeau.