Roma, le alluvioni, lo Stato che fa tutto tranne l’essenziale. Modesta proposta di un’Agenzia per il Ripristino Territoriale
Gli immensi danni prodotti dalle piogge battenti di questi giorni sono sotto i nostri occhi. Roma, Toscana, Sicilia, Liguria, Veneto. Settimane prima l’Emilia, già messa in ginocchio dal sisma di due anni fa. Dovunque danni immensi a persone e cose, imprese e lavoro, strade e ponti, edifici e ferrovie, monumenti e beni archeologici. Roma, da Prima Porta a Fiumicino, per larghi tratti del Tevere, prima e dopo gli alti argini umbertini, ridotta a una risaia del Mekong. Centinaia di famiglie che hanno perso tutto, il prefetto che invita a non recarsi nella Capitale.
Di fronte a tutto ciò, questo editoriale intende lanciare una semplice proposta. Una proposta avanzata da un liberista diffidente dello Stato, convinto però che lo Stato debba svolgere bene le sue poche funzioni essenziali, invece di occuparsi – come fa in Italia – di una miriade di cose improprie. Senza perdersi in giri di parole sull’incuria patologica per decenni degli assetti idrogeologici dell’intero paese, e sul contributo negativo apportato dall’abusivismo. Senza nascondersi dietro pareri diversi sul global warming e il suo impatto. Senza aggiungere altre osservazioni vane sulla moltiplicazione di competenze burocratiche che fa sì che il drenaggio del letto di un fiume, la manutenzione dei suoi argini, e il drenaggio e la tenuta dei terreni circostanti, appartengano nel nostro ordinamento a una miriade di autorità diverse, e distinte per diversi ambiti.
Le calamità in questo inizio secolo si ripetono ormai con frequenza annuale. Ed è evidente a tutti che la politica e le istituzioni non ne manifestano, sinora, la consapevolezza che dovrebbero assumerne: di risorse adeguate agli interventi necessari, di una nuova definizione istituzionale delle competenze, sia per la prevenzione, sia per gli interventi d’emergenza.
Diciamolo chiaro: a Roma in questi giorni è stato evidente, che di fronte alla gravità di quanto avveniva occorreva ricorrere all’Esercito, perché le istituzioni locali non erano in grado di misurarsi con gli eventi. E, sia detto per inciso, non sono certo i 10 milioni stanziati ieri dal sindaco Marino e dalla giunta capitolina per i primi interventi d’emergenza, a poter rappresentare una risposta adeguata, o a manifestare che la consapevolezza del ritardo pluridecennale finalmente convince la politica a cambiare passo.
Si dirà che emergenze e calamità, come in questo caso, sono già previste dalle leggi nazionali vigenti come evenienza per sbloccare i fondi negati alle Autonomie Locali per il Patto di Stabilità Interno. Vero, ma anche azionando questa leva, come puntualmente immaginiamo verrà disposto per Roma e non solo per Roma, comunque non ci siamo. Resteremmo lontani per multipli, dalle cifre che sono necessarie.
Riconsideriamo per un momento le dotazioni finanziarie appena stanziate con la recente legge di stabilità. Al fondo della Protezione Civile, 50 milioni di euro. Complessivamente 180 milioni per la tutela del suolo, di cui 30 per il 2014, 50 per il 2015 e 100 per il 2016, affinché si giunga a opere cantierabili entro fine 2014 e autorizzate dal CIPE. Per la tutela e gestione delle risorse idriche, una dotazione di 10 milioni per il 2014, 30 per il 2015 e 50 per il 2016. Un Fondo di 30 milioni per il 2014 e altri 30 nel 2015 per un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive. A fronte di 400 milioni entro il 2017 al MOSE di Venezia, 1,3 miliardi a L’Aquila entro il 2015. E’ evidente dal confronto tra queste cifre, che la politica si limita a inseguire i disastri già avvenuti anni fa, e sfociati in mille polemiche. Ma, di risorse ordinarie adeguate allo sforzo gigantesco necessario per la messa in sicurezza dei fiumi e dei suoli, la politica non riesce a reperirne nella gestione ordinaria di bilancio. Né possiamo immaginare che davvero la risposta possa venire dalla gestione ordinaria dei pur oltre 110 miliardi di fondi europei a diverso titolo riservati all’Italia nei prossimi 7 anni, di cui 54,8 cofinanziati nazionalmente: anche se su una parte non secondaria di questa ricca posta potrebbe essere indirizzata, al fine di opere infrastrutturali utili non solo di completamento degli assi di trasporto, ma alla tutela del territorio.
In realtà al governo Letta si offre un’occasione, nel disastro di questi giorni. Perché non mettere rapidamente mano a una quantificazione d’emergenza delle molte decine di miliardi necessarie a un piano nazionale pluriennale di interventi idrogeologici di assoluta emergenza, e troppo a lungo rinviati? Perché non pensare a un’Agenzia incaricata di recuperare in pochi anni i più gravi ritardi, coordinando con procedure spedite le troppo frazionate competenze amministrative e le risorse private e delle imrpese, ma con una dotazione finanziaria propria e aggiuntiva, rispetto a quella dei risicati bilanci delle Autonomie e Agenzie Regionali all’Ambiente, Autorità di bacino e consorzi di bonifica?
Certo, lo sappiamo benissimo: serve un ok europeo. Ma non sarebbe questa, l’idea cioè di un’Agenzia Nazionale per il Ripristino Territoriale, qualcosa di equivalente a quella Tennessee Valley Authority di Roosevelt, di cui da sempre si riempiono la bocca i nostalgici keynesiani, che in realtà vogliono non solo quella ma lo Stato dovunque? Ecco, in Italia abbiamo lo Stato dovunque, ma NON dovrebbe dovrebbe essere.
Chi qui scrive è notoriamente diffidente delle pesanti intromissioni pubbliche nel mercato. Ma non si tratta di ottenere l’ok europeo a fondi pubblici aggiuntivi perché lo Stato decida lui in quale settore industriale investire o a chi discrezionalmente dare sussidi e a chi negarli. Qui si tratta di un compito essenziale di ogni Stato, anche di quello minimo come a me piacerebbe: argini e corsi dei fiumi, sicurezza dei declivi e delle aree urbanizzate, bonifiche e drenaggi, sicurezza di abitati e strade, ponti e ferrovie. Facciamo allora tornare lo Stato ai suoi compiti veri che trascura, mentre su tutti gli altri non cambierò mai idea e resterò in minoranza a criticare l’iperstatalismo italiano.
Mi si potrà dire: figuriamoci, è un compito troppo vasto, l’Europa non ci permetterà mai di poter contare su 1 o 2 punti di Pil di risorse pubbliche aggiuntive a questo fine. Ma non è così, se il progetto è serio e se le procedure fossero attentamente invigilate anche direttamente dall’Europa, tenendo alla larga i mille scandali italiani su gare e forniture, corruzione e bustarelle. Il rischio dell’ennesimo carrozzone pubblico è molto alto: ma se siamo rassegnati a questo, allora smontiamolo questo mostro di Stato sant’Iddio, invece di tenercelo com’è, pesantissimo dove ci rapina e tragicamente inefficiente dove serve. Bisogna crederci, nella necessità di non ritrovarci in ginocchio, ogni inverno, a piangere morti e crolli, alluvioni e disastri. Dipende solo da noi, fare ciò che per tanti anni non è stato fatto. E non fermarci alle mille polemiche del giorno dopo, dimenticate dopo un mese, per ritrovarci ogni anno punto e daccapo.
Come lo Stato non fa niente, Giannino? Ti manda lo psicologo, no?
Caro Giannino, il nostro è uno Stato ormai capace solamente di imporre e riscuotere gabelle. Per esempio, tanto per rimanere in tema: a cosa servono i sempre più esosi contributi di bonifica, se non a mantenere i consorzi che li amministrano? In realtà, non esiste più da tempo alcuna corrispettività e proporzione tra tributi e servizi resi. Che ce facciamo, dunque, di uno Stato esoso e sommamente inefficace ed inefficiente? Proprio nulla. Evviva dunque lo Stato minimo, l’unica vera alternativa al default.
Caro Oscar,
sono d’accordo con la tua proposta del piano pluriennale di salvaguardia del territorio. Anzi, la preconizzavo implicitamente, in questo post sul blog “la fiolosofia della TAV”,
http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/01/25/il-treno-in-bilico-sulla-scogliera-mentre-lo-stato-vuol-fare-la-tav-torino-lione-e-il-simbolo-ditalia/,
una decina di giorni fa. D’altronde, non è da oggi che questo genere di proposta viene lanciata, dalle parti più ragionevoll, ma purtroppo politicamente ancora non rilevanti, della nostra società.
Però, siamo anche a un punto che lo Stato è praticamente in bancarotta, come dico qui:
http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2013/09/09/governo-lettaberlusconi-la-realta-romanzata/
e però, nonostante questo, lo Stato insiste a voler fare la TAV Torino-Lione, che non serve assolutamente a nulla, come è stato giustamente scritto a suo tempo anche sul sito di IBL, a ottimo esempio qui,
http://www.brunoleonimedia.it/public/BP/IBL_BP_41_TAV.pdf
e costerebbe plausibilmente un altro 100 miliardi di euro pubblici. Ora, abbiamo capito che lo Stato, come prassi, preferisce buttare 100 miliardi di soldi del contribuente in una “opera grande” inutile, piuttosto che stanziare una somma infinitamente minore per manutere a dovere il territorio. Dobbiamo dedurre che, evidentemente, lo Stato fa così perché, facendo una TAV, vengono meglio soddisfatti certi interessi “particulari”.
Detto questo, visto che tu, Oscar, sei favorevole alla TAV Torino-Lione, come scrivevi qui
http://www.leoniblog.it/2011/06/27/no-tav-le-ragioni-di-pochi-in-buona-fede-e-un-paese-di-pazzi/comment-page-3/#comment-51583
su queste pagine…. e comunque, se anche la TAV servisse a qualcosa, i soldi per fare tutto non ci sono, anzi c’è il default che si avvicina a grandi passi, mi chiedo: tu, da che parte stai?….
Da parte mia, sono convinto che il nocciolo del problema risieda propriamente nelle, pur poco note, idiosincrasie tra pensiero liberale e buon governo, come dico qui:
http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/incompatibilita-tra-cattolicesimo-e-liberalismo/
Caro Oscar,
Sono pienamente d’accordo con lei sul ruolo che lo stato dovrebbe avere e che troppo spesso non ha.
Quello del risanamento territoriale e un grande tema e grandi e costosi sono gli interventi che occorrono. Ve ne sono però alcuni più modesti che richiedono un lavoro di manovalanza che una volta era svolto da chi viveva dei prodotti della terra.
Mi riferisco alla pulizia del letto dei ruscelli e piccoli torrenti come quelli che, ad esempio, vi sono sulla Riviera Ligure. Chi la frequenta fuori stagione ha certamente notato l’enorme quantità di legna che arriva sulle spiagge ad ogni mareggiata. Non si tratta di rametti, ma di interi tronchi d’albero che vengono trascinati a valle dalle acque piovane.
Ora, non credo ci voglia poi molto per pulire i corsi d’acqua asportando almeno i tronchi che sono la causa principale delle vere e proprie bombe d’acqua che a volte travolgono dei malcapitati.
Non si se sia lecito, ma perché non fare eseguire questi lavori dalle persone che vengono accolte nei centri di accoglienza per stranieri senza permesso di lavoro? Od anche dalle persone condannate a pene detentive lievi? Potrebbe essere erogato un piccolo compenso che li aiuterebbe a sentirsi utili e certamente più partecipi alla comunità sociale che oggi deve sostenere ingenti costi per il loro mantenimento senza alcuna contropartita.
I danni che, generalmente, si è soliti quantificare a fronte di un evento alluvionale o sismico si riferiscono al valore delle opere pubbliche e degli immobili distrutti e danneggiati e non includono mancato reddito delle aree colpite e relativo contributo al PIL.
Partendo da questa semplice considerazione scopriamo che l’impatto della pessima gestione del territorio è di gran lunga superiore alle stime correnti.
Un’altro aspetto da considerare è che nel mondo attuale la continuità del business, interrotta da eventi che portano all’inagibilità o alla distruzione dei fabbricati, è fondamentale per la sopravvivenza e la ripresa delle imprese, ergo dell’occupazione e del flusso fiscale.
L’Italia, seppur con specificità a livello locale, è soggetta diffusamente ai rischi idrogeologico e sismico. Questo richiederebbe un’attenta gestione del territorio, sebbene i fenomeni non assumano la stessa gravità di altre zone del mondo.
In particolare, per quanto concerne il rischio idrogeologico, l’Italia è particolarmente esposta a fenomeni locali di elevata intensità dovuti all’interazione dei flussi perturbati occidentali con il richiamo di correnti sciroccali che precedono il fronte occluso e l’orografia appenninica e prealpina.
Per il rischio sismico basta verificare l’applicazione online http://esse1-gis.mi.ingv.it/ per rendersi conto di quanto sia elevato e diffuso. Consiglio di impostare parametri restrittivi perché la resistenza degli edifici deve essere riferita al massimo evento ragionevolmente prevedibile, ricordandosi che i valori di accelerazione sono riferiti a terreni rocciosi e devono essere aumentati in funzione delle caratteristiche locali del terreno. Purtroppo le normative regionali sono per lo più inadeguate.
Questi rischi sono presenti storicamente, tanto da aver dato luogo a centinaia di toponimi allusivi come il paese di Alluvioni Cambiò in provincia di Alessandria, la località di Boscofangone nel territorio del comune di Nola, e così via.
In Italia si è costruito male e senza riguardo del territorio per decenni e, quando si è messa mano ad opere per il contenimento dei fiumi, lo si è fatto solo per salvare situazioni mal gestite senza alcun riguardo per l’intero sistema del bacino fluviale.
La normativa italiana privilegia la burocrazia e la politica comunale nelle decisioni sull’utilizzo del territorio, imponendo il rilascio di autorizzazioni specifiche per ogni opera e sottoponendole ai Piani Generali del Territorio e relative variazioni decisi da organismi affaristico-politici. Il risultato di questa frammentazione e del ribaltamento del principio “se vuoi costruire fallo pure purché sia a norma” ha finito per trasferire un potere immenso alla burocrazia, ai politici locali ed alle lobby. Infatti, le decisioni politiche e burocratiche influiscono direttamente sui valori dei terreni e degli immobili, se non addirittura sulle possibilità di avviare o meno certe attività in una determinata zona (vedi casi Esselunga – Coop, ecc.).
Un ulteriore effetto di questa gestione politico-burocratica-affaristica è la costruzione di opere pubbliche inutili e duplicate per “rivalità fra Comuni” che sovente non sono neppure completate. Anche gli intralci pseudo-ambientalisti sono favoriti dall’ingerenza diretta di Enti vari e della politica nelle decisioni sul territorio.
Se si vuol mettere ordine nella gestione del territorio occorre riformare completamente i processi decisionali e della pubblica amministrazione. In mancanza di uno stravolgimento dell’attuale sistema, non si potrà mai conciliare la buona gestione del territorio con la libera scelta di costruire da parte dei privati (ciascuno deve essere libero di fare purché dove si può e come si deve) e neppure pensare di portare a termine opere come scolmatori e aree golenali, indispensabili per gestire le piene dei fiumi. La ventilata Agenzia Per Il Ripristino del Territorio finirebbe per essere l’ennesimo Ente inutile le cui decisioni finirebbero per cozzare con quelle di altri Enti.
Ci sarebbe poi da aprire un capitolo a parte sul rischio vulcanico. Ma questa è una storia assai complessa, di impatto limitato se si considera una prospettiva a breve, inquietante se vista nella prospettiva di alcune generazioni…
scusate, ma comincerei col mettere in galera per lustri la catena degli uffici tecnici da quelli comunali, poi provinciali, poi regionali e di tutti i professionisti e consulenti coinvolti nei progetti
tutti ricordiamo che a Fiumicino c’erano le paludi, e per anni le idrovore anadarono a manetta per evitare la sommersione della testata della sua prima pista di atterraggio (così come i reattori scaricarono per anni i loro gas nelle vetrate della sala d’aspetto)
fasti mitologici della leggendaria prima repubblica denunciati dal quotidiano borghese “La Stampa” col loro mandante Andreotti
LA PAURA credo sia la prima arma di cui disponiamo per raddrizzare questa scialuppa nel mare in tempesta
chi ci si mette di traverso i marinai lo buttano in mare …è…LEGITTIMA DIFESA
A mio modo di vedere l’articolo parte da un punto di vista nobile ma errato, e cioè che il compito dello Stato sia agire per il bene dei cittadini. Sembra evidente invece che lo Stato sfrutti sistematicamente questi eventi catastrofici per riempire le tasche di soggetti particolari o gruppi di questi.