Rischi e potenzialità dell’amministrazione giudiziaria
A partire da una recente decisione del Tribunale di Milano
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Mario Arbotti
I. Come è noto, le più recenti linee di politica criminale per il contrasto dell’infiltrazione criminale nell’economia lecita paiono aver (almeno in parte) superato l’obiettivo di un’ablazione patrimoniale definitiva coûte que coûte, attraverso la valorizzazione di strumenti maggiormente flessibili in grado di adattare l’intervento preventivo alla specificità della situazione contingente, in una logica di minore invasività possibile della reazione statale.
Nonostante le ‘tradizionali’ misure del sequestro e della confisca rimangano centrali nell’architettura del sistema delle misure di prevenzione patrimoniale, l’idea di un contrasto alla contaminazione criminale mediante il recupero ad una dimensione di legalità dell’impresa ‘deviante’ pare aver ispirato il restyling operato dalla l. 17 ottobre 2017, n. 161 che ha modificato l’istituto dell’amministrazione giudiziaria (art. 34 d.lgs. 159/2011) e introdotto all’art. 34 bis d.lgs. 159/2011 una nuova forma di controllo giudiziario.
L’obiettivo di fondo perseguito da tali istituti è quello di estirpare l’infiltrazione criminale attraverso un’opera di bonifica della realtà aziendale tesa a restituire l’impresa al libero mercato una volta depurata dagli elementi inquinanti, mediante forme di temporaneo spossessamento gestorio del complesso aziendale (art. 34 d.lgs. 159/2011) o di vigilanza prescrittiva (art. 34 bis d.lgs. 159/2011) che potranno sfociare in misure ablative laddove il tentativo di risanamento non vada a buon fine ed emergano elementi tali da far ravvisare un’insanabile commistione tra interessi criminali ed imprenditoriali.
L’orizzonte ultimo di tali recenti linee di politica criminale è quello di offrire all’ente strutturalmente lecito, ancorché indiziato di essere direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione e assoggettamento di cui all’art. 416 bis c.p. ovvero di agevolare – anche occasionalmente – attività latu sensu criminali o comunque sospette, una chance di ‘riabilitazione’ attraverso forme più o meno penetranti di etero-gestione e/o direzione aziendale.
Ed in effetti, soprattutto per imprese che si trovano ad operare in contesti socio-ambientali ad alto rischio di contatto con organizzazioni criminali, uno Stato sociale di diritto non può limitarsi a reprimere impulsivamente qualsiasi forma di sospetta contiguità, ma deve operare per offrire all’ente una possibilità di recupero alla legalità mediante l’ausilio di strumenti a vocazione terapeutica.
II. Nonostante gli indubbi profili meritori di una politica criminale d’impresa non solo punitivo-stigmatizzante, ma anche recuperatoria e solidaristica, non può sottacersi il rischio che la forte vocazione preventiva di tali strumenti e l’evanescenza intrinseca dei presupposti applicativi determini applicazioni lasche (anche) rispetto ad imprese che non necessitano operazioni di bonifica aziendale, con il conseguente pericolo che un interventismo eccessivo causi crisi di rigetto, effetti paradossali e etero-direzioni non necessitate. Considerato, ulteriormente, che sotto il profilo soggettivo è sufficiente che la condotta agevolatrice sia censurabile su un piano di rimproverabilità colposa per violazione di normali regole di prudenza o di buona amministrazione che costituiscano norme di condotta esigibili sul piano della legalità da un soggetto che opera ad un livello medio-alto nel settore di riferimento (cfr., da ultimo, Trib. Mil., decreto 6 ottobre 2021).
L’incidenza delle misure in discorso su diritti costituzionalmente tutelati – su tutti il diritto d’iniziativa economica privata – deve, allora, indirizzare l’interprete verso ermeneutiche tassativizzanti e costituzionalmente orientate che valorizzino quei profili di minimo sacrificio necessario e di proporzionalità dell’intervento preventivo che hanno informato lo stesso spirito della riforma del 2017.
In questa prospettiva, di grande interesse appare un recente provvedimento del Tribunale di Milano che ha disposto l’applicazione della misura dell’amministrazione giudiziaria di cui all’art. 34 d.lgs. 159/2011 ad una società operante nel settore del commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi (Trib. Mil., decreto 6 ottobre 2021).
Il contesto fattuale della vicenda tramanda un quadro indiziario in base al quale la società gravata dall’applicazione della misura di prevenzione risultava agevolare consapevolmente la situazione di sfruttamento di lavoratori formalmente impiegati attraverso il sistema contrattuale dell’appalto di manodopera stipulato con società cooperative, garantendosi un significativo risparmio di costi mediante la capitalizzazione del guadagno derivante dall’impiego di personale lavorativo sotto soglia retributiva. Il Tribunale, dopo aver rilevato la sussistenza dei presupposti di legge per l’applicazione della misura, pare fare un buon governo dei principi di proporzionalità e adeguatezza della misura di prevenzione, disponendo che l’operatività della stessa non risulti completamente assorbente rispetto alla gestione d’impresa e, comunque, strettamente commisurata alle finalità di recupero alla legalità proprie della misura.
III. Le potenzialità ‘adattive’ (cfr., ancorché in riferimento al generale sistema delle misure di prevenzione, T. BENE, Dallo spossessamento gestorio agli obiettivi di stabilità macroeconomica, in Arc. Pen., supplemento al n. 1 del 2018, 314 ss.) dello strumento consentono di raggiungere l’obiettivo della bonifica aziendale anche senza esautorare completamente gli organi gestori dei propri poteri, essendo gli scopi terapeutici perfettamente raggiungibili anche in assenza di una completa alterazione del normale svolgimento dell’attività gestionale.
In quest’ottica, d’altronde, l’esigenza di tutelare i livelli occupazionali e di garantire la continuità gestionale e operativa dell’impresa, in modo tale da preservare anche la generale stabilità del tessuto economico e sociale locale, depongono a favore di una modulazione della misura di prevenzione che neutralizzi quanto più possibile i rischi derivanti dal trasferimento di funzioni e poteri da professionalità tipiche a professionalità nuove e magari non perfettamente allineate con il settore di mercato interessato.
Sul piano dei valori, poi, le applicazioni della misura sensibili a quelle istanze di minimo sacrificio necessario dei diritti incisi e che valorizzino i principi di proporzionalità e frazionabilità dell’intervento di prevenzione, permettono a strumenti che – ancorché astrattamente orientati a scopi riabilitativi e terapeutici – si inscrivono pur sempre in una logica d’intervento ante delictum (o, meglio, praeter probationem delicti), determinando un’incidenza significativa sulla vita dell’impresa attinta, di meglio legittimarsi non solo (e non tanto) in un’ottica politico-criminale, quanto sotto il profilo della conformità ai principi costituzionali e convenzionali. In conclusione, un corretto bilanciamento fra le esigenze di sterilizzazione del contagio criminale, mediante la (ri)legalizzazione eterodiretta dell’impresa, e la tutela dei diritti costituzionali in gioco può essere adeguatamente assicurato attraverso dosaggi applicativi orientati a quelle istanze di minimo sacrificio necessario dei diritti incisi, nella consapevolezza che in una logica liberale l’intervento statale nella gestione delle imprese deve sempre avere carattere eccezionale, senza normalizzarsi affondando le proprie radici nel tessuto regolatore della disciplina o nelle sue concrete e immediate traduzioni applicative.