3
Ott
2009

Riscaldamento globale e nuovo statalismo: separiamo la scienza dal potere

Di ritorno da Matera, dove ho partecipato alla Settimana Internazionale della Ricerca ottimamente organizzata da Mauro Maldonato e dove ho avuto occasione di avere scambi di idee assai piacevoli e interessanti con alcuni filosofi della scienza, m’imbatto in una notizia di rilevante interesse, che ho trovato qui e qui.

A quanto pare, tutta una serie di dati riguardanti il clima che fino a ora sono stati utilizzati dall’IPCC (l’Intergovernmental Panel on Climate Change, l’istituzione internazionale che studia il  mutamento climatico) sarebbero il frutto di rilievi inattendibili. In verità della cosa si parlava da tempo e molti avanzano serie perplessità, ma ora sta montando uno scandalo. O forse no, anche in ragione della straordinaria capacità dell’establishment di negare pure l’evidenza.

Come si rilevava in alcuni interventi materani, il sistema attuale della ricerca tende troppo spesso a evitare ogni genere di verifiche. Nel suo intervento in Lucania l’epistemologo Roberto Festa dell’università di Trieste ha evidenziato, tra altre cose, che in genere si pensa alla ricerca scientifica come ad un’attività in qualche modo “olimpica”, basata su studi, teorie e prove del tutto immuni da condizionamenti e influenze, che poi si traducono in tesi suffragate da esperimenti sottoposti all’altrui confutazione. Ma in realtà è quasi impossibile, nell’universo attuale della ricerca, che qualcuno trovi risorse per un’attività tanto poco originale come – ad esempio – la ripetizione di esperimenti già descritti da altri all’interno della letteratura scientifica. La conseguenza è che spesso si finisce per “fidarsi”.

Non bastasse ciò, in varie occasioni vi è una viziosa convergenza di interessi tra la maggioranza degli scienziati, dei burocrati e degli uomini politici. Chi paga e chi gestisce finisce insomma per pervertire la vita della ricerca, sottraendola al suo necessario pluralismo, del tutto incompatibile con una società sempre più statizzata. Tutto questo è lampante di fronte a questioni come il riscaldamento globale, l’Aids o gli Ogm, temi su cui gli scienziati finiscono spesso per esprimersi senza la necessaria serenità.

Gli uomini politici, è vero, non sanno nulla di nulla: Nicolas Sarkozy ad esempio ritiene che le tesi ecologiste all’origine di Kyoto dicano che quest’ultimo è un effetto del carbone (e non del CO2!) e che esso buchi la fascia d’ozono (e invece la tesi è che riscaldi la terra!). Ma quel che anche i politici più somari hanno ben compreso è che in tal modo è possibile, per loro, ricollettivizzare al più alto grado l’economia e la società. In fondo non è che abbiano capito meglio la crisi finanziaria, ma subito hanno intuito che in tale frangente per loro era possibile aumentare regole e nazionalizzare, tornando a dominare la scena.

Per questo motivo è urgente che si affermi l’esigenza di introdurre una netta separazione tra scienza e Stato, tra la libertà della ricerca e gli interessi del potere. E il punto di partenza dovrebbe essere un processo che conduca ad una progressiva privatizzazione delle università.

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9 Responses

  1. marco

    come ho già detto commentando un altro articolo, è tutta una scusa per aumentare il potere degli stati nei confronti dei cittadini. di questo passo finiremo come nel Grande Fratello di Orwell. secondo me ci siamo già abbastanza vicini, chi non è allineato all’opinione comune viene emarginato e se non ci riescono lo dipingono come un fissato o un cretino; e dire che sono proprio i sostenitori di Kioto e di altre balle stataliste a essere i veri ignoranti (quando ho letto nell’articolo qual’è il pensiero di Sarkozy in materia non vi dico cosa ho pensato dei francesi e di Carla Bruni!)

  2. @Marco: ” chi non è allineato all’opinione comune viene emarginato…”.
    Credo funzioni così da sempre: la massa rassicura mentre la solitudine spaventa.
    La cosa bella, oggi, è che le opinioni “non allineate” possono raggiungere chiunque, ovunque. Chi mai avrebbe pensato di poter far leggere punti di vista liberali a così tanti italiani?

  3. manT

    Concordo con ” è che in tal modo è possibile, per loro, ricollettivizzare al più alto grado l’economia e la società”…

  4. marianusc

    Premessa: sono un’apprendista scenziato (fisico)

    privatizzare le università non porterebbe allo stesso risultato che si cerca di esorcizzare, anche se con un altro nome?
    Se i politici orientano la ricerca scientifica a fini di consolidamento del loro potere, le imprese private non la orienterebbero ai fini del loro profitto?
    La conseguenza diretta è l’annoso dilemma: il profitto delle imprese private corrisponde ad un “profitto” per i singoli cittadini?
    A mio avviso questo è il problema di come si sia concretizzato nel mondo odierno il principio del libero mercato, e cioè non sempre accade che profitto di una impresa corrisponde a “profitto” per un cittadino.

  5. stefano

    @marianusc: è un problema; però se ci pensi un’università privata, se togliamo il valore legale al titolo di studio, deve prepararti bene. O chiude. Sempreché non sia di proprietà di qualche socio della birra.
    Se l’università privata guadagna, meglio per lei; quando uno lavora bene è giusto che guadagni, anche se il suo lavoro è insegnare (mai visto insegnanti dare ripetizioni? Da chi vai, da quello bravo o da quello scarso? Piuttosto è uno scandalo che gli insegnanti incapaci siano inamovibili, e ne ho visti addirittura fare carriera quando invece avrebbero dovuto andare a zappare l’acqua).
    Il profitto dell’impresa ha ricadute positive sulla vita dei singoli cittadini:
    1) produci beni o servizi utili
    2) crei posti di lavoro (perché più lavori più guadagni, e ti serve gente per espandere l’attività)
    3) produci reddito tassabile (il meno possibile, spero)
    Questo non è più vero se hai un’impresa grande che pretende di essere assistita e finanziata (magari a fondo perduto) per non licenziare: questa è l’arma utilizzata.
    Riformando il welfare, ritengo sia possibile mandare a quel paese tanti capitani d’industria abituati troppo bene. Che drenano risorse, per il proprio profitto, a danno dei cittadini.
    NON è il libero mercato che si sta concretizzando oggi, bensì il ritorno pesante dello Stato e dei suoi parassiti (grandi e piccoli).
    Si sta troppo bene attaccati alla tetta, e non si vuole essere “svezzati”.
    Il liberismo dice (a grandissime linee) “chi non lavora non mangia”, lo statalismo dice (papale papale) “chi è più furbo mangia, gli atri lavorano”. Ciao

  6. @marianusc
    concordo con stefano, tolto il valore legale delle lauree, resta il valore reale, che dipende pesantemente dalla qualità delle persone formate al termine del corso di studi. Che è quello per cui si paga per essere formati.
    Il tuo dubbio è se un finanziamento pubblico delle università spingerebbe i professori a supportare quella o questa idea, a seconda di quanto avvantaggi lo sponsor privato. Be’ già adesso succede con quello pubblico, con la differenza che nessun privato potrebbe essere in grado di finanziare e quindi legare a se tutte le università.
    D’altro canto, il legame ricerca/insegnamento nell’università è destinato a spezzarsi in futuro. Il modello di università deve e sta evolvendo per incorporare tutte le possibilità tecnologiche esistenti (lezioni registrate, tutoraggi a distanze, esercitazioni automatizzate, etc.). Almeno per i corsi di base, questo è il metodo più efficace ed efficiente. L’insegnamento, in questo modo, va al passo del singolo studente; nessuno viene lasciato indietro, nessuno viene rallentato. In questo modo potrebbe diventare comune poter conseguire una laurea in 2-3 anni invece che in 4-5 o più.
    Quando si raggiungono i livelli di apprendimento superiori, si passa ai seminari, che sono il modo con cui si trasmette il sapere di livello superiore.
    La ricerca, in una situazione del genere, dovrà essere finanziata in modo differente e non certo con i soldi delle rette o delle tasse.
    Anche perché questi sono spesi in modo politico, mentre i soldi di uno sponsor privato hanno obbiettivi molti più chiari e definiti.

  7. marianusc

    Precisazione: la mia ultima frase non voleva dire che il principio liberale si sia davvero affermato, ma che il problema è il COME si sia cercato di implementarlo negli anni passati.
    Premessa: non sono un fautore dello status quo nell’ambito universitario perchè so bene i problemi che ci sono e come sono invece le università estere; nè sono un fautore dello statalismo o del socialismo economico. Sono uno scienziato, e cioè per definizione mi piace mettere in discussione tutto fino alla prova sperimentale, e non avere mai ideologie da seguire. Aggiungo che ho una particolare predilezione per le tesi liberali perchè le trovo quelle più fondate da una punto di vista “fisico”, cioè generalizzando alcuni principi fisici ai sistemi economici.

    Faccio degli esempi per chiarire alcune mie perplessità in merito alla privatizzazione dello sviluppo della conoscenza.
    Privatizzazione significherebbe concorrenza con altre università, concorrenza significa istituire un meccanismo di indirizzamento della ricerca sia dal punto di vista degli argomenti che delle risorse verso filoni che garantiscano ritorni economici maggiori a medio-breve termine.

    E’ questo il criterio più giusto che lo sviluppo della conoscenza deve seguire?
    Molte delle più grandi scoperte fisiche sono state fatte per caso e in campi inaspettati. Non rischiamo di perderci grosse scoperte utili per il genere umano?

    Infine una obiezione al modello liberale e al concetto di concorrenza. Benchè io sia il primo a riconoscerne i vantaggi da vari punti di vista, continuo a non riuscire a risolvere questo dilemma.
    Il genere umano può raggiungere la felicità in un mondo in cui deve essere sempre in concorrenza con gli altri e che anzi tende naturalmente ad estremizzarela? Questo è il mondo liberale se non sbaglio.
    Se dico qualcosa di sensato, allora ho paura che vivremmo in un mondo zeppo di servizi eccellenti, beni disponibili sempre più di qualità e in continuo aumento ma zeppo di depressi, malati, nevrotici e infelici.

    Vi sarei grado se riusciste a darmi delle risposte su questo. Grazie

  8. Si tratta di un complotto globale, è spiegato benissimo su questo sito http://domenico-schietti.blogspot.com/2009/10/la-storia-del-potere-in-base-al.html

    Sono tutti d’accordo a boicottare la Serpentina di Schietti e quindi si tratta di un complotto per cambiare il clima, causare povertà e alimentare l’odio tra i popoli per generare guerre.

    Non è difficile da capire, se scoppia una guerra aumentano le richieste di fucili, cannoni, missili, aerei e bombe. I produttori di armi hanno interesse che i popoli litighino fra loro e quindi pagano agenti provocatori.

    Se cresce la povertà aumenta il numero dei ladri quindi aumentano le spese per la polizia, i controlli, i sistemi di sicurezza, le prigioni e la giustizia. Chi dovrebbe combattere la malvivenza in realtà ha interesse che ce ne sia sempre di più e quindi paga agenti per creare disordini e crisi economiche.

    Se crescono i consumi di energia aumentano gli introiti per i produttori di petrolio che quindi boicottano l’energia pulita pagando agenti appositi che promuovano l’utilizzo del loro prodotto a danno di quello degli altri.

    Se vengono costruite grandi opere ci saranno grandi affari per i costruttori edili al punto che ne vorranno sempre di più grandi e inutili pagando agenti perchè pubblicizzino l’utilità di opere costosissime.

    I poteri occulti spesso sono aziende che hanno convenienza quando aumentano i problemi e quindi che si sono unite per creare un governo mondiale e una rete di agenti incaricati di creare il caos in modo che tutti non desiderino altro che un governo mondiale che riporti l’ordine e quindi prendere il potere su scala mondiale.

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